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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Don Giovanni
Il violino di Cremona Gluck

DON GIOVANNI

Un romore tumultuoso, e il grido più volte ripetuto — lo spettacolo incomincia, mi trassero dal dolce sonno in cui io era caduto. I contrabbassi mormoravano di concerto, — un colpo di timpani, uno squillo di trombe, — un ut sfuggito lentamente da un clarinetto; i violini che si accordano... io mi sfrego gli occhi. Il diavolo si sarebbe egli preso gioco di me nel mio assopimento? No, io sono ancora nella cerniera dell’albergo dove io sono smontato jeri colle coste mezze fracassate. Precisamente sopra il mio capo penzola il cordone rosso del campanello. Io me gli attacco con forza. Un garzone si presenta.

— Ma, in nome del cielo che cosa significa questa musica confusa, così vicina a me? Si dà forse un concerto qui in casa?

— Vostra Eccellenza (a tavola rotonda io aveva bevuto vino di Sciampagna), Vostra Eccellenza forse non sa che questo albergo confina col teatro? Quella porta tappezzata conduce ad un piccolo corridoio da cui si entra nel palco numero 23: il palco dei forestieri.

— Come? il palco dei forestieri?

— Sì, un piccolo, palco, in cui non capiscono che due o tre persone al più: lo si riserva ai signori di qualità, in tutta vicinanza al teatro, ben chiuso colla sua grata, e tappezzato di verde. Se mai piacesse a-Vostra Eccellenza.... Oggi donno il Don Giovanni del celebre Mozart; il prezzo del posto, è d’uno scudo e di otto grossi; noi lo metteremo nel conto.

Egli pronunciò queste ultime parole aprendo di già la porta del palco: tanto al solo nome del Don Giovanni io mi era affrettato di slanciarmi dalla porta tappezzataci corridojo! La sala era vasta addobbata con buon gusto e illuminata in una maniera brillante; i palchi e la platea erano pieni di gente. I primi accordi della sinfonia mi fecero conoscere che l’orchestra era eccellente e che se i cantanti alcun poco la secondavano, io doveva aspettarmi tutti i godimenti che mi prometteva quel capolavoro. — Nell’andante lo spavento del terribile e sotterraneo regno al pianto s’impadronì di me; l’orrore penetrò nella mia anima, il gioioso suono dei corni collocati alla settima battuta dell’allegro eccheggiò come le grida di piacere di uno scellerato, ed io credetti scorgere dei demoni minacciosi uscire dalla notte profonda, poi una folla di figure animate dall’allegria ballare con trasporto sopra la sottile superficie d’un abisso senza fondo. Il conflitto della natura umana colle potenze sconosciute che la circuiscono per distruggerla si offerse con tutta chiarezza al mio spirito: ma infine la tempesta si calmò ed alzossi il ripario.

Intirizzito dal freddo e malcontento, si avanza nel bujo della notte Leporello avvolto nel suo tabarro, e incomincia. Notte e giorno faticar. Ah! in italiano dunque, dissi: Oh! che piacere! io sentirò dunque tutte le arie, tutti i recitativi, quali il gran maestro gli ha concepiti e a noi gli ha trasmessi. — Don Giovanni si precipita sulla scena, e dietro a lui Donn’Anna che tiene pel mantello il colpevole. Quale aspetto! Ella avrebbe potuto essere più leggera, più svelta, più maestosa nel suo portamento, ma qual testa! due occhi da cui si slanciano, come da un punto elettrico, l’amore, l’odio, la collera, la disperazione, una pioggia di capelli le cui anella ondeggianti svolazzano sopra un collo di cigno. Un vestimento bianco di trascurata leggiadria, che ad un tempo copre e tradisce vezzi che mai non si videro senza pericolo. Ancora scosso dall’emozione il suo seno si abbassa e si solleva con violenza. E qual voce! Utitela cantare; Non sperar se non m’uccidi. — Fra il tumulto degli istrumenti sfuggono, quasi lampi, gli accenti infernali, invano Don Giovanni cerca di sbarazzarsi. Ma lo vuole egli davvero? Perché non respinge dunque con mano potente quella debole donna? Perché non fugge? Il delitto che ha commesso, ha egli spezzate le sue forze, od è forse il combattimento a cui vengono nel suo petto l’odio e l’amore che gli toglie il suo coraggio? Il vecchio padre ha pagato colla sua vita la follìa di combatter mila notte col terribile avversario. Don Giovanni e Leporello s’avanzano insieme sul proscenio. Don Giovanni getta il suo mantello e resta vestito di raso rosso ricamato con tutta ricchezza. Nobile e vigorosa è la sua statura. Il suo volto è maschio, i suoi occhi penetranti, le sue labbra mollemente ritondate. Una singolare movenza dei muscoli della sua fronte gli dà un espressione diabolica, che eccita un leggiero terrore senza diminuire la bellezza dei suoi lineamenti. Si direbbe ch’ei può esercitare la magia della fascinazione, e che le donne, quando furono colpite dal suo sguardo, non possano più distaccarsene, e sieno costrette di correre da se medesime alla loro perdizione.

