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FANTASIA

A Giulio Palma.


Poi che tra’ lauri sacri ad Apolline
colsi da’ rosei labbri di Lilia
mille trepidi baci
olezzanti d’ambrosia,

5e ne le glauche pupille accendersi
vidi e rifulgere d’amor gl’incendii
con un riso di gioia
soavemente languido,

non più la stridula voce de l’odio
10mi strazia l’anima: sento, o mio Giulio,
un desiderio vago
di librarmi su l’aure.

E volo: e placidi prati d’anèmoni
veggo a ’l purpureo lume de ’l vespero,
15e silenziose valli,
e immensi mari fulgidi…

E volo: e in rapida lieta vertigine
intorno danzano le care immagini
luccicanti di sole
20de ’l morto paganesimo…

Da lunge gli ardui di marmo dèlubri
suonano d’ilari cori di vergini,
e presso l’ara geme
la pia vittima e sanguina.

25Là giù fra’ taciti boschi di platani
le bianche Driadi veloci inseguonsi
e co’ bicorni Fauni
lascive danze intrecciano.

Delia con l’auree freccie gli alipedi
30cervi perseguita lieve tra gli alberi
ed i cani furenti
a lei d’intorno latrano.

Emergon trepide da’ flutti vitrei
l’ude Nereidi ne ’l vel di porpora,
35e canti armonïosi
giù pe’ declivi mescono:

— Cintio precipita, gli alcioni gemono:
noi siam l’equoree figlie di Doride:
cantiam, dolci sorelle,
40i trionfi di Venere!…

I cieli ridono, l’onde lampeggiano:
noi siam le fulgide perle oceanidi:
cantiam, dolci sorelle,
gli strani amor di Tetide!…

45Alma Cimòtoe da ’l crin castaneo,
gentil Limnòria da’ ricci floridi,
occhi-bovina Toe,
deh! accorrete a ’l cantico!… —

E volo: e i villici su l’unco vomere
50poggiati frangono le glebe, attoniti
co’ grandi occhi guatando
a gli avvoltoi che passano.

Va la nubivaga turba con rabido
di penne strepito lunge, e gli Aruspici
55in que’ diversi moti
i futuri tempi scrutano.

(E forse i fulgidi scutati eserciti
da le romulee porte a manipoli
usciranno domani
60tra’ clamori de ’l popolo:

forse la vittima pingue co ’l fumido
sangue e co’ gemiti l’ira de ’l massimo
Dio placherà morendo
a ’l suono de le cetere…)

65Dinanzi a un dèlubro sacro a ’l capripede
Nume le semplici figlie d’Eleusi,
cinte di spicei serti,
piccoli doni portano:

portano un pendulo corimbo d’ellera
70misto di candide rose di maggio,
un calamo silvestre,
una faginea patera…

E poi co’ giovani pastori guidano
a ’l suon de’ flauti la danza bàcchea;
75e le furtive occhiate
e i molli risi mesconsi…

Ancor per l’aure vien da l’Oceano
il lieto cantico de le Nereidi:
— Scherziam, dolci sorelle,
80a i fulgori de ’l vespero! —

E passo e il vigile Licisca a guardia
veggo de ’l claustro: veggo la pavida
Galatea, più de ’l timo
dolce, fuggir tra i còrili:

85veggo le nivee greggi di Titiro
pe’ pingui pascoli carpire i citisi,
veggo i plaustri dipinti,
i riluttanti tauri,

ed anche Lilia ne ’l peplo candido
90veggo fra un àlacre stuolo femmineo
co ’l fronte redimito
di fiammanti papaveri…

E grido: — O splendida figlia di Venere,
a cui le Grazie sì liete arrisero,
95a cui sì dolci i lumi
d’amor su ’l volto brillano,

lascia i sacrìfici cori, e tra’ lauri
sacri ad Apolline, deh vieni, e donami
i tuoi trepidi baci
100olezzanti d’ambrosia!… —

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