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LA CINCIA
Sorrise, e disse che una volta c’era
un re piccino; e s’egli era piccino,
3la sua reggia era grande e nera nera.
E un aio aveva questo reattino,
nero, e l’aio era lì sempre a gracchiare,
6e più, quando vedea torbo il mattino.
Il re veniva alle finestre a mare,
il re veniva alle finestre a monte:
9Avessi l’ale! Potessi volare!
Nitrir sentiva alla sua voce pronte
le sue pulledre sparse alla pastura
12nel grande prato ch’era dopo il ponte.
E quel nitrito, per le antiche mura,
per gl’infiniti muti colonnati,
15destava i cani; e nella reggia oscura
rimbombavano in tanto alti latrati.
Or una fata l’ode. Ecco, sia fatto!
La gran reggia doventa una gran macchia
19a colonne di pino e d’albogatto.
Nera tra i lecci vola una cornacchia.
È l’aio. Vola su brentoli e mortelle,
22libero, il recacchino, il redimacchia.
E il curvo collo svincolano snelle
quelle pulledre scalpitando, ed ecco
25ch’elle frullano azzurre cinciarelle.
Tengono l’osso ancora (od uno stecco?]
le cinciallegre, piccoli mastini,
28sotto le zampe, e picchiano col becco.
Dunque, dagli albigatti esse e da’ pini
fanno la guardia, e il re ne’ suoi sambuchi,
31tra molta signoria di fiorrancini,
regna, e si svaga con la caccia ai bruchi.
Così, vedete, il cacciator che gira,
vede calare un branco. Egli bel bello
35s’appressa, egli già mira, egli già tira...
Suona un nitrito tremulo d’uccello,
come starnuto, suona un bau bau chiaro,
38come doppio squillar di campanello;
e il branco fugge prima dello sparo.