— Lungo e sottile, coperto d’una veste screziata di rosso e di bianco, con un piccolo mantello grigio indosso e con un cappello bianco a piume rosse sul capo, Leporello va misurando in lungo e in largo il palco scenico; i lineamenti del suo volto presentano una singolare mescolanza di bonarietà e di astuzia, di ironia e di giovialità: si vede che il vecchio briccone merita di essere il servitore e il complice di Don Giovanni. Essi hanno felicemente scalato il muro e sono fuggiti. — Ecco comparire le fiaccole. Donn’Anna e Don Ottavio si avanzano: Don Ottavio omicciattolo attillato, ammanierato, leccato, di vent’un anno al più. Come fidanzato di Anna egli abita certamente in casa perché si abbia potuto chiamarlo così tosto: egli ha sentito subito il romore, e avrebbe potuto accorrere, e forse salvare il padre: ma prima bisognava ch’egli si azzimasse, e fors’anche il bel giovane teme il freddo della notte. — “Ma qual mai s’offre o Dei, Spettacolo funesto agli occhi miei!„ Vi ha più che disperazione negli accenti di questo duetto e di questo recitativo.

La magra Donna Elvira in cui si vedono ancora i resti d’una grande bellezza, ma d’una bellezza appassita, viene a lagnarsi del traditore Don Giovanni, e il compassionevole Leporello stava punto osservando molto ingegnosamente ch’ella parlava come un libro, “Parla come un libro stampato, quando mi parve di sentire dietro a me qualcheduno.

Si poteva facilmente aver aperta la porta del palco, ed essersi messo in fondo. La cosa molto m’increbbe. Io mi era trovato tanto felice di esser solo in quel palco, di poter sentire senza essere disturbato, il divino capolavoro rappresentato così bene; di lasciarmi in balìa a tutte le impressioni ch’egli risveglia; e di abbandonarmi a me stesso! Una sola parola, una parola assurda, m’avrebbe dolorosamente strappato dal mio entusiasmo! Io risolvetti di non abbadar punto al mio vicino, e tutto immedesimato nella rappresentazione di evitare ogni sillaba, ogni sguardo. Colla testa appoggiata sulla mia mano, colle spalle volte al mio compagno, io tenni fissi gli occhi sulla scena. Tutto vi corrispondeva all’eccellenza dell’esordio. La piccola Zerlina, vivace e amorosa, consolava coi graziosi suoi frizzi quel povero imbecille di Mazzetto. Don Giovanni nell’aria brusca e spezzata Finchè han del vino sfogava il suo disprezzo per gli uomini, di cui egli non faceva che altrettanti istrumenti dei suoi piaceri. L’espressione dei suoi muscoli svelava mirabilmente il suo pensiero. Le maschere comparvero, il loro terzetto era una preghiera che in accordi di tutta purezza saliva verso il cielo. Il fondo del teatro si aperse. La gioja proruppe, l’urto de’ bicchieri risonò; i paesani e tutte le maschere che la festa di Don Giovanni aveva attirate, ballavano e si scompartivano in gruppi animati. — Le tre maschere congiurate alla vendetta s’avanzarono. Tutto diventò solenne; poi si tornò a ballare fino al momento in cui Zerlina è salvata, e Don Giovanni si slancia coraggiosamente a spada nuda contro il suo nemico. Egli fa sbalzare la spada dalle mani del suo rivale e si apre una via attraverso della moltitudine che mette a scompiglio.

