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RE DAVID PRIMO
David O’ Keefe, un americano di Savannah, forma l’invidia di tutti i marinai del vecchio e del nuovo mondo: e si capisce perfettamente.
Diventare re d’un’isola, d’una anzi delle più belle e delle più fertili isole del Grand’Oceano, è cosa che non succede tutti i giorni, specialmente quando si ha un padre che fa il ciabattino e che non ha altri meriti al mondo che quello di rattoppare le scarpe di tutti i buoni abitanti di Savannah.
Vi premetto che ciò che vi narro è una storia autentica, poiché quel fortunato marinaio è stato riconosciuto re perfino dalla potente Germania, proclamatasi, una dozzina d’anni or sono, protettrice del piccolo gruppo di Top, facente parte dell’arcipelago delle Caroline occidentali.
David O’ Keefe, il quale aveva forse presagito di diventare un giorno un potente della terra e di mettersi sul capo una corona (d’oro, oppure formata di penne di pappagallo, ciò non importa), aveva sempre avuto un sacro orrore pel deschetto paterno, per le ciabatte rotte, per le lesine e per gli spaghi. A dodici anni era scappato di casa per diventare marinaio. Sul mare una certa notte aveva sognato di veder brillare una corona ed al mare aveva dedicato la sua vita, le sue forze e le sue segrete ambizioni.
Da mozzo passa marinaio, da marinaio diventa timoniere, e raggiunto quel grado commette la corbelleria di sposare una brava ragazza di Savannah la quale doveva, come vedremo in seguito, causargli non pochi grattacapi.
Il buon David un bel giorno s’imbarca su un clipper americano che faceva dei lunghi viaggi attraverso l’Oceano Pacifico.
Tutti i clippers sono splendidi velieri, costruiti appositamente per corsa, stretti di carena, affilati come lame, con uno sviluppo enorme di vele: ciò che permette loro, con buon vento, di filare tranquillamente dieci e anche dodici nodi all’ora.
Se sono condotti da americani, sorpassano quella velocità, poiché quei bravi marinai pur di far presto non badano se l’intera alberatura cade sulla loro testa e li accoppa tutti.
Purtroppo il clipper montato da O’ Keefe fu sorpreso da una burrasca spaventevole nei pressi dell’arcipelago delle Caroline a non molta distanza dell’Isola Yop, che è una delle più popolose e delle più fertili del gruppo.
Il capitano che aveva fretta, invece di far prendere terzaroli sulle rande e di ammainare le contro-rande come avrebbe fatto qualunque altro uomo di mare un po’ più prudente d’un yankee, lanciò il clipper a corsa sfrenata e una brutta notte lo scaraventò contro una scogliera.
Lo scafo si sfascia pel cozzo formidabile, l’alberatura piomba tutta in coperta e ammazza i quattordici uomini che formano l’equipaggio, e non resta vivo, per miracolo, che il solo David.
Chiunque altro si sarebbe perduto d’animo dopo una così terribile catastrofe, ma non il timoniere O’ Keefe.
Gettò i morti in mare e calò l’unica scialuppa che era rimasta intatta, mettendovi entro una cassa che supponeva contenesse dei biscotti o per lo meno del bue salato, un barilotto di polvere, un sacchetto di palle, un paio di fucili; e appena calmatasi la tempesta si affidò fiducioso alle onde.
Sapeva di non essere molto lontano da Yop: perciò si diresse verso ponente colla speranza di giungervi presto.
Per dodici ore arrancò disperatamente, e giunta la notte pensò di dare l’assalto alla famosa cassa.
Altro che biscotti e carne salata! Conteneva chinino, olio di ricino ed altri medicinali.
Il disgraziato timoniere aveva salvata la farmacia di bordo!... Per un momento, godendo una perfetta salute, ebbe l’idea di sbarazzarsi di quell’inutile carico; poi, riflettendo meglio si decise di conservarlo; e fu bene, poiché quella cassa valeva nientemeno che la corona di Yop.
