< Rapisardi e Carducci - Polemica
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IV VI

V.

Dal Tamburo — Siracusa, I Maggio.

A MARIO RAPISARDI.

La gioventù siciliana, non è molto, compiva una di quelle dimostrazioni imponenti, dignitose, nobilissime, che non si possono davvero contemplare senza un vivo sentimento di compiacenza e un gran desiderio di applaudire.

Mario Rapisardi, il lodatissimo autore del Lucifero e della Palingenesi, il traduttore impareggiabile di Lucrezio e di Catullo, il più originale de’ lirici italiani viventi, qualche giorno addietro, era fatto segno alle ingiurie villane di un certo signor Lodi di Bologna; e la studentesca di Catania, a buon dritto non incurante della fama intatta ed onorata del maestro glorioso, insorgeva tutta come un sol uomo a stigmatizzare nella maniera più alta lo ingiusto provocatore, e quindi a protestare, in forme più generali, contro ogni bassezza ed ogni volgarità, venisse pure da uomini, stimati sino a un momento innanzi per tutt’altro che bassi e volgari.

Il giorno di sabato, mentre si recava all’Università a dettare la consueta lezione, lo illustre professore si vedeva circondato da una folla entusiastica, che gli gridava da ogni parte lo evviva e, per uno dei suoi membri (il sig. Majorana), gli veniva poco dopo a far conoscere i suoi sentimenti sempre uguali, anzi crescenti di affetto e di ammirazione. Non molto appresso il telegrafo, per grato pensiero di alcuni giovani, dava partecipazione del fatto a non iscarsa parte degli amici e degli ammiratori del poeta, dimoranti in altre città siciliane, e la sera e il giorno dopo lo egregio uomo si vedeva inondato da una pioggia di lettere e di telegrammi che si associavano alla manifestazione della mattina, e davano così un carattere più generale a quella che non era la espressione di una meschina vanità di campanile, ma di uno dei sentimenti più nobili e più elevati dell’umanità: la religione dovuta al genio!

— Chi è cotesto signor Lodi, e quali motivi possono averlo spinto ad agire in quel modo in cui ha agito con uno degli uomini più ammirati e più rispettati che abbia ai nostri giorni l’Italia? —

Se alcuno ha potuto o potrà dirigere a se stesso questa domanda, gli studenti di Catania e gli altri dell’isola tutta non se l’hanno punto diretta; e a Mario Rapisardi dovrà bastare lo spontaneo tributo di amore e di stima che gli è stato dato, soltanto per sè medesimo, senza commenti.

— «La crociata bandita dalla gioventù siciliana contro i miei calunniatori mi commuove e mi esalta: non mostra soltanto benevolenza all’autore del Lucifero, ma devozione a quei principii di libertà morale e religiosa, al cui trionfo io ho consacrato la parte migliore della mia vita.» —

Così in una lettera, diretta dall’uomo sommo al nostro amico Luigi Leone, che nella presente circostanza si affrettava a comunicargli l’adesione della gioventù liberale di Siracusa a’ sentimenti espressi nella dimostrazione catanese. Ed è vero: questo fatto di tante simpatie e di tanto entusiasmo per un uomo, non può spiegarsi con la sola considerazione della misera occasione individuale, ma più con quella d’un ordine di cose molto più vasto ed elevato: l’ordine de’ principii eterni e della morale immistificabile dell’Umanità!

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