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L’EREMITA
Pregava all’alba il pallido eremita:
“Dio, non negare il sale alla mia mensa,
3non negare il dolore alla mia vita.
Ma del dolore che quaggiù dispensa
la tua celeste provvidenza buona,
6a me risparmia il reo dolor che pensa.
O, s’è destino, per di più mi dona,
con quel che pensa, anche il dolor che grida:
9l’afa che opprime, il nuvolo che tuona;
pensier che strugga e folgore che uccida!„
E ripregava a mezzodì: “Rimane,
Dio, che tu lasci che il nemico muto
13pur mandi a me le nudità sue vane.
Quando al vespro del mio dì combattuto
dilegueranno, io penserò che, vere,
16le avrei non meno dileguar veduto.
Nel cuore sono due vanità nere
l’ombra del sogno e l’ombra della cosa;
19ma questa è il buio a chi desìa vedere,
e quella il rezzo a chi stanco riposa„
A sera, disse: “Il servo, umile e grato,
ti benedice! Tu mi desti, o Dio,
23l’aver provato e non aver peccato.
L’anima mia tu percotesti e il mio
corpo di tanto e tal dolor ch’è d’ogni
26dolcezza assai più dolce ora l’oblìo.
Infelice cui l’occhio apresi ai sogni,
apresi nella grande ombra che tace,
29sia che già tema, sia che sempre agogni!
Piansi, non piango: io dormirò: sia pace!„
E velò gli occhi il pallido eremita.
Ed ecco gli fluìa per i precordi
33il dolce sonno della stanca vita;
quando riscosso (egli scendeva a fior di
grandi acque mute su labile nave)
36gridò: “Signore, fa ch’io mi ricordi!
Dio, fa che sogni! Nulla è più soave.
Dio, che la fine, del dolor; ma molto
39duole obliarlo; chè gettare è grave
il fior che solo odora quando è colto„