Quella sera al disgraziato timoniere non rimase altra risorsa che di stringersi la cintura per imporre silenzio allo stomaco che reclamava imperiosamente la cena.
L’indomani Yop non era ancora in vista e David O’ Keefe era più affamato e più assetato che mai.
L’oceano sconfinato circondava la scialuppa, rumoreggiando cupamente e nessun veliero, nessuna terra, si mostravano all’orizzonte.
Solamente dei mostruosi pescicani giuocherellavano fra le onde, guatando ferocemente il disgraziato naufrago del clipper. Altre ventiquattro ore passarono senza migliorare la condizione del timoniere il quale ormai si credeva destinato a morire di fame e di sete o ad offrire il suo carcame ai pescicani od agli albatros, quei grossi ed ingordi uccellacci marini che scorrazzano senza posa gli oceani e che non sdegnano la carne umana, quando mancano loro le grasse orate od i teneri e deliziosi pesci volanti.
Il terzo giorno lo sventurato David, ricordandosi d’essere figlio di un calzolaio, prese una eroica risoluzione. Si cavò una scarpa e la rosicchiò.
Il quarto giorno si aprì una vena e bevette un paio di bicchieri del proprio sangue.
Cominciava a dimagrire spaventosamente: se la sua graziosa moglie l’avesse veduto in quei terribili momenti non avrebbe di certo riconosciuto in lui il più bel timoniere di Savannah.
Il quinto giorno il povero uomo fu colto da una specie di sincope e stramazzò sul fondo della scialuppa.
Quanto tempo rimase in quello stato? David O’ Keefe non lo seppe dire nemmeno quando diventò re di Yop.
Tornato in sé, con sua grande sorpresa si trovò sdraiato sopra una verdeggiante prateria.
Dei grandi alberi, dei gelsi papiriferi lo circondavano, proiettando su di lui un’ombra fresca e deliziosa e fra i rami cicalavano a piena gola stormi di pappagalli e di cacatoa dalle belle penne variopinte.
O’ Keefe credette per un momento di sognare, ma una voce umana lo richiamò ben presto alla realtà.
— Pover’uomo — aveva esclamato, qualcuno in lingua spagnola.
David O’ Keefe spalancò gli occhi, avendo perfettamente compresa quell’esclamazione, poiché da buon marinaio conosceva o meglio masticava parecchie lingue, e vide intorno a sé tre o quattro dozzine di superbi polinesiani, di alta statura, che per vestimento non avevano che dei tatuaggi ed un anello di ottone sospeso al naso.
Erano però gentilissimi quei selvaggi, poiché si facevano in cento per offrire al povero marinaio delle profumate banane, degli aranci grossi come la testa di un fanciullo, delle noci di cocco già aperte e perfino delle larghe fette di frutta dell’albero del pane, arrostite. Ve lo figurate il timoniere David O’ Keefe in mezzo a tanta abbondanza dopo chissà quanti giorni di digiuno! Fu un vero miracolo se non morì d’indigestione.
Quando fu pieno da scoppiare, gli isolani improvvisarono con dei rami una specie di palanchino, ve lo caricarono sopra poiché il timoniere, malgrado quella copiosa scorpacciata, non aveva più la forza di reggersi in piedi, e lo condussero trionfalmente al villaggio ove risiedeva il re dell’isola.
L’accoglienza fu ospitalissima. Quei polinesiani avevano già avuto frequenti rapporti cogli spagnoli, ai quali l’arcipelago delle Caroline apparteneva, e non erano più né antropofaghi, né selvaggi.
E poi David O’ Keefe aveva una magnifica capigliatura fulva, un bel viso e due occhi azzurri come il mare e si era subito acquistato le simpatie delle belle caroliniane.
Gli fu data una comoda capanna, di punto in bianco fu innalzato alla onorifica carica di primo ministro e di medico di corte del re di Yop.
Il chinino e l’olio di ricino avevano fatto subito furore, salvando non so quanti cortigiani e quante principesse.
E pensare che prima aveva avuto la pessima idea di gettare la preziosa cassa in mare, come cosa inutile!
