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Una sera di domenica, mentre stava per uscire da via Barbaroux in piazza Castello, si trovò tutt’a un tratto in mezzo a un turbinio di gente che fuggiva e accorreva da ogni parte, gridando: - I disoccupati! - C’è una rivolta! - Si ammazzano! - e vide in mezzo alla piazza una gran folla in tempesta, di sopra alla quale s’agitavano braccia tese, daghe, bastoni e pennacchi e andavan per aria cappelli d’operai e cheppì di guardie, tra un clamore d’urli e di strida che pareva uscire da un serraglio di belve infuriate. Era la prima volta ch’egli vedeva uno spettacolo simile. E più pronto del pensiero ebbe un rimescolo di sangue, un violento moto d’avversione pei ribelli, un desiderio di repressione immediata impetuoso e selvaggio come la rivolta d’un istinto violato. Una nuova ondata di curiosi accorrenti gli nascose la scena, ed egli svoltò in una delle strade laterali, quasi deserte, e s’avviò verso casa.
Riavutosi appena da quella scossa, rimase maravigliato di se medesimo, come se fosse stato per un momento un altr’uomo da quel che era. Non bastava a spiegargli quel suo sentimento subitaneo il naturale orrore della violenza: egli aveva avuto un moto di sdegno e di odio, ingiusto, inumano, inconciliabile con le sue nuove idee. Egli sapeva che da molti mesi migliaia d’operai languivano di fame per mancanza di lavoro. Anche respingendo il principio del diritto al lavoro, che equivale a negare il diritto alla vita, egli avrebbe dovuto sentir pietà per quegli uomini inaspriti da una lunga tortura immeritata, ai quali la società, quando essi le dicono: - Danne del lavoro per farci vivere! - risponde: - Lavoro non ce n’è, nutrirvi non posso, morite -, quella stessa società che li forza a servirla con le armi e a morire per difenderla. Quella pietà egli non l’aveva sentita. Che altro era stato il suo sentimento fuorché un sussulto del suo animo di borghese, che aveva visto in pericolo il dominio e gl’interessi della propria classe? A questo punto, dunque, si ritrovava ancora? E gli risonò all’orecchio una voce grave, ripetendogli parole che aveva lette mesi addietro, senz’afferrarne la verità profonda - Bada! Le condizioni e le consuetudini della tua vita signorile hanno messo in te una solidarietà con la tua classe assai più profonda e più potente di quella che tu credi abbiano stabilito fra te e la classe inferiore le tue nuove idee. Bada! I tuoi pensieri astratti, i tuoi sogni di giustizia possono bensì, nei periodi di riflessione tranquilla, quando tutto è quieto al di fuori, spingerti verso la parte degli oppressi; ma al momento d’una grande crisi sociale, quando le due classi, inesorabili nemiche, cozzeranno in una lotta suprema, tutti i legami della tua vita ti riattireranno irresistibilmente dalla parte degli oppressori. - Queste parole gli penetrarono per la prima volta fin nei più intimi recessi della coscienza. Ed egli pensò. Se un tal senso l’aveva vinto davanti a un lieve disordine, che sarebbe stato davanti al grande sconvolgimento dell’avvenire? E si finse questo con l’immaginazione: moltitudini armate e irruenti, tutte le forze dello Stato impegnate in una battaglia immane, la vita sociale sconvolta e sospesa, l’esistenza di tutte le fortune dipendente da un passo della vittoria esitante, in mezzo a mucchi di cadaveri e a fiumi di sangue. E la voce di prima gli domandò bruscamente: - Da che parte staresti allora? Di chi vorresti la vittoria? - Egli non osò formulare a se stesso la risposta, che era un turbamento doloroso, pieno di dubbi e di vergogna. - E se è così - riprese la voce - perché professare delle idee a cui non ti senti di restar fedele fino all’estremo, e di cui temi forse il trionfo? Non ingannare te stesso, né gli altri; esci dalle file dell’esercito che va all’assalto se non vuoi essere traditore nel giorno della prova - Ah! Questo non sarà! - rispose risolutamente; ma sentì bene che la risposta veniva dall’amor proprio ferito, non dalla coscienza sicura. Sicuro fu invece di dire il vero rispondendo a quella voce con altre parole intese altre volte da lei medesima: - Sì, hai ragione, o scrutatore implacabile delle anime. Il mio pensiero e la mia volontà sono dominati dalla mia vita. Per stabilire fra noi e gli oppressi una sincera e compiuta comunanza di volontà e di pensiero, noi dovremmo fondarla sull’eguaglianza di stato e sulla identità degli interessi. Per diventar davvero amici e fratelli loro, dovremmo rinunziare a tutti i vantaggi e alle consuetudini della nostra vita passata e presente, spezzare tutte le relazioni di sentimento, di vanità e d’intelletto con la nostra classe, voltarle le spalle, farci suoi nemici, dichiararle una guerra senza quartiere, gittarci con tutte le nostre forze nella moltitudine che le sta sotto, e viver del suo pane e dell’alito suo. E dalla verità terribile di queste parole rimase come soffocato. Sì, egli era ancora, in fondo all’anima, quello che sempre era stato; egli era legato alla sua classe da mille finissimi, invisibili, inestricabili legami che gli entravan nelle carni e nelle ossa e gli avvolgevano il cuore e il cervello, e fin che non avesse avuto la forza di reciderli tutti, non sarebbe stato un soldato vero, ma un cortigiano imbelle della grande idea, un ipocrita incosciente, e un traditore predestinato. Ed egli non aveva la forza di lacerar quei legami!
