Questo testo è completo. |
La Rassegna Rapisardiana raccogliere alcune schede bibliografiche riguardanti scritti intorno al Rapisardi, usciti in particolare nel 50° della sua morte, non equivale certo a fare una «. rassegna » e, molto meno, un « bilancio ». Per l'una e per l'altro sarebbero state necessarie le forze riunite di parecchi esperti volenterosi. Usino, dunque, indulgenza, i lettori tenendo conto soltanto della buona volontà.
GINO RAYA, 24 lettere inedite di Mario Rapisardi ad Enrico Onufrio, in « Narrativa », IV, 2, Giugno 1959, pp. 60-75.
« L'Onufrio, spirito libero ed anticlericale, non poteva non simpatizzare col maggior poeta dell'isola »; così l'editore di questo cospicuo manipolo di lettere che — sebbene non sia detto — fanno parte del « Fondo Onufrio», presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
Vario l'interesse di queste lettere, messo in rilievo, d'altronde, dal Raya stesso.
Un paio contengono la storia del tentativo fallito del trasferimento del Rap. dall'Università di Catania a quella di Palermo, vivamente auspicato dall'Onufrio.
Una diecina riguardano la pratica per la libera docenza, che coronò la breve vita di quest'ultimo.
Altre contengono interessanti confessioni del catanese sul Giobbe e il suo culto della poesia in genere, sulla polemica col Carducci e i carducciani, sulla sua tragedia dell'infedeltà della moglie.
Il Raya conserva le particolarità ortografiche del suo autore, riproducendo fedelmente publica, sodisfare, obligatissimo.
Non aggiunge note o commenti, ma dà, quando occorre, qualche opportuna indicazione subito dopo ciascuna lettera.
ETTORE PARATORE, Gli studi di latino in Sicilia durante il primo secolo dell'Unità d'Italia, in « Rivista di cultura classica e medioevale », sett.- dic. 1961.
Non poteva mancare, in un saggio di cosi ampia impostazione, posto ben distinto per il Rapisardi, il quale, considerate in rapporto alla sua formazione classicheggiante e accademica, appare al P. come « l'esempio più interessante di incrocio, anzi di urto, fra una cultura letteraria antiquata e le nuove correnti culturali ».
LORENZO VIGO FAZIO, Mario Rapisardi (nel cinquantenario della morte), Catania, Centro di Studi Rapisardiani, 4 Gennaio 1962 (Tip. P. Lizzio), pp. 89.
Nel volumetto, che reca sulla copertina la riproduzione di una bella fotografia del poeta, l'A. ha riunito tre suoi scritti di tempi diversi, i quali mostrano come il Vigo Fazio abbia costantemente tenuto fede al monito del Poeta da lui venerato, il quale ai giovani ricordava che le nobili elevazioni dello spirito inducono impegni che non possono risolversi in un'ora di entusiasmo, e che le prove di affetto ad un artista sono testimonianza di fede a un'idea.
Il primo scritto (pp. 3-38) e il testo del discorso tenuto in Catania, nel Teatro Massimo Bellini, nel Gennaio del 1922, per la solenne commemorazione del X anniversario della morte del Poeta, e fu già pubblicato dall'A. nel suo volume di « Saggi e Discorsi » del 1926.
Tratta de L'epistolario inedito di Mario Rapisardi, l'epistolario, cioè, che in quel momento era ancora inedito, ma che poco appresso avrebbe veduto la luce pei tipi dell'editore N. Giannotta di Catania, a cura di Alfio Tomaselli, erede delle carte rapisardiane, che vi spese intorno piu di un decennio di fatiche.
Il V. F. dice, cosa verissima, che «possono considerarsi come raro esempio di chiarezza e di verità », e ne da questo efficace giudizio d'insieme: « E meglio che se avesse scritto un grosso volume di confessioni, il poeta ha lasciato in esse, senza alcun meditato disegno, la nitida traccia di cinquant'anni di vita fervida di pensiero e di passione... ».