Già da lungo tempo io credeva sentire dietro di me un fiato fresco e voluttuoso e come lo stropiccìo di un abito di seta: io sospettava la presenza di una donna; ma tutto immerso nel mondo poetico che mi era schiuso dall’armonia, non mi lasciai distrarre dai miei sogni. Quando fu calato il sipario io mi voltai. — No, non vi sono parole che bastino ad esprimere il mio stupore. Donn’Anna interamente vestita come io l’avea veduta sul teatro si trovava presso di me e mi volgeva il suo sguardo pieno di anima e di espressione! Io restai senza voce, tutto intento a contemplarla, con occhio attonito e quasi inebbriato; la sua bocca (a quanto almeno mi parve) si compose ad un sorriso ironico e leggiero, in cui credetti di scorgere un riflesso della mia figura istupidita. Io sentiva la necessità di parlarle, ma la sorpresa, e dirò quasi lo spavento, mi aggravavano la lingua e la rendevano immobile. Finalmente queste parole mi sfuggirono involontarie nel mio idioma nativo. Come avviene mai, o signora, ch’io vi veda qui? —

Ella mi rispose nel più puro toscano, che se io non comprendeva l’italiano ella sarebbe priva del piacere di conversar meco, giacchè non intendeva e non parlava che quella lingua. Le sue parole, erano piene di dolcezza e sonavano come un canto. Parlando, l’espressione dei suoi occhi azzurri acquistava maggior forza, ed ogni sguardo faceva battere tutte le mie arterie. Era Donn’Anna, senza alcun dubbio Donn’Anna. Non mi venne neppure in mente di discutere la possibilità della sua doppia presenza nel palco e sulla scena. Con quanto piacere riporterei io qui il discorso che seguì tra la signora e me, ma nel tradurlo ogni parola mi sembra troppo aspra e troppo pallida, ogni frase troppo pesante per esprimere la grazia e la leggerezza dell’idioma italiano.

Mentre ella parlava del Don Giovanni e della propria parte, mi pareva che tutti i tesori segreti di quel capo lavoro mi si rivelassero, e che io penetrassi per la prima volta in un nuovo mondo. Ella mi disse che la musica era l’intiera sua vita, e che sovente cantando ella credeva comprendere alcuna cosa, che giaceva ignorato in fondo al suo cuore.

— Sì, diss’ella, coll’occhio scintillante e colla voce piena di anima, sì allora io comprendo tutto; ma tutto resta freddo e morto intorno a me, e quando invece di sentirmi, d’indovinarmi, mi applaudono per un gorgheggio difficile, o per una fioritura aggradevole, parmi che una mano di ferro venga a stringermi il cuore.

— Ma voi, voi mi comprendete, perchè io so che l’impero dell’immaginazione e del maraviglioso, in cui si trovano le sensazioni celesti, è aperto anche a voi.

— Come! o donna divina... tu... voi conoscete...? Ella sorrise e proferì il mio nome.

Un segnale venne dato dal teatro; un rapido pallore scolorì il volto non imbellettato di Donn’Anna; ella pose la mano sul suo cuore, come se vi avesse provato un improvviso dolore, e susurrando con una voce mezzo spenta: “Povera Anna, ecco i tuoi momenti più terribili„ ella scomparve dal palco.

Il primo atto mi era piaciuto in sommo grado, ma dopo questa maravigliosa avventura la musica produsse sopra di me un effetto ben più potente. Mi pareva che i miei più dolci sogni dopo una lunga aspettazione si avverassero, mi pareva che i miei più segreti presentimenti divenissero una realtà. Nella scena di Donna Anna io mi sentii sollevato da un atmosfera voluttuosa che lievemente mi cullava; gli occhi mi si chiudevano a mio malgrado; ed io provava sulle mie labbra come la sensazione di un bacio, ma quel bacio aveva tutta la tenuità e la durata del suono più armonioso. — Il finale Già la mensa è preparata fu eseguito colla più disordinata allegria. Don Giovanni era seduto e amoreggiava tra le due giovanette, facendo saltare i turraccioli l’uno dopo l’altro, e sprigionando lo spirito impetuoso dei vini, che fremeano di quel ritegno. Ciò avveniva in una stanza poco spaziosa, terminata da un’alta finestra gotica, attraverso la quale si scorgeva la notte. Di già mentre Elvira ricordava all’infedele tutti i suoi giuramenti, si vedeano i lampi solcare il cielo, e si sentiva il sordo appressarsi della tempesta. Finalmente si picchiò con violenza. Le giovani ragazze fuggirono e in mezzo agli spaventosi accordi degli spiriti infernali, si avanzò il colosso di pietra, al cui confronto Don Giovanni pareva un pigmeo. Il pavimento tremava sotto i passi tonanti di quel gigante.