Questa idea, entrata nella sua mente come un lampo di luce sinistra, vi produsse un effetto inaspettato.
Come segue all’artista quando gli manca a un tratto l’ardore dell’ispirazione, che gli si svelano i difetti e le lacune dell’opera sua, l’assale il dubbio intorno alle parti che gli parevan più belle, e tutto si scolora e muta aspetto ai suoi occhi, così avvenne a lui quando, scematogli l’entusiasmo per l’Idea con lo scemar della sua fede in se stesso, si fece a considerare con mente quieta l’edilizio delle ragioni e dei fatti su cui quella Idea si reggeva: egli ci vide allora deformità, lati deboli e squarci, che non gli erano apparsi per l’addietro, o che, come per l’addietro, non gli riusciva più di riparare o di nascondere. Tutte quelle antiche obbiezioni, che aveva credute distrutte perché le aveva ricacciate indietro, sulla erroneità della teoria marxista del valore, sulla insufficienza dello stimolo al lavoro nella società nova, sulla inettitudine del nuovo stato a risparmiare e a rinnovare il capitale, sulla difficoltà quasi insuperabile di stabilire e conservare le differenze di retribuzione fra innumerevoli generi e valori di lavoro, di ripartir nel campo della produzione, secondo i bisogni, la moltitudine lavoratrice senza cader nella tirannia del lavoro forzato, di ridurre infine e di mantenere dentro a una forma determinata quella varietà infinita di forze, di appetiti, di passioni e d’istinti, che fanno fluttuare la società come un oceano; tutte queste ed altre obbiezioni lo riassalirono tutte insieme, con maggior vigore che la prima volta, e lo incalzarono fino agli ultimi ripari della sua ragione. Non si sgomentò e, per riprendere il campo, si rimise a uno studio scientifico e tranquillo del grande problema, come a una cosa nuova; ma s’accorse ben presto che era tutt’altra impresa da quella di studiarlo, come aveva fatto prima, non per altro che per cercare argomenti in sostegno d’una fede già abbracciata. Vedeva ora che la più parte delle quistioni secondarie, le quali, guardate di sfuggita, gli erano parse una volta semplici e nette, studiate a fondo, si ramificavano, intrecciandosi a tutto il sistema sociale, e si estendevano così lontano, che sfuggivano alla sua intelligenza, non esercitata agli studi vasti e complessi. E s’arrestò cento volte, disanimato. Resisteva ancora, nondimeno, su tutti i punti che gli parevan più chiari; s’irritava nella resistenza; avrebbe voluto alterare i fatti e le cifre addotti dagli avversari e falsificare a se stesso i loro argomenti per salvare le sue credenze; ma queste, non più tenute salde dalla passione, tentennavano, e cedevan terreno a poco a poco. Riconobbe allora che veramente persuaso non era mai stato; che non erano venute a lui le idee nuove, ma che egli s’era precipitato in esse; che, insomma, egli s’era fatto la sua fede presso a poco come si fa un’opera d’arte, per ispirazione più che per altro, non tanto guidato dalla passione della verità quanto dominato dall’amore d’un ideale; e che avrebbe dovuto disfare e rifar da capo, con infinita pazienza, l’opera sua.