Passi di queste lettere sono indicati dal V. F. come testimonianza della coerenza, dell'indomita costanza e fierezza del carattere, del disdegno del loro autore pei vani onori, come altri passi — dopo digressioni sul pensiero religiose del poeta, sul suo imperioso bisogno di dedizione e di tenerezza — servono ad illuminare la storia degli amori di lui con Giselda Foianesi, Lina Cattermole e Amelia Poniatowscki, quella delle nobili amicizie coi più illustri e generosi uomini di Sicilia, con non pochi di altre regioni d'Italia, con alcuni stranieri. Ovviamente, non e passata sotto silenzio la famigerata polemica col Carducci, occasione la lettera 10 maggio 1881 che viene riferita per intero al pari dell'altra a Filippo Zamboni, del 21 marzo 1886, giudicata « la più bella dell'Epistolario ».
Il secondo scritto (pp. 39-49): La figura di Rapisardi, apparso già il 30 otto-bre 1924 nel foglio « Il Corimbo» di Benevento, muove dal discorso commemorativo di Sante Sottile Tomaselli del gennaio 1922, del quale si fa alto elogio lamentandosi tuttavia che esso, per una più completa rievocazione, non abbia tratto vantaggio dal carteggio pubblicato da Alfio Tomaselli con l'amico più caro, Calcidonio Reina.
A proposito poi degli autori più a lungo studiati dal R., a quelli indicati dal Sottile, il V. F. aggiunge molto opportunamente lo Shelley, per il quale il catanese ebbe un culto speciale, come mostrano consonanze di pensiero e di sentimento, nonchè riecheggiamenti poetici, di cui vengono dati esempi.
Infine, il terzo, più ampio scritto (pp. 51-89): L'opera e la fortuna di Mario Rapisardi, riproduce il discorso pronunciato a Parigi, nella sede della « Dante Alighieri », il 14 gennaio 1933, e a lunga distanza di tempo pubblicato poi ne « La Rivista di Lecco, n. 2, 3, 4, 1955). Vita e opere del R. sono passate in rassegna con puntuale precisione, con l'intendimento di far palese come l'uomo, il professore, il poeta convergessero nell'inflessibile carattere, come il poeta etneo sia stato a torto accusato di ateismo, come le manchevolezze della prima produzione poetica siano state superate dalla successiva: dal Lucifero, dai canti di Giustizia, e specialmente dal Giobbe, giudicato « il suo capolavoro di pensiero e di poesia, la sua opera più bella e più profonda, ove la sua maturità spirituale attinge la sua massima espressione ».
L'esame critico è esteso a tutta la rimanente opera rapisardiana; improntato a confessa simpatia (p. 82), esso si avvale anche dell'apprezzamento positivo di critici come il De Sanctis e di quello in gran parte negativo del Croce, che viene discusso.
Nella parte finale, in cui sono raccolte notizie sulla fortuna del poeta tra i giovani del suo tempo, sulle onoranze tributategli nel 1898-99, sui sintomi odierni di rivalutazione e di nuovo interesse per l'opera di lui, va notata la spiegazione innovatrice, pacata, accettabilissima, che si dà della polemica col Carducci vista nel quadro della formazione letteraria e della personalità dei due poeti:
« L'antitesi... fra il Carducci ed il Rapisardi esula dalla mera rivalità personale; ed è alla testimonianza del cozzo di due correnti, che tormentarono ed elevarono l'anima italiana, su lo scorcio del XIX secolo ».
Nonostante il tono e l'intento inevitabilmente apologetico dei tre saggi, data la loro origine celebrativa, va riconosciuta all'A. onestà critica, congiunta a finezza di gusto e a sincero amore per la poesia.
M.E. ALAIMO, A proposito del cinquantenario rapisardiano, in Giglio di roccia, Rassegna di vita siciliana, Palermo, a. XIV, n. 16 N. S., Primavera 1962, pp. 5-11.
