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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Il violino di Cremona
Discorso di Gualtiero Scott Don Giovanni

IL VIOLINO DI CREMONA


CAPITOLO I.


Il consigliere Crespel è l’uomo più singolare che siasi offerto ai miei occhi, nel corso della mia vita.

Quando arrivai a H... ove doveva soggiornare qualche tempo, tutta la città parlava di lui, perchè allora egli era in tutto il fuoco della sua originalità. Crespel si era reso celebre come illuminato giurista, e come diplomatico profondo. Un sovrano che non era poco potente in Alemagna si era rivolto a lui per comporre una memoria indirizzata alla corte imperiale relativa ad un territorio sul quale credeva avere delle pretensioni ben fondate.

Quella memoria produsse i più felici risultati, e siccome Crespel si era una volta lamentato in presenza del principe di non poter trovare una comoda abitazione, questi, per ricompensarlo, s’impegnò di sovvenire alle spese di una casa che Crespel avrebbe fatto fabbricare secondo la sua volontà. Il principe gli lasciò anche la scelta del terreno; ma Crespel non accettò quest’ultima offerta e gli domandò che la casa fosse innalzata in un giardino ch’ei possedeva alle porte della città, e la cui situazione era delle più pittoresche. Egli fece la compera di tutti i materiali necessari e li fece trasportare al luogo stabilito. Da quel punto lo si vide tutto il giorno vestito d’un abito fatto secondo i suoi particolari principj: macinare la calce, ammassar pietre, misurare, scavare e occuparsi in tutti i lavori degli operai. Egli non si era indirizzato a nessun architetto, egli non aveva tracciato il menomo piano. Un bel giorno però andò finalmente a trovare un buon mastro muratore di H... e lo pregò di rendersi il domani mattina, al levare del sole, nel suo giardino con un gran numero di operai per fabbricare la sua casa. Il mastro muratore s’informò com’era naturale del disegno che aveva, ma fu ben stupito quando Crespel gli rispose che non aveva bisogno di siffatte cose e che l’edifizio si compirebbe senza tutti questi scarabocchi.

Il giorno seguente, il mastro muratore venuto colla sua gente trovò Crespel vicino ad una fossa, tracciata in quadrato regolare.

— È qui, disse il consigliere, che bisognerà porre i fondamenti della mia casa; poi io vi pregherò d’innalzare le quattro mura sino a che vi dica: basta così.

— Senza finestre, senza porte, senza mura di scompartimento interno? dimandò il muratore, quasi spaventato della singolarità di Crespel.

— Come vi dico io, mio brav’uomo, rispose tranquillamente Crespel; il resto si accomoderà da sè.

Solo la promessa di una grossa paga decise il mastro muratore ad intraprendere quella pazza costruzione; ma giammai edifizio non s’innalzò più allegramente, perchè ciò avvenne in mezzo agli scoppi di risa continui dei lavoratori che non lasciavano mai il terreno dove avevano da bere e da mangiare in abbondanza. Così le quattro mura s’innalzarono in aria con una incredibile rapidità; finalmente un giorno Crespel gridò: Alto là! Tosto le zappe e i martelli cessarono di risonare, i lavoranti discesero dai loro palchi, e Crespel si vide circondato da operai che gli domandavano, che cosa bisognasse fare.

— Largo! gridò Crespel allontanandoli colla mano, e correndo all’estremità del suo giardino. Egli si diresse lentamente verso il suo quadrato di pietre, scosse la testa con un’aria malcontenta avvicinandosi ad una delle muraglie, corse all’altra estremità del giardino, ritornò ancora, e scosse di nuovo la testa. Fece diverse volte questo esercizio finchè andò finalmente a dare il naso contro un pezzo di muro. Allora egli gridò: Qui amici! fatemi qui una porta.

Nello stesso tempo egli ne diede l’altezza e la larghezza. La porta fu tosto fatta secondo le sue indicazioni. Appena fu aperta egli entrò nella casa, e si mise a ridere con un’aria soddisfatta, quando il muratore gli fece osservare ch’essa aveva la precisa altezza di una casa a due piani. Crespel passeggiava in lungo e in largo nel recinto delle quattro mura, seguito dai muratori che portavano pale e zappe, ed appena egli gridava: Qui una finestra di sei piedi di altezza e di quattro di larghezza, là una finestrella di due piedi, le si eseguivan subito. Fu precisamente durante quella operazione che io arrivai ad H.... Era un piacere quel vedere migliaja di persone radunate intorno al giardino, che gettavano grandi grida di gioja, quando si vedeva cader di nuovo qualche pietra, e che una finestra compariva subitaneamente là dove non si avrebbe sospettato che dovesse trovarsene una. Il resto della costruzione dell’edificio e gli altri lavori furono compiuti in egual modo e coll’istessa prestezza. La singolarità grottesca di tutta l’impresa, la meraviglia che si provò vedendo che alla fin fine la casa prendeva un aspetto abbastanza buono, e principalmente la liberalità di Crespel, mantennero il buon umore degli operai, che cominciarono ad eseguire i progetti del consigliere. Così tutte le difficoltà si trovarono vinte, ed in poco tempo s’innalzò una gran casa che aveva esternamente l’aspetto più bizzarro, perchè tutte le parti vi sembravano gettate a caso, ma il cui interno offriva mille bellezze e la disposizione della quale era di una comodità estrema. Tutti quelli che la visitarono andarono d’accordo in questo, ed io stesso non potei sconvenirne quando una più intima conoscenza con Crespel mi ebbe aperta la sua abitazione.


CAPITOLO II.


Io non aveva ancor potuto vedere l’original consigliere, la sua casa l’occupava talmente, ch’egli non era andato dal professore M... dove era solito pranzare una volta alla settimana. Ei gli aveva anche detto che non oltrepasserebbe la porta del suo giardino prima dell’inaugurazione della sua nuova dimora. Tutti gli amici e conoscenti di Crespel si aspettavano in questa occasione un gran convito; ma Crespel non invitò che i maestri, i compagni, e i manuali che avevano cooperato alla costruzione della fabbrica. Ei li trattò nel più splendido modo. I muratori assalivano fini pasticci di selvaggiume, i meschini falegnami mangiavano i fagiani dorati e i tartufi; i pesci rarissimi, i frutti più squisiti erano ammassati in abbondanza davanti a quei poveri diavoli.