— Don Giovanni fra la tempesta, il tuono, e gli orrendi urli dei demonii, proferisce il suo terribile no! e l’ora dell’annientamento è venuta. La statua sparisce, un denso vapore occupa la sala, e dissipandosi lascia scorgere le più tremende figure; Don Giovanni si dibatte in mezzo ai tormenti dell’inferno, e più non lo si vede che a intervalli frammisto ai demonii. Tutto ad un tratto si sente come uno scoppio spaventevole.

— Don Giovanni, i demonii sono spariti, non si sa come. Leporello è steso senza movimento in un canto della sala. — Oh quanto ci fa bene, la comparsa degli altri personaggi che cercano indarno Don Giovanni! Sembra di sfuggire alla potenza delle Divinità infernali. Donn’Anna allora si presentò, oh come ella era cangiata! un pallore mortale copriva il suo volto, il suo occhio era spento, la sua voce tremante e ineguale, ma nel piccolo duetto collo sdolcinato suo amante che vuol celebrare le nozze tostochè il cielo lo ha liberato dal pericoloso mestiere di vendicatore, ella fu più grande incantatrice che mai.

Il coro avea terminata l’opera con una esecuzione di tutta bravura, ed io corsi nel più vivo entusiasmo che avessi mai provato a chiudermi nella mia stanza.

Non si tardò a chiamarmi a cena alla tavola rotonda, ed io vi andai macchinalmente.

La compagnia era numerosa, e la rappresentazione del Don Giovanni fu il soggetto della conversazione. In generale si vantarono gli Italiani e il prestigio del loro modo di rappresentare, ma alcune piccole osservazioni gettate qua e là con sarcasmo mi comprovarono che niuno degli astanti non sospettava nemmeno l’intenzione profonda dell’Opera delle Opere. — Don Ottavio aveva piaciuto molto. Donn’Anna avea fatto mostra di troppa passione: perchè, diceva un tale, sulla scena bisogna moderarsi per non produrre una impressione troppo viva. Quel tale pigliò una presa di tabacco, e diede ragione al suo vicino, il quale accertò che del resto l’Italiana era una bellissima donna, ma troppo trascurata nella sua acconciatura; poichè nella sua grande scena i suoi capegli le si erano scomposti ed aveano pregiudicato alla leggiadrìa del suo volto. Un altro si mise a canterellare l’aria: Finch’han del vino, e una dama fece l’osservazione, che Don Giovanni era troppo serio, e non sapeva assumere un carattere abbastanza sventato. — Del resto si lodò molto quello scoppio di casa del diavolo nel finale.

Stanco di tutte queste ciarle io fuggii nella mia stanza.


Dal palco N. 23


Io mi sentiva troppo angustiato, io soffocava in quella melanconica stanza di osteria. Verso mezzanotte, io credetti udir del romore appresso alla porta tappezzata. — Chi mi vieta di visitare ancora una volta il luogo di quella singolare avventura? Forse io la vedrò ancora! Mi è facile di portarvi questo tavolino, queste due candele, e questo leggìo. Vi corro. Il garzone viene a portarmi il punch che ho dimandato e trovando vuota la mia stanza e la porticina aperta mi segue nel palco, e mi getta uno sguardo equivoco. A un mio segnale egli mette il bowl sulla tavola, e si allontana voltandosi indietro ancora con una domanda a fiore di labbra. Io appoggio i gomiti sul davanzale del palco e contemplo la sala deserta la cui architettura magicamente rischiarata dai miei due lumi si disegnava bizzarramente in riflessi maravigliosi. Il vento che penetra per le porte semi-aperte agita il sipario. — Se egli si alzasse, e Donn’Anna mi comparisse ancora! — Donn’Anna! gridai senza volerlo. Il mio grido si perdette nel vuoto, ma risvegliò gli spiriti degli stromenti dell’orchestra, e ne uscì un accento, debole e singolare, come se avessero mormorato quel nome prediletto. Io non potei trattenermi da un terrore segreto, che però non era senza voluttà.

