Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1894

QUATTRINO INEDITO

di

FRANCESCO D’ESTE PER MASSALOMBARDA



Nell’eseguire i lavori di sistemazione del piazzale attiguo alla chiesa di S. Francesco in Urbino, vennero esumate le ossa da alcuni vecchi sepolcri situati in un loggiato adiacente alla chiesa stessa.

Questi sepolcri vennero frugati senza veruna attenzione e sorveglianza, mentre forse meritavano maggiore riguardo, poiché tradizioni e memorie scritte concordano nel dirci che furono ivi sepolti molti celebri Urbinati, tra i quali anche i genitori di Raffaello, Giovanni Sanzio e Magia Ciarla.

Diverse monete vennero alla luce in queste escavazioni e tutte andarono vendute e disperse, ad eccezione di poche, le quali capitarono nelle mani del signor Giovanni Bardovagni, dotto e modesto raccoglitore delle memorie patrie, dal quale ebbi cortesemente per esame quelle che egli giudicò più interessanti e degne di osservazione. Infatti evvi fra esse un picciolo di Federico II coniato in Urbino, già illustrato dal Tonini1: un picciolo di Fano inedito o meglio citato scorrettamente dal Catalogo Rossi2: un picciolo di Costanzo Sforza, signore di Pesaro3, e da ultimo la curiosa monetuccia che mi diede occasione a scrivere questo articolo.

Eccone la descrizione:

D/ — In tre linee sormontate da corona che chiude un cerchio di fiordalisi: FR • E M • M AS •
R/ — Vaso o canestro di fiori entro cerchio di fiori.
Metallo: Rame misto a poco argento. Peso, milligr. 680.

A primo aspetto, come può vedersi anche dalla riproduzione in testa a questo cenno, la moneta si confonde coi quattrini di Guidubaldo II della Rovere Duca di Urbino, che il Reposati4 chiama del vaso, ma poi si avverte la diversità della leggenda e anche la varietà del rovescio.

Non esitai, alla lettura del diritto, di attribuire la monetina a Francesco d’Este, marchese di Massalombarda, e, procuratomi, a mezzo dell’egregio signor Cav. Ercole Gnecchi, l’articolo del Kunz, ultimo scritto su questa zecca5, vidi che la moneta era rimasta sconosciuta a lui come ai precedenti illustratori. Essa dunque ci porge un nuovo esempio delle imitazioni frequentissime nel secolo XVI delle monete di altri stati fatte da quei principi che volevano così accreditare i prodotti più o meno legittimi delle proprie officine. E il fatto di aver rinvenuto tale imitazione in Urbino, ossia nel paese originario della moneta imitata, ci prova che lo scopo era stato completamente raggiunto. Nè questa è l’unica imitazione, chiamiamola imitazione, senza adottare il nome, più proprio forse, ma più odioso di falsificazione, fatta dal marchese di Massalombarda. Il Kunz cita il grosso tirolino e il quattrino chiavarino di Bologna, imitati da lui6. Nessuna meraviglia adunque che credesse conveniente d’imitare anche le monete del Ducato di Urbino, che per la vicinanza e le costanti relazioni, dovevano aver credito nel marchesato e in tutto il Ferrarese.