La sera vennero le loro mogli e le loro figlie, e vi fu un gran ballo. Crespel ballò molte volte colle mogli dei maestri, poi andò a mettersi in mezzo all’orchestra, prese un violino e diresse contraddanze sino alla mattina.

Alcuni giorni dopo quella farsa, che diede al consigliere Crespel la fama d’un amico del popolo, io lo trovai dal suo amico il professore M.... La sua condotta fu delle più singolari. I suoi movimenti erano sì bruschi e sì inquieti, ch’io credeva ad ogni momento vederlo a farsi male o spezzar qualche mobile; ma questa disgrazia non avvenne, e senza dubbio non la si temeva, poichè la padrona di casa non mostrò nessuna inquietudine vedendo o girare a gran passi intorno ad una tavola carica di tazze di porcellana, manovrare vicino ad un grande specchio e prendere nelle sue mani un vaso di fiori stupendamente dipinto per ammirarne i colori. In generale, Crespel esaminò prima del pranzo colla più minuta esattezza tutto quello che si trovava nella camera del professore; egli giunse fino a salire sopra una sedia e distaccare un quadro per osservarlo con maggior comodo. A tavola egli parlò molto e con un calore estremo passando qualche volta da una cosa all’altra senza transizione, sovente estendendosi sopra un soggetto sino ad esaurirlo, ritornandovi continuamente, svolgendolo in mille modi, e abbandonandosi a venti digressioni d’una lunghezza infinita e che tutte riconducevano il soggetto medesimo. La sua voce era ora rauca e stridente, ora bassa e modulata; ma non conveniva mai a quello ch’egli diceva. Si trattò di musica, e si vantò molto un nuovo compositore. Crespel si mise a ridere; e disse con un tuono dolce e quasi cantando: Io vorrei che il diavolo portasse questo maledetto guastatore di note dieci mila milioni di tese in fondo all’inferno.! Poi soggiunse con una voce terribile: ella è un angelo del cielo, è un tutto divino formato dagli accordi più puri! La luce e l’astro del canto! — A queste parole i suoi occhi si riempirono di lagrime. Bisognò ricordarsi che un’ora prima si aveva parlato di una celebre cantante. Si servì un arrosto di lepre. Io osservai che Crespel separava con cura sul suo piatto gli ossi dalla carne e che s’informò a lungo sulla zampa che la figlia del professore fanciulla di cinque anni gli portò ridendo.

Durante il pranzo il consigliere aveva guardato molte volte i fanciulli con un’aria amichevole. Essi si alzarono alla fine del desinare e si avvicinarono a lui, però non senza timore, nè senza tenersi a tre passi di distanza. Si portarono le frutta e i confetti. Il consigliere tirò dalla sua saccoccia una bella cassetta nella quale si trovava un piccolo torno d’acciajo. Prendendo allora un osso di lepre ch’egli aveva messo da parte, si mise a girarlo e formò con una prestezza e rapidità incredibile delle piccole scatole, delle palle, dei birilli, dei canestri e mille altre bagattelle che i fanciulli ricevettero gettando grida di gioja. Al momento di alzarsi da tavola, la nipote del professore disse a Crespel. Come sta la nostra buona Antonia, caro consigliere?

Crespel fece un contorcimento spaventoso ed il suo volto prese un’espressione diabolica:

— La nostra cara Antonia? ripetè egli con una voce altrettanto dolce quanto disaggradevole. Il professore si avanzò vivamente. Io lessi nello sguardo severo ch’egli lanciò a sua nipote ch’ella aveva toccata una corda, che risonava in un modo dispiacevole all’anima di Crespel.

— Come va il violino? Dimandò il professore, con un tuono forte prendendo le mani del consigliere.

Il volto di Crespel si rischiarò ed egli rispose con una voce tonante: — Ammirabilmente, o professore. Voi conoscete quel bel violino d’Amati del quale vi ho parlato e che un felice accidente ha fatto cadere nelle mie mani: oggi io ho incominciato a metterlo in pezzi. Io spero che Antonia avrà accuratamente terminato di spezzarlo.

— Antonia è una buona fanciulla, disse il professore.

— Sì, veramente ella lo è; gridò il consigliere, volgendosi repentinamente per prendere il suo bastone ed il suo cappello, e affrettandosi alla porta. Io vidi nello specchio che grosse lagrime scorreano dai suoi occhi.

Appena Crespel fu partito io pregai il professore di dirmi, quai rapporti avesse il consigliere coi violini, e principalmente con Antonia.

Ah! disse il professore, il consigliere è un uomo affatto singolare, ed egli fa dei violini in un modo egualmente pazzo che quello con cui fa tutto il resto.

— Egli fa dei violini? dimandai tutto sorpreso.

— Sì, riprese il professore, Crespel forma al dire dei conoscitori i migliori violini che si conoscano da molti anni. Altre volte quando aveva fatto un buon istrumento, permetteva ai suoi amici di servirsene, ma da qualche tempo non è più così. Appena Crespel ha compito un violino, lo suona egli stesso un’ora o due con una potenza ammirabile e con un’espressione trionfale, poi lo attacca vicino agli altri senza toccarlo mai e senza permettere che altri lo tocchi. Quando un violino d’un antico maestro si trova in vendita, Crespel lo compera a qualunque prezzo si voglia venderlo. Ma esso li tratta a presso a poco come i violini che fa egli stesso; li suona una volta sola, poi gli smonta per esaminarne la struttura interna, e se non vi scopre quella che cerca ne getta i pezzi con un’aria malcontenta in una gran cassa, che è già riempita di avanzi di violini.

