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XXIII
LA SALTATRICE
A Fabio Ametrano
Questa bella d’amor maga innocente,
che con giri fatali
i balli move inegualmente eguali,
fa d’insolita gioia ebra ogni mente,
e ’l piè sciogliendo ai regolati errori,
incatena gli spirti, incanta i cori.
Prima, accorta ne’ moti, alza e misura
coi bei suon de le corde
ne la musica danza il piè concorde,
dando al corpo gentil grazia e misura;
indi parte e ritorna e, mentre riede,
sopra l’ali d’amor regge il bel piede.
Desta e sciolta, in un piè s’attiene e libra,
indi il passo radoppia,
e l’alza in aria e nel cader l’accoppia;
si rota intorno e se medesma vibra,
e ne’ suoi modi e ne’ suoi moti erranti,
fatta rota d’amor, volge gli amanti.
China a tempo il ginocchio e l’aurea testa
con bell’atto soave,
e posando la danza, ergesi grave;
poi si spicca in un salto, agile e desta,
che leggiero nel vol s’erge tant’alto,
che dubbioso non sai s’è volo o salto.
Va con breve ed armonico intervallo,
regolato da l’arte,
or da la manca or da la dritta parte;
fugge e rompe la fuga in mezzo al ballo,
e ne l’ordine suo mutando gioco,
la credi in uno ed è ne l’altro loco.
Mentre fuor dal bel lembo aurato e bello
de la gonna sua vaga
spinge il piè delicato, ogn’alma impiaga;
par la punta del piè strale novello,
che spedito e veloce in mezzo i petti
fuor da l’arco d’Amor l’alme saetti.
Forse scesa qua giú la bianca luna
dai volubili calli,
ha traslati fra noi gli eterni balli?
o pur nova d’amor vaga fortuna,
rendendo altri infelice, altri beato,
volge in vario tenor l’umano stato?
Da sí belle e sí rapide carole
apprendete voi, stelle,
a danzar colá su piú vaghe e belle.
Ore, ancelle del dí, figlie del sole,
che danzando lá su guidate il giorno,
fermate il ballo ad ammirarla intorno.
E voi ditemi ancor, nunzi volanti,
che con alto governo
regolate del ciel l’ordine eterno:
da quei zaffiri mobili e rotanti,
ch’han nel danzar sí numerosi corsi,
danzatrice sí bella è scesa forsi?
Giá di lá rispondete, e giá v’ascolto
dai celesti zaffiri:
— Donna umana non è costei che miri;
se veder brami il ciel, mira quel volto:
mira quel piè, ch’in maestá reale
ha dagli angeli appreso il moto e l’ale. —