L'A. si augura che, sull'esempio di quanto sta avvenendo per il Pascoli nella ricorrenza del cinquantesimo della morte, la scadenza quattro gennaio 1962, cinquantesimo della morte del Rapisardi, sproni il mondo letterario a riprendere il dibattito sulla poesia rapisardiana, a rivedere i giudizi su di essa.
Ciò non tanto e non solo per la coincidenza delle due ricorrenze, quanto per un punto di contatto « rilevantissimo » fra i due poeti, avendo il Rapisardi attinto l'ispirazione fondamentale della sua opera da quel medesimo conturbante mistero che il Pascoli sentiva pesare sulla « prona terra ».
Talune lettere edite di recente, gli studi condotti dal Borgese, dal Bevilacqua, dal Vaccalluzzo, dal Guglielmino, hanno già mostrato che la condanna carducciana e la stroncatura crociana del Rapisardi mossero da ragioni estranee alla poesia.
Si tratta ora di aprire gli occhi con l'anima in ascolto sull'essenza vera della lirica rapisardiana lievitata com'è, di trascendenza idealistica non meno di quella del Pascoli.
Di essa l'A. esamina con fine gusto alcuni pochi passi, tra i più significativi.
L'articolo, avvincente e sentito, è corredato dell'immagine di un Rapisardi di mezza età, incisione di C. Grimaldi, non che del facsimile di una lettera del poeta a Luigi Natoli, 25 Maggio '83, il cui autografo fa parte del « Carteggio Natoli » custodito presso la Biblioteca comunale di Palermo.
M.E. ALAIMO, Cinquant'anni dalla morte di Rapisardi. Il nostro debito verso il poeta, in « Giornale di Sicilia », Palermo, 5 gennaio 1962, pag. 3a.
Con questo articolo la solerte e acutissima studiosa, continuando la sua campagna, chiede riparazione al silenzio in cui, a causa degli avvenimenti di allora, passò il centenario (1944) della nascita del Poeta e anima gli italiani a rendere giustizia alla sua poesia in questa nuova occasione del cinquantenario della morte.
Fatto cenno delle cause contingenti che scatenarono intorno al Catanese polemiche ingrate, del giudizio risentito del Croce, l'A. rinfresca opportunamente il ricordo dell'articolo della Nuova Antologia nel quale G. A. Borgese, due anni dopo la scomparsa del poeta, fece magistralmente il punto della questione Rapisardi. E afferma cose sennatissime con calore convinto, giacchè, a dire il vero, poco la critica della nostra generazione si è impegnata in una revisione di giudizi per la quale vi sarebbe molta materia, se prevenzioni una volta per sempre cessassero.
Opportunamente, infine, l'A. fa ricordo del carteggi Gisleri e Colaianni, di recente editi dal Feltrinelli, nei quali molte pagine depongono a favore del Rapisardi e della sua poesia, e rinvia ai copiosi altri carteggi posseduti dalle biblioteche comunali di Catania e di Palermo, auspicando un dibattito ampio e nutrito che valga a « conferire al giudizio che ne emergerà, il valore di un voto unanime inteso a riparare il torto d'un agnosticismo non ulteriormente compatibile ».
M.E. ALAIMO, A proposito del Cinquantenario rapisardiano. Incontro ideale fra autore e traduttore, in « Giornale di Sicilia », Palermo, a. CII, n. 149, 30 maggio 1962, pag. 3".
Mossa a riprendere il suo colloquio col pubblico da una conferenza del latinista Luigi Alfonsi al Centro studi per la cultura siciliana di Palermo, la combattiva autrice continua la sua generosa battaglia in favore di una rivalutazione della poesia non caduca di Mario Rapisardi e in particolare, questa volta, si sofferma sulle traduzioni rapisardiane da Lucrezio e da Catullo.