Ora io sono più padrone delle mie sensazioni, e mi trovo in grado, o mio caro Teodoro, d’indicarti quello che ho creduto di afferrare nel mirabile componimento di quel divino maestro. — Il poeta solo comprende il poeta; le anime che hanno ricevuto la consacrazione nel tempio indovinano sole ciò che resta ignoto ai profani. — Se si considera il poema del Don Giovanni senza cercarvi un pensiero più profondo, se si resta alla superficie della favola che ne forma il soggetto, è appena possibile a comprendersi che Mozart abbia pensata e composta sopra un tale motivo una simile musica. Un buon compagnone che ama a dismisura il vino e le donne, e invita pazzamente alla sua tavola la statua di pietra d’un vecchio che difendendo la propria vita egli ha ucciso! — Per verità, non avvi in ciò molta poesia, e bisogna confessare che un tal uomo non val troppo la pena che si pigliano le potenze infernali di salire su la terra per venirselo a prendere; ei non merita che una statua si animi e discenda espressamente dal suo cavallo di marmo per avvertirlo dello sdegno del cielo; non merita finalmente, che la folgore romoreggi e scoppi per lui. — Tu me lo puoi credere, o Teodoro: la natura privilegiò Don Giovanni, come il più caro de’ suoi figliuoli, di tutto quello che solleva l’uomo al di sopra della folla volgare condannata al patimento e alla fatica; essa gli prodigalizzò tutti i doni che ravvicinano l’umanità all’essenza divina; lo destinò a brillare, a vincere, a dominare. Essa animò d’una organizzazione magnifica quel corpo vigoroso e perfetto; e fece cadere in quel petto una scintilla di quella fiamma che accende d’idee celestiali; egli ebbe un’anima profonda, un’intelligenza viva, rapida. — Ma è una spaventosa conseguenza della nostra origine, che l’inimico della nostra progenie abbia conservata la potenza di consumar l’uomo coll’uomo medesimo, infondendogli il desiderio dell’infinito, la sete di ciò che non gli è dato di raggiugnere.

Questa specie di conflitto di Dio e del demonio è la lotta della vita morale e della vita materiale. — I desiderj suscitati dalla gagliarda organizzazione di Don Giovanni lo inebbriarono, e un ardore sempre crescente fece bollire il suo sangue, e lo spinse senza tregua verso i piaceri de' sensi, colla speranza di trovarvi una soddisfazione che indarno ei cercò.

Non vi è nulla sulla terra che più dell’amore innalzi 1'uomo nel suo più intimo pensiere. Egli è l’amore la cui misteriosa e immensa influenza illumina il nostro cuore, e vi spande ad un tempo la felicità e la confusione. Si può egli maravigliarsi che Don Giovanni abbia sperato di mettere in calma coll'amore i desiderj che gli straziano il petto, e che il demonio abbia in ciò stesso tese le sue reti? È desso che ispirò a Don Giovanni il pensiero, che coll’amore si possono già sulla terra compire le promesse celesti che noi portiamo scritte in fondo dell’anima nostra, desiderio infinito, che fino dal nostro primo giorno ci marita col cielo. Volando senza riposo di bellezza in bellezza, divorando i godimenti fino alla sazietà, fino all’ebbrezza più opprimente, credendosi sempre ingannato nella sua scelta, e sperando sempre di raggiungere l’ideale ch’egli seguitava, Don Giovanni si trovò finalmente schiacciato dai piaceri della vita reale, e sprezzando sopra tutto gli uomini, ei dovette specialmente irritarsi contro quei fantasmi di voluttà, ch’egli avea riguardati sì a lungo come il bene supremo, e che lo aveano sì amaramente ingannato. Ogni donna ch’egli tradiva non era più per lui un godimento, ma un temerario insulto alla creatura umana e al suo creatore. Un profondo disprezzo pel modo comune di considerare la vita al di sopra del quale egli si sentiva innalzato, l’allegria ironica e inesauribile ch’egli provava alla vista della felicità ordinaria degli uomini volgari, il disdegno che gli ispiravano la calma e la pace di quelli in cui il bisogno di adempiere gli alti destini della nostra divina natura non si è fatto sentire, lo spingeano a farsi un gioco crudele di quelle dolci ed umili creature. Qualunque volta egli rapiva una sposa prediletta e turbava il riposo d’una famiglia concorde, era un trionfo che gli pareva di aver riportato contro la natura e il suo Dio. Il ratto di Anna colle circostanze che lo accompagnano è la più alta vittoria di questo genere a cui egli possa pretendere.