Il quattrino di Guidubaldo, prototipo della nostra moneta, venne coniato, secondo il Reposati7, non prima del 1558: il suo valore era tale che ne andavano sette per bolognino e cinquanta per oncia: la lega era di ventidue denari per libbra. Siccome fuori dello stato di Urbino queste monete di lega o quattrini valevano assai di meno, tanto che ne andavano otto per bolognino, è evidente che anche senza abbassare il titolo della lega, oppure abbassandolo di poco, si veniva a fare un guadagno non indifferente introducendone di quelli imitati. E ciò è tanto vero che dopo poco più di tre anni, nel 1562, lo stato Urbinate si trovò inondato di monete scadenti, e il Duca, per ovviare ai danni derivanti da ciò, fu costretto a limitarne il valore, decretando con bando del 10 giugno che ne dovessero andare otto e non più sette per bolognino8. È a ritenere che anche la nostra moneta fosse prodotta in questo periodo e facesse parte di quelle importazioni che provocarono la suaccennata riduzione di valore. Se pure non piaccia più l’ipotesi che la imitazione sia alquanto posteriore e si riannodi a un altro fatto che contribuì a rendere più stretti e intimi i rapporti tra la casa d’Este e quella della Rovere e per conseguenza degli stati da loro dipendenti, voglio dire al matrimonio di Francesco Maria, figlio del Duca Guidubaldo, con Lucrezia d’Este, che avvenne nel settembre del 1570.

In questa circostanza vennero coniate anche a Pesaro molte monete di lega con l’aquila estense9, le quali, pur non essendo vera imitazione di monete della casa d’Este, avranno certo avuto corso anche negli stati dipendenti da questa. Ciò, senza giustificarla, rendeva meno appariscente e più plausibile l’imitazione fatta da Francesco d’Este di qualche moneta dello stato vicino ed amico.

Ci resta a dire qualcosa del rovescio. Nei quattrini di Guidubaldo è figurata un’impresa, che il Reposati ritiene rappresenti un vaso rovesciato con fiamme e ciò per ignoranza degli scultori in luogo della pietra focaia o focile sfavillante del Toson d’oro10. L’ignoranza degli scultori mi pare fuori di luogo, perchè la stessa impresa è ripetuta come motivo ornamentale nelle finestre del palazzo ducale di Pesaro che portano anche le iniziali: G • V • DVX. Il Vanzolini, parlando di queste finestre nella sua Guida di Pesaro, la chiama: fiamma rovescia, senz’altro11. Guidantonio Zanetti così ne chiedeva il significato in una delle molte lettere indirizzate all’Olivieri: " Aggradirei pure sapere se il vaso o altro che sia che si vede nelle monete del d.° Duca (Guidubaldo II) al N. 27, 28 e 29 (Reposati), sia una sua impresa come avvisa trovarsi dipinto in più luoghi in Pesaro, o sia la Pietra focaia come in quella al N. 32 e 33 „12. Sarebbe opportuno e curioso conoscere la risposta dell’Olivieri, eruditissimo delle cose patrie, che potrebbe portare qualche lume sull’argomento; e forse la si potrei rinvenire tra le carte dello Zanetti custodite nella Biblioteca di Brera.

Il fatto sta che nessuno ha dato finora l’interpretazione di questa impresa, la quale, non trovandosi nelle monete anteriori a Guidubaldo, poteva ritenersi fosse esclusivamente sua come quella delle tre mete. Però l’istesso emblema si trova anche nel palazzo ducale di Urbino in alcuni di quegli stipiti maravigliosi che sono indubbiamente della primitiva costruzione ossia del tempo di Federico: quindi l’impresa non è più di Guidubaldo o dei Rovereschi, ma dei Feltreschi e più propriamente del Duca Federico, come la giarrettiera.

E, guardando accuratamente la figurazione di questo emblema, troviamo che l’oggetto rappresentato ha una forte somiglianza con le palle esplodenti che poi furono dette bombe e granate. Sappiamo che Federico perfezionò di molto le artiglierie che usò con vantaggio nei vari assedi che ebbe a dirigere. Il Ricotti accenna al fatto che egli lanciava fuoco contro le città assediate13: il Grossi ci soggiunge come egli fosse assistito dall’ingegnere Gentile Veterani che lo giovò moltissimo, specie nell’assedio di Volterra, come inventore di nuove forme per assalire le piazze14. Sigismondo Malatesta, emulo di Federico, si servì pure di palle esplodenti15. È naturale adunque che anche Federico si giovasse del trovato del suo avversario e forse lo perfezionasse. Ci dà adito a questa supposizione il vedere adottata da lui l’immagine delle bombe tra gli altri emblemi militari e civili che si ripetono costantemente nelle ornamentazioni del suo magnifico palazzo. Queste mie osservazioni, che non posso confortare con altri argomenti, potranno dare motivo a qualche studioso di fare delle ricerche in proposito.