Riassume, a tale proposito, le premesse dell'Alfonsi sul nuovo modo d'impostare il problema delle traduzioni, per il quale il valore di queste non si deduce piu dal confronto minuzioso con l'originale (concordemente giudicato improduttivo perchè ogni parola poetica è solo quella, insostituibile nella sua lingua, intraducibile in un'altra), si deduce bensì dalla considerazione della versione come « opera d'arte in sè conclusa », che felicemente esprima l'adesione spirituale del traduttore.
Della conferenza afferma avere essa potuto ben dimostrare che alle due traduzioni in cui lavorò da artista, il Rapisardi si preparò con intelligente rispetto della filologia senza trascurare per altro un'indagine personale su tutta la letteratura latina che gli permise di inquadrare lucidamente nel loro momento storico e nella loro temperie letteraria così Catullo come Lucrezio.
I due lavori si possono definire, ha detto Alfonsi, frutto di un vero « incontro ideale » fra autore e traduttore.
Notevole e raccomandabile alla posterità anche quel mannello di traduzioni ignorate, che figurò nell'edizione 1911 di tutte le opere del poeta, nel quale figurano passi di Petronio, canti di Ennio, di Seneca, di Boezio. Questi sparsi frammenti rivelano un R. in rotta con ogni convenzione classicista o romantica o positivista, e volto alla gioia di altri incontri ideali seguendo il proprio gusto ed il proprio cuore.
ANTONINO CASSARA', Mario Rapisardi nel Cinquantenario della morte in « Siculorum Gymnasium», N.S. a XV, n.1, Genn.-Giugno 1962, pp.90-101.
Lamentata la dimenticanza in cui il R. è caduto dopo essere stato per tanto tempo in prima linea nell'agone letterario, mossa rampogna contro coloro che oggi ne parlano affettando un punta d'irrisione magari senza averlo letto, contro critici anche egregi (es. Luigi Russo) che ne hanno giudicato superficialmente, si chiede donde derivi tanta noncuranza da una parte, tanto malanimo dall'altra e, cercando la difficile risposta crede di poterla trovare nell'isolamento in cui il poeta si chiuse, circondato da «pochi devoti di assai modesta levatura intellettuale, fanatici ammiratori della parte deteriore dell'opera sua, ma non in grado d'intendere e apprezzare l'intima essenza del suo pensiero poetico.
Né è questa un'opinione priva di fondamento, anzi a me sembra colga nel segno se si considera quanta parte degli scritti sul Rapisardi sia nient'altro che fanatica, verbosa, inconcludente apologia.
Or, dunque, il C. si propone di scrutare l'intima essenza del pensiero poetico rapisardiano, sfuggita ai più, e poi di vedere dove e quando il R. sia riuscito a tradurla in opera d'arte.
Il motivo fondamentale dell'attività poetica del catanese, egli lo trova nell'assiduo suo anelito al possesso di una fede di fronte al mistero imperscrutabile dell'universo.
Deviazioni non mancano nella copiosa produzione, ma sono spesso soltanto apparenti, come il C. si adopera di dimostrare.
Quanto alle effettive realizzazioni poetiche, il nostro autore, distinti due periodi nella produzione del R., senza esitazione afferma che le opere del primo periodo e l'Atlantide, eccettuate tuttavia parecchie liriche delle Ricordanze, sono di gran lunga inferiori a quelle del secondo periodo, e, dopo avere spiegato il perchè critico della sua affermazione, passa all'esame delle liriche della maturità sulle quali si sofferma con sensibilità squisita, polemizzando verso la fine col Croce, colpevole di un giudizio quanto mai sommario sull'opera del poeta etneo.
Conclude con un riferimento all'opera di equa rivalutazione avviata dal Vaccalluzzo e dal Bevilacqua, che si augura possa essere continuata.
GINO RAYA, Schede fisiologiche in « Narrative », VII, 4, Dicembre 1962, pp. 180-185.
Delle tre « schede fisiologiche» che l'autore della teoria del « famismo» e direttore della rivista pubblica in questo numero, una è dedicata a Mario Rapisardi.