— Ma Antonia? io dimandai con vivacità.

— Quanto a questo, disse il professore, è una cosa che mi farebbe abborrire il consigliere, se la bontà del suo carattere, che va sino alla debolezza, non mi accertasse che vi è sotto qualche recondita circostanza. Quando alcuni anni fa il consigliere venne a stabilirsi qui, egli viveva solitario con una vecchia serva in una casa oscura d’una strada lontana. Con mille singolarità egli risvegliò ben presto la curiosità dei suoi vicini, ed appena osservò che l’attenzione si portava sopra di lui, che cercò e trovò delle conoscenze. Dappertutto, come nella mia casa, si prese l’abitudine di vederlo, ed in poco tempo egli divenne indispensabile. I suoi modi bruschi e severi non impedirono ai fanciulli di amarlo, e la sua aria autorevole lo preservava nello stesso tempo dalle loro importunità. Avete veduto oggi da voi stesso con quali svariate seduzioni ei sa guadagnare il loro cuore. Dopo aver dimorato qui qualche tempo, egli partì improvvisamente senza che nessuno conoscesse il luogo dove si era ritirato. Alcuni mesi dopo egli ritornò. Nella sera che seguì il ritorno di Crespel, si videro illuminate le sue finestre in un modo straordinario. Questa circostanza risvegliò l’attenzione dei vicini, e non si tardò a sentire una voce incantevole, una voce di donna accompagnata da un pianoforte. Poi si udì il suono d’un violino che lottava d’energia, di forza e di pieghevolezza colla voce. Si riconobbe tosto che era il consigliere che sonava quest’istromento. Io stesso mi frammischiai alla folla immensa che questo meraviglioso concerto aveva riunita intorno, alla casa del consigliere ed io devo convenire che dopo quella voce penetrante il canto della più celebre cantatrice mi sarebbe sembrato insipido e senza espressione; giammai io non aveva concepito l’idea di que’ suoni sostenuti sì a lungo, di quei trilli dell’usignuolo, di quelle gamme ora innalzantisi sino al suono dell’organo, ed ora discendenti sino al più leggero mormorio. Non v’era nessuno che non fosse sotto la magia di questo incanto, e quando la cantante taceva si sentiva ognuno riprendere fiato; tanto il silenzio era profondo. Era quasi mezzanotte quando si sentì il consigliere a parlare violentemente; una voce d’uomo gli rispondeva e pareva fargli dei rimproveri, e la voce interrotta di una giovanetta esprimeva degli accenti lamentevoli. Il consigliere parlava sempre con maggior collera sino a che la sua voce riprese finalmente quel tuono cantante che voi gli conoscete. Un grido acuto della giovanetta lo interruppe; poi regnò un profondo silenzio. Alcuni momenti dopo un giovane garzone si precipitò gemendo fuori della casa, e si gettò in una sedia da posta che lo aspettava e che partì rapidamente. Il giorno dopo il consigliere comparve e si mostrò molto tranquillo. Nessuno ebbe il coraggio di interrogarlo sugli avvenimenti della notte. La vecchia serva disse solamente che il consigliere aveva condotta con sè un’amabile fanciulla ch’egli nominava Antonia, e che cantava ammirabilmente, e che un giovane l’aveva accompagnato. Questi sembrava amare teneramente Antonia, ed era senza dubbio il suo fidanzato, ma il consigliere l’aveva sforzato a partire subito. I rapporti del consigliere con Antonia sono stati sino adesso un mistero, ma è certo ch’egli la tiranneggia nel modo più odioso. Egli la custodisce come il dottor Bartolo custodiva la sua pupilla, ed appena permette ch’essa guardi dalla finestra. Se qualche volta cedendo a pressanti istanze, la conduce con sè, egli la perseguita continuamente coi suoi sguardi e non soffre che si faccia sentire un solo accento musicale vicino a lei, molto meno che Antonia canti. Egli non le permette neppure di cantare nella sua casa, e così il canto ch’ella ha fatto udire in quella notte memorabile è dimorato come una tradizione, e quelli stessi che non vi si trovarono dicono sovente, quando una nuova cantante viene a esordire. Questo, canto non è nulla; Antonia sola sa cantare!




CAPITOLO III.


Si sa quanto le cose fantastiche mi colpiscano e mi commuovano. Io giudicai indispensabile di fare la conoscenza di Antonia. Aveva già saputo alcuna delle conghietture del pubblico su questa giovinetta, ma io non sospettava ch’ella vivesse nella città sotto la dominazione del bizzarro Crespel. Nella notte seguente io sognai, come era naturale, del canto meraviglioso d’Antonia, e siccome ella mi supplicava molto teneramente di salvarla, in un adagio composto da me stesso, io risolvetti ben presto di diventare un secondo Astolfo, e di penetrare nella casa di Crespel, come quegli nel castello incantato d’Alcina.

Le cose passarono più pacificamente di quello che io aveva pensato, perchè, appena ebbi veduto due o tre volte il consigliere e gli ebbi parlato con qualche calore della struttura de’ buoni violini, che m’impegnò egli stesso a visitare la sua casa. Io mi resi al suo invito, ed egli mi mostrò il suo tesoro di violini. Una dozzina di questi istrumenti era appesa nel suo gabinetto. Io ne osservai uno che portava le tracce d’una remota antichità e molto riccamente scolpito. Era sospeso al di sopra degli altri, ed una corona di fiori, dalla quale era sormontato, sembrava indicarlo come re degli istrumenti.

