< Primo maggio < Parte sesta
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Parte sesta - IX
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Egli tornò all’albergo così esaltato, che, appena chiuso nella sua stanza e acceso il lume, avendo inteso un picchiare all’uscio e detto avanti, al veder apparire sull’uscio una signora velata, le si slanciò con un grido di gioia credendo che fosse la Zara.

Era la Luzzi.

Venuta per un sincero impulso di pietà, per consolarlo, saputo dell’angoscia in cui l’aveva lasciato la sorella, essa rimase intontita, appena gli vide sul viso quell’espressione raggiante, di cui non sfugge mai il senso a una donna; alla quale succedette un’aria di delusione, che le tolse ogni dubbio. E con la sua viva franchezza, mista di dispetto amaro: - Ah! - disse con un riso - e io venivo per consolarlo! Vedo che lei non ne ha bisogno! - E soggiunse: - Tu sei innamorato, e aspettavi un’altra. - E intuiva la Zara. Ma visto rannuvolarsi, mutò il discorso, e di nuovo s’impietosì sinceramente vedendolo mettere il viso nelle mani quando gli ebbe detto che, dopo averlo veduto, il ragazzo, tornato a casa, aveva pianto amaramente, non aveva mangiato, s’era messo a letto. Suo padre, la mattina, non gli aveva detto nulla. E lo consolò con parole affettuose; no, il ragazzo non era malato, un po’ di tristezza, null’altro; la mattina dopo l’aveva rivisto e stava bene. - Oh! Fatti animo! La cosa, come tante altre, avrà una soluzione "inaspettata"; vedrai; tu non hai altro che da aspettare e da esser forte. - E commossa dalla coscienza stessa della sua visita ardita, dalla vista di quella camera d’albergo, dall’idea che Alberto era a quell’ora veramente "compromesso", perseguitato, in una situazione drammatica, lo colmò di tenerezze, carezzandolo, fin che lo fece sorridere. E già egli la cingeva con un braccio, quando l’improvviso pensiero delle sue relazioni col Barra lo ritenne quasi con un senso di ripugnanza, nel punto stesso che essa si scioglieva, dicendo, con una serietà inaspettata: - No, non sarebbe bello! - Allora la tastò, scherzando, sull’argomento: - Era finita la traduzione dei bilanci? Era contento il signor Luzzi dell’opera del suo segretario? - Ma essa sfuggì il discorso agilmente, e lo portò sulla quistione sociale: - la maggiore opera della rivoluzione sociale sarebbe stata quella di far rinascere l’amore, ucciso dalla famiglia d’ora che è o un carico doloroso, o un mercato vergognoso; abolita la umana schiavitù, causa di tutto, l’amore sarebbe rinato con la libertà vera. Tutto era buttato giù, dalle fondamenta. - Sei dunque anarchica ora? - Essa lo fissò; ma quella parola era stata detta senza seconda intenzione. E di nuovo la curiosità antica riprese Alberto. Dove leggeva quelle cose? o da chi le sentiva dire, perché suo marito non credeva al socialismo e non doveva lasciar penetrar un libro socialista in casa sua? E al sorriso misterioso che essa fece a quella domanda la sua curiosità s’accese più forte, e insisté tanto, prodigandole le dimostrazioni d’una tenera amicizia, di gratitudine per la sua visita, che essa, dopo molta esitazione, dopo essersi fatto giurare il secreto, in un abbandono di tenerezza, sorridendo, e giocando con una sua mano, gli fece una maravigliosa rivelazione. Suo marito aveva del socialismo una paura pazza. - Era il suo cauchemar -, non pensava ad altro - non ne dormiva - ne sarebbe morto. - Essa se n’era accorta da un pezzo vedendolo legger di nascosto libri e giornali socialisti, che essa fingeva di non vedere e che egli nascondeva, ma che essa leggeva assente lui. La cosa durava da un pezzo. Era abbonato a otto o dieci, fra i quali dei più incendiari. Essa credeva per fermo che si fosse abbonato pensando che l’essere il suo nome in quelle liste lo avrebbe garantito dal pericolo in caso di rivoluzione. Sospettava persino che mandasse dei denari in oblazione per la causa; anzi, certo, ne mandava; aveva visto una ricevuta. Tremava per i suoi averi, ne mutava ogni trimestre l’impiego per paura. Era con gli operai, con tutte le persone del popolo d’una cortesia quasi ossequiosa. Per cortesia, essa aveva sempre finto di non accorgersene, e anche con lei egli fingeva. Ma era una vera malattia, che lo rendeva infelice. Dopo il 1° Maggio era stato tre giorni a letto. Stava già male ora pensando all’avvicinarsi dell’anniversario. Oh! per lei, quella doppia parte che egli faceva in società era un divertimento, un gioco, una consolazione della vita! - E chiuse con un bacio, facendosi giurare che avrebbe mantenuto il secreto. Poi bruscamente s’impietosì di nuovo, guardando la camera: - Oh povero Alberto! tutto solo! in questa camera così trista! senza un amico! - E lo rattristò, parlandogli di Cambiasi, che era molto addolorato della rottura, che gli voleva sempre bene, che l’avrebbe accolto come un fratello s’egli avesse fatto il bell’atto di andargli a stender la mano. - Ma tu non hai bisogno di nessuno, tu sei innamorato -, disse, con dispetto - e so di chi! Ma mentre egli negava recisamente, essa aveva già fatto il suo piano, di stimolar Giulia con quella gelosia, e di indurla così a venir da suo marito; perché della moglie no, ma di quella era gelosa. In fine gli disse mille parole da buon’amica, e al momento di mettersi il velo, si ricordò d’una commissione - gli mise in mano un biglietto -, gli diede un bacio, e disparve con delle precauzioni di congiurata.- Era un biglietto di suo figlio scritto a lapis, che diceva: - Caro papà, caro papà, torna a casa - Ed egli lo baciò, e sedette abbandonando il capo fra le mani. - Si sta operando un miracolo. Dio voglia che si compia. - E rimase in mezzo alla camera, stupito, col foglio in mano, senza capire.

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