Questo testo è stato riletto e controllato. |
POSSAGNO.
___
Prole negletta, faticosi alunni
Delle negre officine, a cui la pialla
E l’incude sonante è brando e trono;
Nato d’umili padri e ne’ conflitti
5D’aspra fortuna, come voi, cresciuto
Era il Divino che a quest’ermo colle
Diede fama perenne. Or se di stemmi
E gentilizie porpore fastose
Circondate non fur le vostre cune,
10Viltà di core non vi gravi il ciglio;
Chè vostra nobiltà pura rifulge,
Scabri eroi del lavoro, a cui le mani
Mai non grondaro di fraterno sangue.
Vostro è Canova; ne d’illustre ceppo
15Che le radici favolose inciela,
Vide il secolo uscir gloria maggiore.
Sacra è la terra che calchiamo; è sacra
Quest’aria, amici, e le petrose balze
Che Possagno coronano. Fanciullo
20Al cupo rezzo de’ castagni antichi
Qui s’assidea Canova, alla natura
Le man tendendo desioso; e bella,
Come altra volta all’angelo d’Urbino,
Si svelava natura al giovinetto.
25Qui canuto rediva in compagnia
Dell’arti adulte, e l’inclito delubro.
Candido delle azzurre alpi sul fondo,
Alla Triade poneva. Augusta mole.
Italo Partenon, che valli e monti
30Altero signoreggi e di tutela
Onnipotente le montagne affidi,
Salve! Stridendo la folgore acuta
Torce altrove il suo volo e s’inabissa
Delle valli a destar l’eco profonda.
35Sdegna i prischi subbietti e per sentieri
Inusitati a men riposte fonti
Guida dell’arti obbedïenti il coro
L’innovatrice età. Docil s’inchina
Degli argivi scalpelli al magistero;
40Pur di natura all’inesausto grembo
Vergini fantasie chiede l’ingegno,
Che de’ suoi tempi agli ultimi nepoti
Schietta l’immago tramandar desía.
Tanta del vero generosa sete
45Il secol nostro infiamma! Alla vetusta
Chioma di Polignoto e di Lisippo
Noi non pertanto sfronderem gli allori;
Nè all’arti insulterem che i trïonfali
Ozî allegrâr della divina Roma.
50Bella mitica Dea, che dal Cefiso
E da’ lauri vocali di Elicona
Costretta a fuggir fosti, ospite asilo
A’ vaganti tuoi numi ed alle muse
Su questo colle aperse italo Fidia.
55Quali gli uscian dall’infiammata idea,
Nella creta qui stanno ancor spiranti
I simulacri, ond’ei le tombe, i fôri,
I delubri e le reggie ornò di Europa.
Quanto popol d’eroi! quanto di ninfe,
60Dell’Ilisso i lavacri abbandonando,
Queste pendici ad abitar non venne!
Vedi la giovinetta Ebe, leggiadra
Del nèttare ministra, che d’Olimpo
Scende veloce: carezzevol aura
65La veste addietro le respinge e svela
Delle membra divine ogni contorno.
Vedi la Ninfa che sorpresa al bagno
I bei veli raccoglie e si ritira
Paurosa guatando. Ecco le Grazie
70Che, le braccia conserte in dolce amplesso,
Disegnano sui fior lente carole.
Su’ nivei lini Citerea riposa
Velando gli occhi: Amor tocca la cetra
Soavemente e le lusinga i sonni.
75In altra parte disarmato il braccio
Cinge al collo di Psiche, e la farfalla
Nata del cielo a trasvolar pe’ fiori
Sulla palma le posa. In alto scote
La Danzatrice i crotali sonanti,
80E chiama a pace ed a letizia il mondo.
E tu l’ardor delle battaglie ancora
Spiri dal guardo e dall’egioca fronte,
Vincitor di Marengo. Al tuo delitto
Tarda ammenda in Magenta e Solferino
85Fece il Nepote; ma fremendo Italia
Ancor di te si risovviene e plora,
Campoformio pensando; ed a’ tuoi mani
Ridomanda i guerrier che di lor sangue
L’artiche nevi a colorar traesti,
90E alla madre potean scior le catene.
Più generoso Ettòr che dall’amplesso
D’Andromaca s’invola, e stringe il brando
Per la patria cadente incontro al truce
Telamonio; e di lauro anco più bello
95Va cinto il Fabio american che calca
D’un pie la spada e sull’eterno foglio
Segna libere leggi al Novo Mondo.
Ma della terra gl’infiniti guai,
Chini i ginocchi e le man giunte, al cielo
100Il Pontefice narra. Nel diffuso
Aureo paludamento e nella faccia
Di pietade atteggiata e di speranza
Maëstosa di Dio l’aura sfavilla.
Quando del bello immaginar la fiamma
105Avvivar vi talenti; o doloroso
Più vi sembri il tenor di vostra sorte,
Voi del lavor mal conosciuti figli,
Questo colle salite. Esce dal tempio,
Esce dal suolo eccitatore un grido,
110Che ardimento v’apprende e contro il fato
Insultator magnanima costanza.
Il mendico orfanel che fu veduto
Su questi monti esercitar nel sasso
Il volgare scalpello, un giorno sparve,
115Nè per lunga stagion parlar di lui
L’umil borgo s’intese. A terra sparse
Son le magioni e le prosapie estinte
De’ patrizî che al povero d’aìta
Fur liberali e di consigli. Ambito
120Le reggie intanto ei visita e nel marmo
Di temuti mortali il volto eterna.
Poi riede; e di sublimi monumenti
Rende chiaro per sempre il suol natale.