— Questo violino, mi disse Crespel, è un lavoro meraviglioso d’un artista sconosciuto che viveva senza dubbio al tempo del Tartini. Io sono convinto che vi è nella sua costruzione interna qualche cosa di particolare, e che un segreto ch’io cerco da lungo tempo si svelerà ai miei occhi quando smonterò questo istrumento. Ridete della mia debolezza se volete, ma quest’oggetto inanimato al quale do, quando voglio, la vita e la parola, mi parla sovente in un modo meraviglioso, e quando lo sonai per la prima volta, mi sembrò di non essere che il magnetizzatore che eccita il sonnambulo e l’ajuta a rivelare le sue sensazioni nascoste. Voi pensate bene che questa pazzia non mi ha mai occupato seriamente, ma è da avvertire ch’io non ho mai potuto decidermi a distruggere questa sciocca macchina. Io sono contento adesso di non averlo fatto, perchè dopo che Antonia è qui, io suono qualche volta questo violino davanti a lei. Antonia lo ascolta con piacere, con troppo piacere!

Il consigliere pronunciò queste ultime parole con una commozione visibile; ciò mi incoraggiò. — O mio caro consigliere, io gli dissi, non vorreste voi sonarlo davanti a me? Crespel prese la sua aria malcontenta, e mi disse colla sua voce cantante e modulata: — No, mio caro studente! e la cosa restò là. Egli mi fece anche vedere mille puerili rarità; infine aprì una cassetta, ne tirò una carta piegata che mi pose in mano, dicendomi solennemente: Voi siete amico dell’arte, accettate questo regalo come una memoria che deve esservi eternamente cara. A queste parole egli mi spinse dolcemente per le spalle verso la porta, e mi abbracciò sulla soglia. A parlare con proprietà egli mi scacciò così in un modo tutto simbolico. Aprendo la carta vi trovai un piccolo frammento del quinto d’una linea di lunghezza: sulla carta si trovavano queste parole: «Pezzo della quinta della quale si serviva pel suo violino il celebre Stamitz nell’ultimo concerto ch’egli diede prima della sua morte.» La prontezza colla quale io era stato congedato, quando aveva parlato d’Antonia, mi fece pensare ch’io non la vedrei giammai; ma non fu così, perchè quando ritornai per la seconda volta dal consigliere, io trovai Antonia nella sua camera; ella lo ajutava ad accomodare i pezzi d’un violino.

L’esteriore d’Antonia non fece sopra di me una profonda impressione, ma non si poteva allontanare lo sguardo da quegli occhi azzurri e da quelle labbra di rosa sì delicatamente ritonde. Ella era molto pallida, ma non appena la conversazione si animava e prendeva una piega allegra, un vivo incarnato si spargeva sulle sue guance, che si animavano di un dolce sorriso. Io parlai con Antonia con uno sciolto staccato e non osservai punto in Crespel quegli sguardi d’Argo del quale mi aveva parlato il professore. Egli restò molto tranquillamente occupato del suo lavoro, e mi parve dare anche alcune volte la sua approvazione al nostro trattenimento. Dipoi io visitai sovente il consigliere, e l’intimità che presto regnò fra noi tre diede alla nostra piccola brigata una aggradevolezza infinita. Il consigliere mi rallegrava molto colle sue singolarità straordinarie, ma era principalmente Antonia che mi attirava colle sue grazie irresistibili e mi faceva sopportare mille cose alle quali, impaziente come io era allora, mi sarei ben presto sottratto. Si frammischiava all’originalità del consigliere una manìa che mi contrariava continuamente, e che spesso mi sembrava del più cattivo gusto; perchè ogni volta che la conversazione cadeva sulla musica e particolarmente sul canto, egli aveva cura di stornarla, e colla sua voce aspra e modulata la riconduceva sopra qualche soggetto insipido e volgare.

Io vedeva allora, al profondo dispiacere che si dipingeva negli sguardi d’Antonia, che il consigliere non aveva avuto altro disegno che di sfuggire un invito a cantare; io non vi rinunciai. Gli ostacoli che mi opponeva il consigliere aumentavano la voglia ch’io aveva di sormontarli, ed io provava il più violento desiderio di sentire il canto di Antonia, del quale i miei sogni erano riempiti. Una sera io trovai Crespel del più bell’umore: egli aveva spezzato un violino di Cremona, ed aveva trovato che le tavole d’armonia erano collocate una mezza linea più vicine l’una all’altra che al solito. Qual preziosa scoperta per la pratica! Io pervenni ad infiammarlo parlandogli del vero modo di dirigere il suo istrumento. I grandi e veri maestri del canto che citò Crespel mi condussero a fare la critica del metodo di canto che consiste a formarsi secondo gli effetti dell’istrumento. — Che vi è di più assurdo, gridai slanciandomi dalla mia sedia verso il pianoforte che io aprii spontaneamente, che di più assurdo di questo metodo che sembra versare i suoni ad uno ad uno sulla terra! Io cantai allora alcuni pezzi nuovi che confermavano le mie parole e li accompagnai a quella foggia che avea biasimata. Crespel scoppiava dalle risa e gridava: Oh! oh! mi sembra di udire i nostri tedeschi italianizzati, allorchè cantano del Puccita o del Portogallo!

— Il momento è arrivato, pensai, e indirizzandomi ad Antonia: Io sono sicuro, le dissi, che questo non è il vostro metodo, e nello stesso tempo incominciai un pezzo ammirabile del vecchio Leonardo Leo. Le guance d’Antonia si animarono d’un colorito ardente, uno splendore celeste venne a rianimare i suoi occhi; ella accorse al pianoforte ed aprì le labbra. Ma nello stesso tempo Crespel si avanzò, mi prese per le spalle, e mi disse colla sua voce agrodolce: — Io confesso, mio degno e rispettabile studente, che mancherei a tutte le convenienze e a tutti gli usi, se esprimessi altamente il desiderio che ho che il diavolo vi prenda e colle sue griffe vi porti fino nel fondo dell’inferno; del resto questa notte è molto oscura, e quando anche non vi gettassi dalla finestra, voi durereste fatica ad arrivare sano e salvo al basso della scala: prendete dunque questo lume, riguadagnate la porta, ricordandovi che avete in me un vero amico, benchè possa accadere che non lo troviate più in casa.

A queste parole egli mi abbracciò e tenendomi stretto in modo da impedirmi di gettare un solo sguardo sopra Antonia, mi condusse sino alla porta.