David O’ Keefe fu ritenuto, dopo quelle guarigioni straordinarie, come un essere superiore mandato dal Gran Padre Oceano, e da quel giorno non fu servito che in ginocchio. Il figlio del ciabattino di Savannah seppe subito approfittare di quella insperata fortuna.
Sapendo dove era naufragata la nave, raccolse una flottiglia di piroghe e andò a cercarla, per ricavare da essa quanto poteva essergli utile, e per un caso veramente prodigioso fu tanto fortunato da ritrovarla.
Il clipper, come si può ben immaginare, era sgangherato; tuttavia le onde avevano risparmiata la sua carcassa.
David O’ Keefe, approfittando d’un giorno di bassissima marea, vuotò, coll’aiuto degli isolani, la stiva, impadronendosi d’una grande quantità di cose utilissime, soprattutto di molte munizioni e di molti moschetti.
Da medico fu nominato generale d’armata, ed il re di Yop dovette convincersi d’aver fatto una splendida scelta, perché qualche mese dopo il timoniere conduceva il suo esercito contro gli isolani d’una terra vicina, che si erano ribellati all’autorità del monarca, sconfiggendoli completamente.
Premio di quella strepitosa vittoria fu... il matrimonio con una figlia del re. Il povero David aveva cercato di persuadere il monarca di aver lasciato un’altra donna in America e di non potere, come uomo civile, aver due mogli, ma il re, che ne aveva una cinquantina, era rimasto sordo e anche un po’ scandalizzato, ed il matrimonio si era celebrato con grande giubilo degli isolani, sempre in caccia di pranzi copiosi e di feste straordinarie.
Intanto l’autorità del figlio del ciabattino si consolidava straordinariamente, mercé anche la famosa cassa di medicine.
A Yop non vi erano più ammalati e le febbri tropicali erano completamente scomparse. Le indigestioni poi erano diventate cosa rara, grazie all’olio di ricino che somministrava senza misura l’onnipossente uomo bianco.
E poi una completa sicurezza regnava nell’isola. Tutti i vicini, invidiosi della prosperità di Yop non osavano più disturbare i suoi abitanti, avendo ormai provati gli effetti micidiali delle armi da fuoco.
Che cosa mancava al figlio del ciabattino di Savannah per conquistare la corona? Solamente che il monarca crepasse; e crepò davvero un giorno in seguito ad una fenomenale indigestione di pappagalli arrostiti, indigestione che l’olio di ricino non era riuscita a guarire.
Chi nominare re? David, l’uomo bianco che tanti miracoli aveva operato, che aveva resa ormai Yop invincibile e che aveva sposato la figlia del capo! Non vi era da esitare ed ecco il fortunato timoniere cingere la corona di penne di pappagallo e di cacatoa ed indossare il manto regale di penne di colibrì.
Primo pensiero di David I fu quello di mandar a chiamare la prima moglie che aveva lasciato a Savannah per proclamarla regina di Yop, ma la dimenticata sposa vi si rifiutò energicamente, avendo saputo che il marito aveva due dozzine di altre spose, come esigevano d’altronde le leggi del paese.
Due anni or sono la legittima signora O’ Keefe apprese d’essere rimasta vedova. Suo marito aveva fatto naufragio una seconda volta in un viaggio che aveva intrapreso a Hong-Kong per avviare relazioni commerciali colla Cina; e questa volta era morto davvero, lasciando una vistosa sostanza ed un bel numero di principi e di principesse.
Il diritto della successione spettava alla prima moglie sposata a Yop, cioè alla figlia del re. La moglie rimasta a Savannah aveva pure però i suoi diritti: perciò mandò all’isola un avvocato di sua fiducia il quale si era prima accaparrato l’appoggio della Germania.
L’affare piuttosto intricato si risolse facilmente. La moglie di Savannah rinunciò al trono ed ottenne, col consenso delle autorità tedesche, quello che più le stava a cuore, ossia la metà degli averi di Sua Maestà David I.