Dona’Anna è posta a riscontro di Don Giovanni per le alte perfezioni ch’ella ha del pari ricevute. Come a Don Giovanni, fu impartita anche a lei la bellezza del corpo e dell’anima, ma ella ha conservata la purità ideale, e l’inferno non le può nuocere che sulla terra. Quando questo male è compiuto la vendetta deve piombare. Donn’Anna era fatta per essere l’ideale di Don Giovanni, per istrapparlo alla sua disperazione, ma egli l’ha veduta troppo tardi e non può mandare ad effetto che il pensiero diabolico di perderla. — Il delitto è consumato, e tutte le funeste sue conseguenze si vanno compiendo. La morte di suo padre ucciso per mano di Don Giovanni, il suo matrimonio col freddo, volgare, effeminato Don Ottavio che prima ella credeva di amare, l’amore istesso che la divora fin dal momento in cui vide il nemico dell’anima sua, tutto le fa sentire che la perdita di Don Giovanni può sola renderle il riparo, ma che per lei questo riparo sarà la morte. Per questo ella eccita ad ogni istante l’agghiacciato suo sposo alla vendetta, e perseguita essa medesima il traditore, e non riacquista un poco di calma, che dopo averlo veduto in preda alla punizione eterna. Unicamente ella non vuol rendersi così tosto a quel fidanzato tanto avido di nozze. “Lascia o caro un’anno ancora — allo sfogo del cor mio. Ma ella non sopravvivrà a quest’anno. Don Ottavio non vedrà mai nel suo talamo la donna che fu oggetto della passione ardente di Don Giovanni.

Con quanta vivacità io provai tutte queste impressioni durante gli accordi del primo recitativo e il racconto dell’avventura notturna! — La scena stessa di Donn’Anna nel secondo atto, che considerata superficialmente sembra non riferirsi che a Don Ottavio, ha certi accordi segreti che esprimono tutto il turbamento dell’anima sua; e infatti che cosa pensare altrimenti di quelle parole gettate dal poeta forse senza saperlo:

Forse un giorno il cielo ancora
Sentirà pietà di me.

Due ore suonano! — Una commozione elettrica mi prende. Io sento i dolci vapori dei profumi italiani che jeri mi fecero accorto della presenza della mia vicina; un sentimento indefinibile che non saprei esprimere se non col canto m’investe.

Il vento penetra più romoroso nella sala, le corde del cembalo dell’orchestra sono tocche da un fremito. — Mio Dio! Mi sembra udire come in lontananza e frammista ai motivi leggieri di un’orchestra aerea la voce di Anna che canta — Non mi dir, bell'idol mio! — Apriti o regno lontano e sconosciuto, patria delle anime, paradiso di tutta dolcezza, ove un celeste e ineffabile dolore adempie meglio di una gioja infinita tutte le speranze seminate sopra la terra! lasciami penetrare nella sfera delle tue splendide apparizioni. Possano i sogni che ora m’ispirano lo spavento, ed ora si tramutano in messaggieri di felicità, possano questi sogni benefici, mentre il sonno imprigiona il mio corpo con legami di piombo, liberare il mio spirito e trasportarlo ai beati piani dell’etere!


CONVERSAZIONE
A TAVOLA ROTONDA

un uomo ragionevole che batte sul coperchio della sua tabacchiera.

È proprio una fatalità, e ci vorrà molto prima che sentiamo più un’opera così bene eseguita! Ma tutto viene da quella maledetta esagerazione.

un uomo con la faccia di bronzo

Sì, sì, io l’ho detto molte volte, la parte di Donn’Anna le fa sempre male. Jeri pareva che avesse il diavolo addosso. Si dice che fra gli atti ella rimase svenuta, e che dopo la scena del secondo atto ebbe un attacco di convulsioni.

un uomo insignificante

Oh! via da bravo raccontatemi tutto.

l’uomo con la faccia di bronzo

Eh! senza dubbio un attacco di convulsioni così terribile che non si potè nemmeno portarla via dal teatro.

Io

In nome del cielo quest’attacco è forse pericoloso? Rivedremo noi presto la signora?...

l’uomo ragionevole prendendo una presa di tabacco.

Difficilmente, poiché la signora è morta questa notte allo scocco delle due ore.

fine del don giovanni

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