Quanto aveva ragione chi scrisse che non si giunge al socialismo senza fatica e che senza fatica nessuno vi si mantiene! Egli fu così sgomentato dal proprio mutamento, si ridusse in uno stato d’animo così penoso, che per giustificar l’uno e uscire dall’altro, fu tentato di cercare nel campo delle idee opposte la certezza e la quiete della coscienza di cui aveva bisogno. E non osò di cercarla; ma nuovi e gravi dubbi lo strinsero. Dio buono! A che serviva ch’egli si votasse a una causa il cui trionfo non era forse possibile che in un remotissimo avvenire? "L’umanità non segue lo slancio impetuoso degli spiriti profetici e dei cuori di fiamma." E formidabili erano gl’impedimenti della stupidità, dell’inerzia, dell’eredità d’una educazione secolare repugnante alla nuova idea, delle vecchie consuetudini stratificate, di generazione in generazione, nelle coscienze e nelle menti; sotto la crosta della civiltà restava ancora quasi immutato il basso popolo antico, col suo angusto intelletto girante eternamente sopra se stesso col movimento elementare d’un meccanismo barbarico; la lotta, che si credeva prossima a una fine vittoriosa, durava da secoli, e sarebbe durata dei secoli; appetto alla incommensurabile lentezza con cui si trasforma la società umana la vita d’un uomo non era che un minuto in un anno. A che valeva agitarsi? Egli non avrebbe nulla affrettato, nulla mutato, nulla visto. E con lo svolgersi di questi pensieri, tutto il sistema sociale, a grado a grado, tornava quasi a riprendere nella sua mente "il carattere inesorabile e inviolabile d’un ordine naturale, cattivo per essenza e per necessità", al quale gli uomini e il tempo non avrebbero recato che miglioramenti superficiali, e insensibili forse, perché fonte essi stessi di nuovi bisogni e di patimenti nuovi. Certo che, in mezzo a questi pensieri, egli risentiva ancora alle volte, come trafitture improvvise, rimorsi e vergogne, e anche più spesso una pietà amara di sé e del suo ideale morente. Ma invece di lasciarvisi andare, vi si ribellava, e cercava di consolarsene, pensando che era forse vera la sentenza, che ogni uomo crede e discrede a vicenda, e quasi al tempo stesso, nei principi opposti, e non si mostra fermo negli uni o negli altri se non per interesse, per amor proprio o per dovere. Poi cominciò a prendere in uggia quei libri che aveva letti ed amati con tanto ardore, poiché da ognuno di essi usciva una voce di rimprovero contro di lui, e ripercorrendoli a mente fredda, ne trovò scolorite le pagine più potenti, e s’infastidì di quelle tanto ripetute e così facili critiche dello stato di cose presente, di quell’eterna e così comoda antitesi del millionario ozioso e del lavoratore famelico, di quei sistemi sociali disegnati come la pianta d’un palazzo o esposti come la tela d’un poema, di quel continuo parlare d’un avvenire di concordia, di pace e d’amore, e quasi d’una felicità futura del genere umano, quando era certo che sarebbero rimaste sempre la morte, le infermità, le torture dell’amore non corrisposto, le angosce dell’ambizione delusa, le ferite aperte dall’ingratitudine, e con le ingiustizie cieche della natura, le invidie e gli odi e le discordie, e tutti i più grandi dolori che ora ci premono. E infine si vennero mutando alquanto nel suo concetto anche i suoi recenti correligionari. Sola rimase inalterata, in disparte, circonfusa d’un certo mistero, la figura pallida di Maria Zara. Ma del Rateri, pensò che si fosse dato al socialismo, come quel grande orgoglioso di Carlo Marx, perché v’era in quello un posto vuoto e solitario, in cui il suo ingegno sarebbe stato più visibile, e più facilmente dominatore. Il Barra era forse mosso dall’unico proposito di sollevarsi al di sopra della sua classe. Il Calotti era un vecchio fanciullo, le cui ingenue illusioni gli ispiravano un senso di pietà. E il Baldieri... Appunto, come avrebbe potuto trionfare il socialismo dell’opposizione implacabile e disperata di quei suoi nemici, sempre crescenti d’audacia e di numero; coi quali era involontariamente alleata l’enorme moltitudine abbrutita e infingarda che rappresentava il vecchio muratore Peroni? E questa moltitudine, riscotendosi all’ora della violenza, non si sarebbe gittata, per istinto, dalla parte loro? Non aveva ragione il Cambiasi credendo che ogni opera di riordinamento sarebbe stata impossibile, che ogni tentativo di attuazione del grande ideale sarebbe andato travolto nella tempesta?... Ah! Non aveva fatto che un bel sogno, e anche tutti gli altri sognavano. Per un’altra grande idea, e con ben altra forza, s’era levato il mondo diciannove secoli addietro, e dopo aver compiuto, con una speranza immensa, prodigi di virtù e d’eroismo, era rimasto un caos di miserie e d’orrori. Più saggio era lasciar che il mondo andasse per la sua via, ritornare agli studi piacevoli, e goder degli agi della vita, contentandosi d’essere onesti e buoni, di fare il maggior bene possibile intorno a sé, e di dare a ogni idea di riforma benefica un tacito consenso, senz’altro. Per fortuna, egli era ancora in tempo ad arrestarsi...