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Quando sua madre tornò a rendergli conto della visita, ancora confusa e commossa delle parole intese, ripetendo dieci volte, pensierosa: - Non capisco... non capisco -, Giulia si trovava già da un po’ di tempo in uno stato nuovo. Una cosa singolare seguiva in lei. Cessati i contrasti con suo marito, svanito il timore d’una catastrofe, poiché di peggio non poteva più accadere, fattosi il silenzio in casa sua e nel suo capo, - parve che in quel silenzio essa sentisse risonare per la prima volta distinta la voce d’Alberto che non c’era più. Quegli argomenti mille volte detti da suo marito - idee, sentimenti, ragioni - cominciarono a ripresentarsele uno a uno, prima a intervalli, poi l’un dietro l’altro, quasi continuamente, come detti con voce più pacata e più lenta, con una insistenza infaticabile, come se una persona invisibile, sempre sui suoi passi, glieli ripetesse. E per la prima volta essa li pensava..., quasi per la prima volta essa s’accorgeva che alla radice di ciascuna di quelle idee, anche di quelle che le parevano più strane ed errate, v’era la pietà d’un male, il desiderio d’un bene, un sentimento generoso; e per la prima volta s’accorgeva che nelle ragioni che gli altri gli opponevano, anche in quelle apparentemente più logiche e più sensate, v’era qualcosa di gretto, di scettico, di sconsolante. Ora si ricordava, alla sua pietà essa aveva sentito opporre la durezza, al suo sdegno rabbia; e mentre dalle sue labbra non era mai uscito nulla che non fosse nobile e generoso, lo stesso non aveva sempre sentito nelle idee, nei moti, nella voce di chi gli faceva opposizione. Quelle idee che tutti condannavano, erano pur quelle che lo facevano così buono, generoso, disinteressato. Se anche fosse stato un sogno, era un sogno che non potevano avere che le anime nobili. Perché non l’avevano gli altri? E poi, perché il torto doveva essere dalla parte della generosità, del desiderio del bene, dell’amore per l’umanità? Più in là non andava nell’esame dell’Idea. Ma di nuovo, come nell’altra occasione in cui s’eran rappacificati, un principio di movimento si tornava a fare nello stagno morto delle sue idee ereditate. Quella prova di un grande dolore - come già quella per il tentato suicidio della Lariani - aveva dato alla sua natura un po’ apatica una scossa; era come un nodo stretto dentro di lei che si allentava lentamente. E nell’ora di rêveries cominciava un passaggio d’immagini: di folle d’operai affaticati, di opifici oscuri, di migliaia di soffitte e d’abituri, di miriadi d’uomini curvi, sparsi per una campagna sterminata, un brulichio di moltitudini miserande, un mondo che non aveva mai abbracciato col pensiero, e come il senso d’un ronzio diffuso, d’un vasto fremito lamentevole come quello d’un mare - e in mezzo a quella folla, la testa bionda d’Alberto, e fra quel ronzio, la sua voce armoniosa, calda, parlante d’una immensa speranza.
Quando questi pensieri le cominciarono, essa fu presa da un vivo bisogno d’aver Ernesta con sé - se la fece venire - era la sola ora che le facesse l’effetto d’un vincolo con Alberto. Ma non ragionava già con lei - la faceva parlare - e badava alla sua voce dolce e melanconica, più che alle sue parole, come a un accompagnamento dei suoi pensieri.
Ma altre cause attivarono il movimento dell’animo suo. Il Geri andava sempre più spiegandosi - dalla finestra, incontrandola per le scale e per la via, dal terrazzino quando andava con il suocero, i suoi sguardi, i suoi saluti, le poche parole che le diceva, svelavano sempre più aperto l’animo suo. Fu una rivelazione per lei. Egli dunque odiava suo marito, e tutto quello che Alberto pensava di lui diventava credibile. Un colloquio con Cambiasi la confermò: costui le disse apertamente di credere che il primo articolo contro Alberto fosse suo, che i disordini in scuola, fossero stati provocati da lui per mezzo del figlio, che la petizione fosse stata da lui promossa; e le fece vedere un nemico dove aveva creduto un amico fino allora. Pure un dubbio le rimaneva. E per chiarirsene, col desiderio anzi di accertarsi di quel che temeva, perché da quella persecuzione Alberto le riusciva come giustificato e reso più degno d’affetto, nascose la sua repugnanza, per dar agio al Geri di scoprirsi meglio. Un giorno egli venne a suonare il suo campanello col pretesto di portarle un libretto lasciato cadere dal ragazzo nel suo terrazzino, e all’artefatto imbarazzo d’innamorato con cui le parlò, essa rispose con ugual contegno, il quale gli fece folgorare il viso... Oh certo - un’altra volta egli avrebbe parlato aperto. Ed essa lo desiderò - per smascherarlo con il suocero - sarebbe stata una riabilitazione del marito - un primo passo verso la conciliazione.