Al solito, la « scheda» è a tre colonne, la prima ha il titolo Corpo-moralità, la seconda Pensiero-critica, la terza Arte-stile.
Circa il corpo-moralità, dopo la presentazione: « Gracile, ambizioso, intelligente », l'A. si rifà a due notizie essenziali: la conquista della cattedra universitaria, la lotta contro il Carducci.
Di quest'ultima dice che, a parte i colpi bassi inferti da Bologna, essa «divenne il vero reagente chimico per l'indole del Rapisardi, mal soddisfatta della celebrità isolana ». E conclude:
« Se Rapisardi non avesse incontrato un Carducci, se lo sarebbe costruito sulla stessa misura, tanto gli era necessario ».
Quanto al « pensiero-critica », il maggiore sforzo critico del Rapisardi sembra al R. l'orazione inaugurale dell'anno accademico 1879-80 all'Univer. di Catania, dal titolo Il nuovo concetto scientifico, nella quale riuscì ad ordinare, in maniera inconsueta a professori delle sue discipline, le principali conclusioni della scienza moderna, ma nella quale « la stessa abbondanza di citazioni rivela più la dottrina e l'ostentazione, che l'originalità e la passione ».
Colui che impersonava in nomi e cognomi ben noti i nemici della scienza e del progresso, non era fatto per raggiungere altezze di pensiero o di critica.
Per conseguenza, il giudizio del Raya su arte-stile del catanese è molto limitativo.
Vede i frutti migliori del suo « abito versificatorio» non nei poemi, bensi nelle traduzioni, particolarmente in quella da Lucrezio, e non si meraviglia che « la sua carica di sadismo » affiori, meglio che nei componimenti più elaborati, in certi suoi giambi, epigrammi, trovate dialettali o perfino scurrili.
E' naturale pertanto, che a proposito degli Scherzi pubblicati postumi dal Tomaselli, dica che, senza essere il suo capolavoro, « indirizzano la nostra fantasia verso una zona dove il R. sa-rebbe stato di casa, se i pennacchi della tradizione parnassica non lo avessero irretito fra poemoni ed epistole e filippiche troppo caricate per meschinità d'ogni tempo ».
PAOLO MARIO SIPALA, Introduzione al Rapisardi critico, estr. da « Memorie e Rendiconti » dell'Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Acireale, serie I, vol. IV, pp. 175-206.
Primizio di uno studio sull'attività critica del R., questo saggio si apre con alcune considerazioni molto utili, primaria questa: che l'attività critica rapisardiana fu soprattutto inerente al magistero svolto dall'autore catanese dalla cattedra universitaria.
Ma delle lezioni molte furono distrutte dall'autore stesso; la trentina rimaste manoscritte sono, in gran parte inedite, presso le Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero di Catania. Che alla pubblicazione di esse il Rap. avesse egli stesso pensato, è dimostrato dalla loro sistemazione in una successione che obbedisce a un criterio storico rispetto agli argomenti letterari, ad un criterio logico nelle lezioni di estetica; ma la fortuna del poeta sopraffece quella del critico.
Del resto queste lezioni non hanno tutte uguale valore e poichè — dice molto acutamente il S. — la cultura, così composita, che materiava il dibattito letterario del Rap. divenne in molti casi una remora, come la sensibilità ai propri temi auto-biografici uno schermo, è ovvio che tra esse — come tra le opere in versi — bisogna « saper scegliere » e « saper dimenticare ».
La lezione qui presa primieramente in esame (177-187) è quella su La Beatrice di Dante, una delle poche pubblicate (1877) dal R. stesso, sebbene rimasta generalmente ignorata.
Il S. comincia col metterne a nudo la struttura, mostrando come il R. nella Vita nova veda una Beatrice oscillante tra la donna e l'angelo, nel Convito una Beatrice intisichita dal simbolo e dall'allegoria; nella Commedia una Beatrice intera, donna e angelo, sentimento e ragione, simbolo e realtà.