CAPITOLO IV.


Io era già da due anni a Berlino quando intrapresi un viaggio nel mezzodì dell’Allemagna. Una sera io vidi disegnarsi nel crepuscolo la torre di H... A misura ch’io mi avvicinava un sentimento di pena indivisibile s’impadroniva di me: io mi soffocava e fui forzato di discendere dalla vettura per respirare più liberamente. Ma bentosto questo abbattimento aumentò sino al dolore fisico. Mi sembrava udire le armonie d’un coro celeste che percorreva l’aria. Le torri divennero più distinte, e riconobbi delle voci d’uomini che intuonavano un canto sacro.

— Che cosa succede? io gridai con ispavento.

— Non lo vedete? rispose il postiglione che era sul suo cavallo. Non lo vedete? seppelliscono qualcuno al cimitero! Effettivamente noi ci trovavamo vicini ad un cimitero, ed io vidi un circolo d’uomini vestiti di nero che circondavano una fossa che stava per essere empita. Io mi era avvicinato tanto alla collina dove si trovavano i sepolcri che non poteva più vedere nel cimitero. Il coro cessò, ed io osservai verso la porta della città altri uomini vestiti di nero che ritornavano dal funerale. Il professore con sua nipote passò vicino a me senza riconoscermi. La nipote teneva il fazzoletto davanti agli occhi e piangeva amaramente. Mi fu impossibile di entrare nella città; mandai il mio servo colla vettura all’albergo dove doveva alloggiare e mi misi a percorrere quei luoghi che io ben conosceva sperando di far passare così la pena ch’io provava e che non aveva forse la sua sorgente che in cause fisiche. Entrando in un viale che conduceva alla città fui testimonio d’un singolare spettacolo.

Io vidi avanzarsi condotto da due uomini in lutto il consigliere Crespel che faceva mille contorsioni per uscir loro di mano. Egli aveva come al solito il suo vestito grigio bizzarramente tagliato e dal suo piccolo cappello a tre punte ch’egli portava marzialmente sull’orecchia, pendeva un lembo nero che ondeggiava alla ventura. Egli aveva attaccata intorno alle sue reni una nera cintura da spada, ma invece di spada vi aveva passato un lungo archetto di violino. Un freddo glaciale s’impadronì de’ miei sensi. Io lo seguii lentamente. Gli uomini in lutto condussero il consigliere sino a casa; là esso gli abbracciò scoppiando dalle risa. Quando si furono allontanati, gli sguardi del consigliere si rivolsero verso di me.

Egli mi guardò lungo tempo con un occhio fisso, poi gridò con una voce sorda: siate il benvenuto, signor studente! voi comprendete bene...

A queste parole egli mi prese pel braccio e strascinandomi nella sua casa mi fece salire nella camera dove si trovavano i violini. Essi erano tutti coperti di veli neri; ma il bel violino di Cremona mancava; in sua vece si era sospesa una corona di cipresso. Io compresi quello che era accaduto. — Antonia! ah! Antonia, io gridai in una spaventevole disperazione. Il consigliere restò davanti a me immobile colle braccia incrocicchiate sul petto. Io gli insegnai col dito la corona di cipresso.

— Quando ella morì, disse il consigliere con voce indebolita e solenne, quando ella morì, l’archetto di questo violino si ruppe con fracasso, e la tavola d’armonia cadde in pezzi. Questo fedele istrumento non poteva esistere che con essa: egli è nella tomba seppellito con lei!

Profondamente commosso io caddi sopra una sedia; ma il consigliere si mise a cantare con una voce rauca un’allegra canzone. Era uno spettacolo spaventevole vederlo saltare e aggirarsi sopra un piede, mentre il velo nero del suo cappello batteva ondeggiando i violini attaccati alla muraglia. Io non potei trattenere un grido di terrore, quando il velo venne a battere sul mio volto, nel momento in cui il consigliere passò davanti a me girando rapidamente. Mi sembrava ch’egli stesse per invilupparmi nei veli funebri che oscuravano la sua intelligenza. Improvvisamente egli si arrestò davanti a me e mi disse colla sua voce modulata: Mio figlio! perchè gridare così? Hai tu veduto l’angelo della morte? Egli precede sempre la cerimonia.

Ei si avanzò in mezzo alla camera, strappò l'archetto dalla sua cintura, lo alzò colle due mani sopra la testa e lo ruppe sì violentemente che volò in mille pezzi. Crespel gridò ridendo ad alta voce; Ora la bacchetta è spezzata sopra di me!1 Oh io son libero! — libero! viva! io son libero! non farò più violini! — Non più violini! Viva la libertà!

— Ed egli si rimise a cantare in modo terribile la sua allegra canzone, ed a saltare per la camera. Pieno d’orrore io mi disponeva a fuggire, ma il consigliere mi trattenne con una mano vigorosa dicendomi in tuono tranquillo. Restate, signor studente. Non prendete per pazzia questi eccessi di un dolore che mi uccide, tutto questo non è accaduto se non perchè mi sono fatto ultimamente una veste da camera colla quale voleva sembrare il Destino o Dio. — Egli continuò a parlare senza seguito e senza ragione e finì col cadere oppresso da sfinimento e da stanchezza. La vecchia serva accorse alle mie grida, ed io respirai quando mi vidi finalmente in libertà.

Io non dubitai neppure un momento che Crespel non avesse perduto la ragione. Il professore pretese il contrario. Vi sono degli uomini, diss’egli, ai quali la natura o circostanze particolari hanno tolto il velo sotto il quale noi commettiamo le nostre pazzie senza essere presi di mira. Essi rassomigliano a quegli insetti che furono spogliati della pelle e che ci appariscono coll’intreccio dei loro muscoli al discoperto. Tutto quello che è pensiero in noi, è azione in Crespel. Ma questi sono lampi. La morte di Antonia ha compresse tutte le sue molle; domani, io ne sono sicuro, egli riprenderà la sua strada ordinaria. Effettivamente il consigliere si mostrò alla dimane nel suo stato abituale; ei dichiarò soltanto che non farebbe più violini e che non sonerebbe mai più questo istrumento. Ho saputo dappoi ch’egli ha mantenuta la sua parola.