Checchè ne sia del significato dell’emblema figurato sui quattrini di Guidubaldo, sta in fatto che il rovescio della nostra moneta, somigliando moltissimo a quello, pure ne è sostanzialmente diverso, perchè raffigura un canestro o meglio vaso di fiori. Rappresentazione non nuova nelle monete di Francesco d’Este perchè il Kunz ne descrive un soldo di basso argento, che al rovescio ha "una specie di canestro„16. La differenza non è tale però da escludere l’imitazione che apparisce evidente dalla forma del canestro che si confonde con tutta facilità col pseudovaso dei quattrini di Guidubaldo, dal cerchio che lo attornia, dalla disposizione della leggenda e della corona e dagli altri ornati del diritto.

Siamo dunque di fronte a una moneta nuova e finora sconosciuta di Massalombarda, che è imitazione, o più propriamente falsificazione del quattrino di Guidubaldo della Rovere, coniato a Pesaro. Cosa, come dissi da principio, assai frequente in quel periodo e che continuò e crebbe nel successivo secolo XVII.

  1. Tonini Pellegrino, Un picciolo inedito di Federigo II duca d’Urbino. " Periodico di Numismatica e Sfragistica „. Vol. II, pag. 34.
  2. Catalogo della Collesione Rossi di Roma, pag. 83, n. 1077. Al rovescio mette veduta della città, mentre si tratta dello stemma municipale dei due rastrelli, che, visto orizzontalmente, dà sembianza di mura e torri. Questo picciolo venne di recente pubblicato dal Conte Nicolò Papadopoli. Vedi Rivista Italiana di Numismatica, Anno VI, p. 420.
  3. Olivieri, Della Zecca di Pesaro e delle monete pesaresi dei secoli bassi. Bologna, Lelio dalla Volpe, 1773, tom. I, n. xvi
  4. Reposati Rinaldo, Della Zecca di Gubbio e delle gesta de’ Signori della Rovere. Bologna, Lelio dalla Volpe, 1773, tom. II, pag. 199.
  5. Kunz Carlo, Monete inedite o rare di Zecche italiane. — Massalombarda. " Archeografo Triestino „, II Serie, voi. IX, pag. 166 e segg.
  6. Ivi, pag. 180, n. 26, pag. 183, n. 32.
  7. Op. cit., pag. 198.
  8. Ivi.
  9. Reposati, Op. cit. — Monete di Guidubaldo II, n. 41; di Francesco Maria II, n. 9, io, 12, 21 e 22. Tutte queste monete portano l’aquila estense al rovescio, sebbene il Reposati non le ritenga coniate tutte nell’occasione del matrimonio.
  10. Idem, ivi, pag. 199.
  11. Vanzolini Giuliano, Guida di Pesaro. Pesaro, Annesio Nobili, 1864. pag. 140.
  12. Zanetti Guidantonio, Lettere ad Annibale Olivieri. Mss. nella B blioteca Oliveriana di Pesaro. Lettera n. xlviii dll’8 gennaio del 1774. — In questo volume si contengono 209 lettere inedite dello Zanetti, alcune delle quali ricchissime di notizie e osservazioni archeologiche e numismatiche.
  13. Ricotti Ercole, Storia delle Compagnie di Ventura in Italia. Torino, 1846.
  14. Grossi Carlo, Degli uomini illustri di Urbino. — Comentario. Urbino, Guerrini, MDCCCXIX, pag. 210.
  15. Ricotti, Op. cit. — Valturio, De Re militari. Lib. X, p. 267.
  16. Kunz, Loc. cit., pag. 181, n. 27 e.

Note

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