Questa posizione gli sembra originale anche rispetto alla critica più autorevole del Carducci e del De Sanctis, i cui risultati non dubita siano stati dal R. conosciuti ed egli esamina attentamente per istituire raffronti e cogliere divergenze.
Dimostra, pertanto, che il catanese non ebbe incertezze, ne preoccupazioni di scuola storica.
« Il suo radicato positivismo lo immunizza contro le suggestioni del misticismo e della simbologia », lo provoca a ribadire costantemente il fondamento realistico della Vita Nova.
Seguono alquante pagine (187-200) dedicate all'esame della lezione rapisardiana su L'odio di Francesco Petrarca, che il S. ritiene di un tempo posteriore agli anni 1878-80.
Non tralascia egli di dare rilievo alle premesse, che enunciano idee sulla letteratura e posizioni teoretiche.
A proposito dei rapporti tra Rapisardi e De Sanctis sul piano metodologico della critica letteraria, si avvale di importanti lettere sia edite sia inedite del carteggio Capuana Rapisardi.
Dopo un'esauriente indagine conclude, riferendosi al Rap.: « La sua concezione della critica era tale da non consentire l'innalzamento di questa al livello dell'arte, nè al critico una conquistata immedesimazione con l'artista, a meno che il critico e l'artista non fossero la stessa persona, come appunto il Capuana, dal Rapisardi salutato « critico-artista ».
La lezione sul Petrarca fu, dunque, concepita nel clima dei problemi di metodo agitati in detti carteggi e delle perduranti discussioni petrarchesche proprie di quel tempo.
In essa la valutazione etico-politica prevalse su quella estetica, come il motivo passionale autobiografico sulla ricerca erudita.
Nel terzo paragrafo (pp. 200-206) vengono esaminate le lezioni sul Secentismo nelle quali il R., sulla scia dei giudizi sul Seicento, perviene ad una definizione della poesia filosofica che distingue dalla didascalica, da respingersi e condannarsi.
Da qui lo spunto al S. per mostrare come il rapporto filosofia-letteratura sia, ai nostri giorni, ridivenuto attuale e quale sia la posizione del professore catanese sull'altro problema, anch'esso attualismo, del rapporto fra individuo e società.
Con frequenti citazioni di passi dello stesso Rap., il nostro studioso scevera le intuizioni felici dalle tesi inaccettabili di queste lezioni sul Seicentismo, le quali mostrano il critico saldamente ancorato ad una concezione della socialità e storicità dell'arte la quale, tuttavia, soggiace a quella legge di svolgimento che dirige e modera tutte le manifestazioni dell'essere.
Questo modesto riassunto, non può, purtroppo, far conoscere in concreto il valore delle pagine del S. . Esse hanno il merito notevolissimo di tenlare per la prima volta, con delicato impegno, un argomento ben difficile, trascurato fin ora. Si tratta, come il titolo avverte, solo di una « Introduzione », ma è certo — leggiamo alla p. 177 _ che un discorso critico su Rapisardi può giovarsi — e noi diremmo « deve » — della conoscenza del Rapisardi critico.
E questa è stata la via saggiamente imboccata dal Sipala.
La ricorrenza cinquantenaria della morte di Mario Rapisardi è stata celebrata a Catania il 13 dicembre 1962, con le seguenti manifestazioni, svoltesi nell'Università.
Il discorso celebrativo e stato tenuto con molto impegno e profondo acume dall'ordinario della cattedra di Letteratura italiana, prof. Fernando Figurelli, successore, a distanza di decenni, del Rapisardi stesso.
Esso e riportato integralmente alle pp. 27-41 di questo vol. dell'A.S.S.O.
Al discorso ha fatto seguito lo scoprimento di una lapide nell'atrio vaccariniano, la quale, come già quella rimossa nel 1934 in occasione dei restauri al palazzo, reca l'iscrizione dettata a suo tempo da Arturo Graf.