CAPITOLO V.


Le parole del professore avevano aumentati i sospetti che mi avea fatti concepire la morte di Antonia; ed io era allora convinto che il consigliere aveva dei gran falli da espiare. Io non voleva lasciare H...., senza avergli rimproverato il delitto del quale lo credeva colpevole; io voleva commoverlo sino nel fondo dell’anima e strappargli la confessione delle sue orribili azioni. Più vi pensava e più vedeva chiaramente che questo Crespel era uno scellerato, ed io era giunto a stabilire in me questo pensiero come una verità incontestabile. Fu in questa disposizione ch’io andai un giorno dal consigliere. Io lo trovai occupato ad eseguire al tornio alcuni piccoli oggetti. Egli mi ricevette con un’aria ridente e tranquilla.

— Come, io gridai con violenza accostandolo, come potete voi trovare un momento di tranquillità nella vostra anima, pensando all’orribile azione che tutti i tormenti dell’inferno non potranno abbastanza punire?

Il consigliere mi guardò con un’aria sorpresa e pose in disparte il suo strumento.

— Come la intendete voi mio amico? ei mi disse. Sedete dunque su questa sedia, ve ne prego. — Ma io riscaldandomi sempre più ruppi ogni barriera e lo accusai ad alta voce della morte di Antonia minacciandolo di tutta la vendetta del cielo. Nella mia qualità d’uomo di legge andai anche così innanzi, che gridai voler mettere tutto in opera per iscoprire le traccie del suo attentato, e consegnarlo ai giudici criminali. Io fui singolarmente imbarazzato, quando dopo aver terminato il mio pomposo e virulento discorso vidi il consigliere guardarmi pacificamente come se avesse aspettato che io continuassi ancora a parlare. Io tentai di farlo, ma le parole non venivano più, il filo dei miei pensieri era spezzato, e le mie frasi erano sì incoerenti che non tardai a pormi in silenzio.

Crespel godeva del mio imbarrazzo, e un sorriso ironico e maligno si aggirava sulle sue labbra. Ben presto egli riprese la sua aria grave e mi disse con un tuono solenne. — O giovane! tu mi guardi come uno stravagante, come un insensato; io ti perdono perchè noi siamo rinchiusi nella stessa casa dei pazzi, e tu non t’irriti del credermi io Dio padre se non perchè tu credi di essere Dio figlio. Ma come hai tu osato voler penetrare in una vita che deve restarti straniera, e cercare di svolgerne i fili più secreti? Ella non è più ed il secreto è cessato!

Crespel si alzò e fece molte volte il giro della camera. Io ripresi coraggio e lo supplicai di spiegarmi questo enigma. Egli mi guardò a lungo, prese la mia mano e mi condusse vicino alla finestra della quale aprì le imposte. Egli appoggiò le sue braccia sul balcone, e col corpo inclinato in fuori, cogli occhi fissi sul giardino mi raccontò l’istoria della sua vita. Quando la ebbe terminata, io mi ritirai commosso e confuso.

