< Puerili (Leopardi)
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L'amicizia, idillio
La morte di Saulle Morte di Catone

8

L'AMICIZIA

Idillio.

(1810)


     Di Febo già lo sfolgorante cocchio,
fuoco spirando, i celeri destrieri
al pelago traean; d'un roseo lume
tingeasi l'orizzonte, e già su l’alto
5cocchio ascendea la tenebrosa notte;
quando Damon, da la capanna uscendo
mesto e dolente, al verde erboso prato
rivolse il passo, onde sfogar l'acerba
doglia fatai che l'opprimea. Dintorno
10al fecondo terren sorgean ramosi
arbori verdeggianti; orme stampava
col tortuoso piè di bianco argento
il limpido ruscello, e tra le fronde
mormorava tranquillo il zefìretto:
15la stridula cicala il rauco suono
udir facea dal verde tronco annoso,
e i pinti augelli ognor di ramo in ramo
canticchiando sen gian; flebile e mesto
piangea nel bosco il musico usignuolo
20e risuonar facea del dolce canto
l'ameno campo e l'alta selva opaca.
Al margine del rio, sul prato erboso,
sotto un platano altèr si stende afflitto
il dolente pastor; puntella il capo

25con la debole destra, e in meste voci
cosi l’affanno ed il dolore esprime.
     — Giorno fatal!... terribil giorno! è questo
quel di ferale in cui profonda e nera
oscura tomba... oh Dio!... l’ossa rinchiuse
30del fido Tirsi: omai di sette lune
scorse il giro dacché funesta notte
a lui gli occhi ingombrò; gelida salma
ei giacque in preda a cruda morte acerba,
e il petto offrì de la tremenda falce
35a l’impeto fatale, al colpo orrendo...
Terribil colpo che atterrò, trafisse
un amico fedele e seco al suolo,
barbaro, stese la tranquilla pace
d’un misero pastor. Con lui sepolta
40la mia gioia sen giace, e sol compagno
m’è ne l’acerbo duolo il lutto e il pianto.
Misero amico! o più diletta parte
de l’afflitto mio cor! Dunque per sempre
giacer ten devi ne l’eterno sonno,
45né più potremo con verace affetto
darci di fido amor pegni sinceri?
Sventurato Damon!... Tirsi infelice!...
Barbara morte! — E in così dir, dagli occhi
sgorgano a rivi ad irrigar le gote
50lacrime di dolor: mesto ed afflitto
ei tace e in petto affoga il crudo affanno.
Ma già la notte il tenebroso manto
d’ogni intorno stendea; di già dal cielo
fulgidi risplendean gli astri lucenti;
55al tremolante suo pallido lume
l’argenteo cocchio per l’eteree vie
Cintia guidava, e l’atro velo oscuro,
che d’ogni parte ottenebrava il mondo,
rompea benigna, e la riflessa imago
60ne’ chiari fonti contemplava, e tutta

giacer mirava nel sopor la terra.
Lieti posavan su le verdi fronde
i taciti augelletti; il rugghio orrendo
udir non si facea de l’aspre belve,
65che fra gli opachi ed intricati boschi
amica tregua a le diurne cure
davan col sonno, e a la custodia intento
solo vegliava il fido can nei campi
o del pastore a la capanna accanto.
70Di già, scotendo la stillante verga,
il tacito sopore in cieco oblio
il dolente Damon sepolto avea;
quando ad un tratto d’ingannosa imago
adombra il sonno del pastor la mente;
75che, ancor fra l’alta oblivione avvolto,
solo a l’estinto sventurato amico
il doglioso pensier fisso ed immoto
ognor tenea; con le sonanti penne
le luci a lui coprendo, il sogno errante
80l’afflitta mente d’atre larve ingombra.
     Nel cupo della terra orrido seno
entrar gli sembra fra le tombe oscure
degli estinti mortali: umile il volto,
dimesso il portamento e grave il passo,
85egli s’avanza al moribondo lume
di sepolcrali lampade dubbiose
pendenti innanzi ai tenebrosi avelli
degli avi antichi. Le marmoree tombe
mira de’ regi che, orgogliosi un giorno,
90steser lo scettro sopra i vasti imperi
e su d’allèro soglio un dí fûr visti
regnar superbi e dettar leggi al mondo.
Tacite e meste ai neri avelli accanto
vede l’ombre seder, non più di ricca
95aurea corona cinto il nobil capo,
ma solo di funèbre atro cipresso;

mira a’lor piedi l’impotente scettro
spezzato e infranto, quello scettro altèro
che un di soggetto al cenno suo già vide
100e popoli e città, regni ed imperi.
     Avanza il passo, e le funeree tombe
mira di quei che con fulmineo acciaro
fecero un di tremar le avverse turme;
al di cui lampo, spaventate, il tergo
105volsero un giorno le atterrite schiere;
di quei che, carchi di vittrici palme,
in trionfai superbo cocchio assisi,
dei nemici insultàro al mesto pianto,
ed ora appiè de’ tenebrosi avelli
110miran giacer gli aridi allori e il brando,
non più terror d’armate squadre ostili,
e il non più forte scudo e l’elmo e l’asta
e le neglette ed atterrite insegne.
Quindi le dotte e sapienti carte
115e i savi dogmi ai muti avelli accanto
premere ei vede e calpestar feroce
il cieco oblio con l’ingiurioso piede,
e d’ogni intorno sovra il suol disparse
spezzate cetre, che armoniose il suono
120udir già féro ed ammirar la destra
che l’aurate trattò musiche corde.
Con ciglio attento e rispettosa fronte
sul sacrato ricetto aifin s’innoltra.
De la polve dei giusti intorno ei mira
125fra i vivi raggi di splendor lucente
le felici seder gloriose larve,
di trionfai corona il capo cinte,
in man reggendo la vittrice palma:
l’oro fulgente e le preziose gemme
130premon col piè: l’inesorabil Morte,
fissi gli occhi sul suolo, immobil guata
giacere infranta la negletta falce,

stupida resta e rimirar non osa
de’ vincitori suoi l’ombra nemiche.
135D’ogn’intorno volgea lo sguardo intanto
l’attonito Damon, quando ad un tratto
mira nel mezzo a le vittrici larve
su d’alto soglio, fra le verdi fronde
di trionfale allòr, fra il mirto altèro
140il fido Tirsi assiso; intorno ad esso,
cinta la chioma d’olezzanti fiori,
vede seder de le virtudi amiche
il venerato stuol; tutto ad un tratto
ammirato s’arresta: indi, rompendo
145il tacito silenzio: — Ah! vieni — esclama
— vieni al mio sen, diletto amico; alfine
rimirarti poss’io; l’estremo amplesso
da un compagno fedel ricevi; — e tosto,
le braccia avidamente al collo stende.
150Quando ad un tratto, l’ingannoso sogno
scosse le penne e per l’eteree vie
rivolse il volo. Stupefatto, immoto,
resta a un punto il pastor fra gioia e duolo;
rivolge dubitando intorno il guardo,
155si confonde, si arresta e incerto alfine,
fisso il pensier su le sognate larve,
alla rural sen torna umii capanna.

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