Poi venne la Luzzi, a cercar di ridestare il sospetto che Alberto si fosse messo con la Zara.
Ma invece di gelosia, essa fece uno sfogo di orgoglio sdegnoso. Ah! Era impossibile - suo marito non poteva scendere tanto basso - fino a quella donna perduta - a quella megera - a quella donna d’operai e di petrolieri.
- Ma bada, Giulia, che si esagera...
- Oh taci!... non difendere simil feccia di donne - d’altra parte, non doveva esser più giovane, e aveva inteso dire che era orribile.
- Ma nemmeno per sogno.
E allora, per fare un colpo, essa tirò fuori il Socialismo popolare illustrato di Venezia dov’era un ritratto della Zara.
Ma essa lo prese senza guardarlo, lo spiegazzò, lo lacerò a pezzetti, - dicendo che non voleva commettere la viltà di guardarlo; - e poi espresse il suo dolore: - Oh! pur troppo, - su questo non c’era dubbio - tutto poteva capire e rassegnarsi a tutto; ma non che suo marito, per effetto delle sue idee, dovesse aver contatto con quella gente!
Ma un vago sospetto, una sorda, informe gelosia le rimase. Però, il movimento delle idee continuò. E ripensando a suo marito lungamente, alle discussioni, a tutta la storia intima delle relazioni fra lui e suo padre, per la prima volta essa cominciava a discernere nettamente le profonde differenze che erano fra i due caratteri - le esaminava ad una ad una - gli rivenivano in mente parole, atti, espressioni del viso - di certe parole di suo padre capiva ora l’effetto amarissimo che dovevano aver prodotto in Alberto - effetto che prima non aveva inteso - nello stesso ultimo disastroso diverbio cominciava a capire la provocazione enorme, e come, nonostante la maggior violenza, Alberto non avesse detto di più di quello che l’altro aveva detto a lui. Era un accumulamento di rancori, di piccole umiliazioni, di risentimenti d’un’antica antipatia e d’un lungo disprezzo, che erano scoppiati. Tutti avevano avuti dei torti. E la sua opposizione continua non aveva forse contribuito a spingerlo alla violenza? Se ella lo avesse compreso subito, secondato, confortato, forse che tutto non sarebbe andato diversamente? - Forse sarebbe stato più paziente - sentendosi spalleggiato da lei - con suo padre - più moderato nei suoi atti pubblici - più chiuso nel lavoro. Ma essa era troppo tepida, molle, per lui; a un uomo divorato da una simile passione non poteva convenirsi un’anima inerte, chiusa come la sua. E quanto aveva fatto per scuoterla, accenderla, - e quanto aveva ragionato e spiegato - con che ardore l’aveva amata nei periodi in cui s’illudeva d’averla convertita! Povero Alberto! Eppure meno infelice di lei! Perché lui, almeno, aveva le sue idee generose, la sua grande idea fissa, la coscienza di compiere un dovere e una missione, - e forse non l’amava più. Essa non aveva nulla di tutto questo, e l’amava ancora.
Mentre era in questi tristi pensieri, capitò il padre Bianchini, col viso afflitto. Era incaricato dal figlio di prender certe sue carte d’appunti, per lavorare. Essendo cosa d’importanza, e non fidandosi d’un facchino, egli glie li faceva portare in una valigia dal vecchio Peroni.
Tutti e due, lei in silenzio, lui smozzicando fra i denti delle imprecazioni sorde contro i nemici del figlio, la borghesia in generale, e dei pronostici d’una rivoluzione sacrosanta, cercarono e misero insieme le carte.
E quando essa lo vide uscire, ebbe una stretta dolorosa al cuore, e diede in pianto. - Le parve che con quelle carte fossero gli ultimi suoi pensieri che si staccassero da lei.