Ecco le circostanze che concernono Antonia. Vent’anni prima, la passione che il consigliere aveva pei migliori violini dei vecchi maestri lo aveva attirato in Italia. Egli non ne fabbricava ancora e non pensava neppure a smontarli. A Venezia egli intese la celebre cantante Angela N.... che brillava allora nelle prime parti al teatro di San Benedetto. L’entusiasmo ch’egli provò non era tutto pel talento della signora Angela, ma dirigevasi anche alla sua celeste bellezza. Il consigliere cercò di fare la conoscenza di Angela e a dispetto delle sue maniere un poco ruvide, pervenne colla sua superiorità nella musica e col suo modo ardito ed espressivo di sonare il violino a guadagnare il cuore della bella Italiana. Un’intima relazione li condusse in poche settimane ad un matrimonio che restò nascosto, perchè Angela non voleva perdere il nome sotto il quale aveva acquistata tanta celebrità per prendere quello poco armonioso di Crespel. Il consigliere mi descrisse colla più pazza ironia la maniera con cui la signora Angela l’aveva tormentato non appena era stata sua moglie. Tutti gli umori, tutti i capricci, di tutte le prime cantanti erano stati uniti, al dire di Crespel, nel piccolo corpo di Angela. Se gli succedeva di voler esprimere una volontà, Angela gli mandava un’armata intiera d’Abbati, di Maestri, d’Accademici, che lo mostravano come l’amante più incivile e insopportabile che avesse mai resistito ad un’amabile signora. Una volta dopo uno di questi temporali Crespel si era rifuggito nella casa di delizie d’Angela ed egli dimenticava improvvisando sul suo violino di Cremona tutti i dispiaceri della giornata; ma ben presto la signora che l’avea seguito da vicino entrò nella sala. Ella si trovava in questo momento in vena di tenerezza, e abbracciando il consigliere essa gli fece dei dolci rimproveri e ripose la sua testa sulla sua spalla. Ma Crespel immerso nel turbine dei suoi accordi continuò a sonare il violino col suo entusiasmo ordinario e accade che il suo archetto toccò leggermente la signora. — Brutto bestione! gridò ella rialzandosi con furore; nello stesso tempo ella strappò il violino dalle mani del consigliere e lo mise in pezzi battendolo sopra una tavola di marmo. Il consigliere restò pietrificato; ma risvegliandosi come da un sogno, ei sollevò con forza la signora, la gettò dalla finestra della sua stessa casa e senza inquietarsi di quello che succederebbe corse a Venezia e partì tosto per l’Allemagna. Non fu che più tardi ch’egli comprese quello che aveva fatto. Benchè sapesse che l’altezza della finestra non era più di cinque piedi, egli si sentiva crudelmente tormentato, e tanto più vivamente in quanto che la signora gli aveva fatto conoscere ch’ella aveva speranza di diventar madre. Egli osava appena prendere delle informazioni e non fu poco sorpreso, quando circa otto mesi dopo il suo ritorno ricevette una lettera tenerissima della sua cara metà. Essa non vi faceva la minima menzione di quello che era succeduto alla casa di delizie, e gli annunciava che si era sgravata di una graziosissima bambina; il marito amato, il padre felicissimo era incessantemente pregato di ritornare subito a Venezia. Crespel non si arrese all’invito, ma scrisse ai suoi amici d’ Italia per informarsi di quello che era succeduto nella sua assenza; egli seppe che la signora era caduta sulla molle erbetta, colla leggerezza d’un uccello, e che la sua caduta non aveva avuto per lei che delle conseguenze morali. Da quel momento ella si era intieramente cambiata; non più tracce di cattivo umore, non più capricci; il Maestro che aveva composte le opere pel carnevale di quell’anno era stato il più felice degli uomini, perchè la signora aveva consentito a cantare tutte le sue arie senza gli innumerabili cambiamenti ch’ella era solita ad esigere. Il Consigliere non fu poco commosso da questa trasformazione. Egli dimandò i suoi cavalli e si gettò nella sua vettura. Tutto ad un tratto gli fece arrestare: — Ma, disse egli fra sè stesso, è egli ben certo che la mia presenza non renda ad Angela tutto il suo umore fantastico, e avrò io poi sempre il partito di gettarla dalla finestra? Egli discese dalla sua vettura, e scrisse a sua moglie una lettera molto tenera, dove parlò della gioja che provava nel sentire che sua figlia aveva come lui un piccolo segno dietro l'orecchio; ei le giurò che l’amava sempre e restò in Allemagna. Le proteste d’amore, i dispiaceri dell’assenza, i desiderj, le speranze volarono a lungo da Venezia ad H.... e da H.... a Venezia. Angela venne finalmente in Allemagna ed ebbe, com’è noto, un successo prodigioso sul gran teatro di F... Ella non era più giovine, ma in lei era un magico incanto che seduceva, e la sua voce non aveva perduto nulla della sua forza. Antonia era cresciuta, e sua madre aveva già scritto dall’Italia al Consigliere che sua figlia annunciava un talento di primo ordine. Gli amici che Crespel aveva a F.... gli dissero effettivamente che due cantanti che rapivano erano arrivate, ed essi lo invitarono con molte istanze a venire ad udirle. Essi non sospettavano quali stretti legami lo unissero a queste due forestiere. Crespel ardeva dal desiderio di vedere sua figlia, ma quando pensava a sua moglie, il coraggio gli mancava, ed egli restò a casa in mezzo ai suoi violini spezzati.

Un giovane compositore ben conosciuto divenne amante d’Antonia, ed Antonia corrispose al suo amore. Angela non ebbe niente da opporre a questa unione, e il Consigliere vi consentì tanto più facilmente in quanto che le composizioni del giovane avevano trovato grazia davanti al suo severo tribunale. Crespel si aspettava di ricevere ogni giorno la nuova del matrimonio, ma non gli arrivò che una lettera sigillata in nero e scritta da una mano straniera. Il dottore A.... annunciava al Consigliere che Angela era stata presa da un gran freddo uscendo da teatro, e che era morta la notte che doveva precedere il matrimonio di sua figlia. Angela aveva dichiarato al dottore che era moglie di Crespel, ed il Consigliere era pregato di venire al più presto a prendere sua figlia restata sola nel mondo. Crespel partì tosto per F.... Non si può immaginar la maniera dolorosa colla quale il Consigliere mi dipinse il momento in cui aveva veduto per la prima volta la sua Antonia. Vi era nella bizzarria stessa dei suoi termini una potenza di espressione della quale io non saprei dare un’idea. Il giovine fidanzato si trovava vicino a lei, ed Antonia indovinando con aggiustatezza lo spirito stravagante del suo genitore si mise a cantare un motivo sacro del vecchio padre Martini, che sua madre cantava continuamente al Consigliere nel tempo dei loro amori. Crespel sparse un torrente di lagrime; Angela stessa non aveva mai cantato questo pezzo con tanta espressione. Il suono della voce di Antonia era mirabile; esso rassomigliava ora all’armonioso soffio dell’arpa Eolia, ed ora alle leggiere modulazioni dell’usignuolo. Questi tuoni sembravano non trovare bastevole spazio nel suo petto. Antonia ardente d'amore e di gioja cantò le sue più belle arie; il suo fidanzato l’accompagnava nella maggiore ebbrezza. Crespel fu da principio immerso nel rapimento, in seguito divenne pensieroso, taciturno, concentrato in sè stesso. Infine egli si alzò, strinse Antonia contro il suo seno, e le disse con voce bassa e soffocata: — Non cantar più se mi ami.... questo mi strazia il cuore.... non cantar più.... per carità....

— No, disse il Consigliere al dottore il giorno dopo, no, non mi sono ingannato; jeri mentre cantando il suo rossore ci concentrava in due macchie sulle sue pallide guancie, ho conosciuto che non è una rassomiglianza di famiglia, ma bensì quello ch’io temeva. Il dottore, il cui volto si era oscurato alle prime parole del Consigliere, gli rispose: — Siano gli sforzi ch’esige il canto, sia una causa naturale, il petto d Antonia offre un difetto d'organizzazione che dà alla sua voce quella forza meravigliosa e quei tuoni unici che oltrepassano quasi la sfera della voce umana. Ma ella pagherà colla sua morte questa facoltà celeste, e se continua a cantare, in sei mesi ella avrà cessato di vivere.