E' stata indi inaugurata, nel salone della Biblioteca Universitaria, promotrice la nostra Società di Storia Patria, una pregevole Mostra di manoscritti e di edizioni rapisardiane, alla quale hanno collaborato, oltre la Società, la stessa Biblioteca Universitaria, e le locali Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero.
La stampa quotidiana e periodica non ha mancato di richiamare l'attenzione sulla ricorrenza.
Il quotidiano catanese Corriere di Sicilia, il 16 dic. 1962 ha dedicato all'avvenimento l'intera terza pagina, affidandone la cura all'egregio suo critico letterario, espertissimo di cose rapisardiane, prof. MARIO SIPALA.
In essa e riprodotta, in un grande facsimile, la prima pagina dello stesso giornale, 8 gennaio 1912, in cui fu dato resoconto dell'universale cordoglio per la morte del poeta.
Vi sono poi: un acuto articolo di MARIANO TORRISI dal titolo Poesia e non poesia nei versi politici e sociali; il testo di una Lettera [inedita] a un uomo di sentimento del 22 ott. 78,
il cui autografo e posseduto dalle Biblioteche riunite Civica e Ursino Recupero, e che il Sipala ritiene diretta a Calcidonio Reina; il corsivo intitolato Appare dalle lezioni universitarie il profilo di un Rapisardi critico che è un precorrimento del lavoro del Sipala sull'argomento, di cui questa « rassegna » si è occupata in altra pagina.
Infine, dal facsmilie di un interessante autografo inedito e possibile apprendere l'ordinamento che il R. aveva ideato di dare, forse per la pubblicazione, ad alcune delle sue lezioni universitarie.
Un intelligente resoconto delle manifestazioni celebrative catanesi e stato fatto da FERDINANDO CAIOLI, con l'arricchimento di informazioni varie e di considerazioni personali, nel Giornale d'Italia , 24-25 dicembre 1962.
Un richiamo al dovere di solennizzare la ricorrenza e di solennizzarla con qualche concreta iniziativa, è venuto persino da giornali di provincia, fra i quali ricordiamo « Il mattino di Modica » che nel n. 45, del 16 dicembre 1962, ha ospitato un breve scritto dell'avv. VITTORIO NAPOLITANO:
Onore al poeta catanese: Mario Rapisardi. L'a. si è chiesto se non sarebbe stato il caso di ripubblicare per la circostanza l'« opera omnia » rapisardiana, e se il prendere di ciò l'iniziativa non sarebbe stata opera meritoria della Regione Siciliana.
E' anche di VITTORIO NAPOLITANO altro scritto apparso nel medesimo settimanale (a. III, n. 24, 23 giugno 1963): Ancora sulle mancate celebrazioni del Poeta Mario Rapisardi.
Vi è fatto ricordo dei vari Centri di studi rapisardiani ricostituiti, o costituiti ex novo, dal 1954 in poi: quello di Catania, animatore e presidente il prof. Lorenzo Vigo Fazio, la Sezione lombarda, patrocinata da un non siciliano, Bernardino Mazzarella, la Sezione romana (1955).
A queste utili notizie storiche fa seguito il ricordo del discorso pronunzialo dal Sen. Eduardo Di Giovanni a Roma nel 1955 nella sede dell'associazione «Giordano Bruno» (e pubblicato quasi integralmente da « Piccola Tribuna » di Catania, diretta da Concetto Battiato), non che di altro discorso del Sen. Di Giovanni tenuto al Circolo Artistico di Catania nel 44° anniversario della morte del Poeta (1956); infine, del discorso del prof. Andrea Finocchiaro-Aprile nel Palazzo comunale di Catania nell'anniversario successivo.
Il N. elenca anche la proposte fatte in queste varie occasioni per onorare il Poeta: erigere un monumento in una bella piazza di Catania; potenziare e aiutare il Centro di Studi Rapisardiani: istituire un Premio di poesia intitolato al Rapisardi; sollecitare presso il Governo della Regione Siciliana un'edizione ufficiale delle opere rapisardiane, comprensiva delle prose tuttora inedite.