Crespel si sentì lacerato da mille ferite. Gli sembrava vedere un bell’albero offrire per la prima volta i suoi frutti e tosto disseccarsi tagliato alla sua radice. La sua risoluzione fu subito presa. Egli disse tutto ad Antonia. Le dimandò se preferisse di seguire il suo fidanzato e morire in poco tempo in mezzo al turbine del gran mondo, o di seguire suo padre e vivere con lui lunghi giorni in un tranquillo ritiro. Antonia si gettò gemendo nelle braccia di suo padre che comprese tutto il suo dolore e la sua risoluzione. Egli conferì col giovine sposo che gli giurò che giammai il menomo canto non isfuggirebbe dalle labbra di Antonia. Ma il Consigliere sapeva troppo bene che il compositore non resisterebbe alla tentazione di far eseguire i suoi pezzi; d’altronde egli non avrebbe rinunciato ad udire quella voce incantevole, perchè la razza musicale è egoista, crudele, principalmente quando si tratta dei suoi piaceri. Bentosto il Consigliere disparve con Antonia. Il fidanzato apprese la loro partenza con disperazione. Egli seguì le loro traccie, ed arrivò nello stesso tempo di loro a H....

Vederlo ancora una volta e poi morire! diceva Antonia con voce supplichevole. — Morire! gridava il Consigliere furiosamente. Egli vide sua figlia, quella per la quale viveva unicamente al mondo strapparsi dalle sue braccia e volare in quelle del suo fidanzato; egli volle allora, che tutto quello che temeva accadesse. Sforzò il giovane a mettersi al pianoforte. Antonia cantò, e Crespel sonò il violino, sinchè le due macchie rosse apparvero sulle guancie d’Antonia. Allora egli ordinò ad essi di arrestarsi. Quando il giovane compositore si congedò da Antonia, ella gettò un alto grido, e cadde senza movimento. — Io credetti, così mi disse Crespel, io credetti ch’ella fosse morta come aveva predetto; e siccome io mi era preparato al più funesto avvenimento, restai tranquillo e d’accordo con me stesso. Io presi per le spalle il compositore che questo infortunio aveva abbattuto e gli dissi: (Qui il Consigliere prese la sua voce modulata) “Poichè vì è piaciuto, mio caro signore, di assassinare la vostra fidanzata, voi potete ritirarvi tranquillamente, pur che non vi piaccia di restare sino a che vi abbia immerso questo coltello da caccia nel cuore, cosa che non vi prometto di non fare se non partite immediatamente.„ Bisogna che in questo momento il mio sguardo sia stato passabilmente sanguinario, perchè egli partì in tutta fretta gettando alte grida. — Quando il Consigliere volle rialzare Antonia, ella aprì gli occhi, ma essi si chiusero quasi subito. Alle sue grida la vecchia serva accorse; un medico che si fece venire non tardò a richiamare Antonia alla vita. Ella si ristabilì più prontamente di quello che avrebbe sperato il Consigliere, e non cessò di attestargli la più viva tenerezza. Ella divideva con somma compiacenza tutte le sue occupazioni, le sue più pazze idee, i suoi gusti più bizzarri. Essa lo aiutava anche a spezzare i suoi vecchi violini, e a farne dei nuovi. — Io non voglio più cantare, ma vivere per te, diceva ella sovente a suo padre, quando alcuno la pregava di farsi sentire. Il Consigliere cercava sempre di evitare simili proposizioni; perciò egli non la conduceva che con dispiacere in mezzo al mondo, ed evitava sempre le case dove vi era musica: egli sapeva quanto era doloroso per Antonia il rinunciare all’arte ch’ella aveva portata ad una sì gran perfezione. Quando ebbe comperato il magnifico violino che seppellì con lei, egli si disponeva a metterlo in pezzi, ma Antonia guardò l’istromento con interesse, e disse con aria di tristezza: Anche questo? — Il Consigliere non poteva egli stesso definire quale potenza lo impedisse di distruggere quel violino, e lo sforzasse a sonarlo. Appena ne ebbe egli fatti uscire i primi suoni, che Antonia gridò con gioja: Ah io mi ritrovo.... Io canto ancora! — Effettivamente i suoni argentini dell’istrumento sembravano uscire da un petto umano. Crespel fu commosso sino nel fondo dell’anima, sonò con più espressione che mai, e quando cavava dei suoni teneri ed arditi, Antonia batteva le mani e gridava con estasi: Ah! come ciò mi è riuscito felicemente. — Da quel momento in poi una serenità estrema si sparse nella sua vita. Sovente ella diceva al Consigliere: Io vorrei ben cantare qualche cosa, mio padre! — Crespel distaccava il violino dalla muraglia e sonava tutte le arie di Antonia. La si vedeva allora aprirsi alla felicità. — Poco tempo prima del mio ritorno il Consigliere credette sentire, durante la notte, a sonare sul suo pianoforte nella camera vicina, e presto riconobbe la maniera di preludere del giovane compositore. Egli volle alzarsi, ma gli sembrò che legami di piombo lo tenessero immobile. Bentosto egli intese la voce di Antonia; ella cantò dapprincipio sotto voce in accordi aerei che s’innalzavano sino al fortissimo più alto poi i suoni divennero più gravi, ed ella incominciò un canto sacro alla maniera degli antichi maestri che il giovine compositore aveva scritto già tempo per lei. Crespel mi disse che lo stato in cui egli si trovava, era incredibile, perchè il terrore più orrendo si univa in lui all’estasi più deliziosa. Improvvisamente egli si sentì abbagliato da una viva luce; e vide Antonia e il suo sposo che si tenevano abbracciati e si guardavano teneramente. Il canto continuò e così pure gli accordi del pianoforte, e Antonia non cantava e il giovane non toccava i tasti. Il Consigliere cadde in uno svenimento profondo. Risvegliandosi, gli restò la memoria del suo sogno. Egli corse nella camera di Antonia. Ella era distesa sul letto, cogli occhi chiusi, e col sorriso sulle labbra. Sembrava che dormisse e fosse cullata da sogni di felicità. — Ma ella era morta.


fine del violino di cremona

  1. Questo è il modo che si tiene a intimare una sentenza di morte in Allemagna (Il Trad.)
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