Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della raccolta Scritti autobiografici e rari

V

RELAZIONE DELLA DIFESA DI PARMA


Perché in tutte le cose che io ho maneggiate insino a questo dí, nessuna ne è stata insino a ora piú onorevole per me che fu l’anno passato la difesa di Parma, mi è parso doverne piú brevemente che io possa, scrivere el successo.

Io mi trovai allo acquisto di Milano, quando vi entrò lo esercito ecclesiastico e cesareo, commissario generale del campo, e quivi soprastetti con monsignore rev.mo de’ Medici insino a di 28 di novembre; nel quale di sendo venuto uno messo del conte di Caiazzo a significarli che el signor Federico da Bozzole ed e’ franzesi erano partiti di Parma, e che avevano lasciato lui nella cittadella, quale teneva a nome di N. S., monsignore mi commisse che io andassi a buone giornate a tôrre la tenuta, e che soprasedessi alla cura di quella cittá insino a tanto che N. S. deputassi uno governatore, quale in fatto si disegnava che fussi io.

Cosí venni, e tolta la tenuta, a pena vi ero stato tre dí che arrivò la notizia della morte di papa Lione, la quale per essere cosa repentina ed in tempo molto estraneo perturbò tutte le cose: fu necessario soprasedere el corso della vittoria, con la quale in uno mese o meno si sarebbono spiccati e’ viniziani dalla amicizia de’ franzesi, e tolto a’ franzesi quanto gli restava in Italia, eccetto le fortezze di Milano e Cremona. Ma vòlti e’ pensieri a conservare quello che restava insino alla creazione del papa, monsignore de’ Medici passando da Parma, che andava in poste a Roma, ordinò che io restassi alla difesa di Parma; Iacopo mio fratello, che era luocotenente mio in Reggio e Modona, stessi in Reggio; e di Modona si lasciassi totalmente la cura al conte Guido Rangone. E perché io non mi trovavo in Parma altro che tre compagnie di condotta di novecentocinquanta fanti, quali non avevo assegnamento di pagare; e la terra era in grave pericolo, sendo sanza artiglierie, sanza arme e sanza munizione, e le mura da una banda aperte per la batteria fatta el settembre precedente dal nostro esercito, e li franzesi erano vicini perché tenevano Cremona e tutta quella banda di lá da Po, dalla Adda insino a Casalmaggiore, che è vicino a Parma a dieci miglia; mi disse avere lasciato ordine al vescovo di Pistoia che de’ svizzeri del cantone di Zurigo, che erano a Piacenza piú di tremila, ne venissi mille a Parma; col quale presidio le cose di Parma resterebbono sicure, massime che si pensava la elezione del papa nuovo non si avessi a tardare. E che isto interim', el marchese di Mantova capitano della Chiesa, che era a Milano, si reducerebbe con le gente ecclesiastiche in Piacenza, e li cesarei che erano di lá da Po, farebbono qualche segno di volere stringere Cremona: in modo che e’ francesi non potriano pensare a fare impresa di qua da Po; ed inoltre si trovavano in Modona duemila altri svizzeri, la vicinitá de’ quali dava favore alle cose di Parma; e vi era el conte Guido, ed in Bologna el signor Vitello.

Tutti questi disegni restorono vani; perché e’ zurigani, per non vi essere modo di pagarli, resolverono essere contenti difendere Piacenza insino alla elezione del papa, ma che non volevano servire in alcuna fazione, etiam a difesa dello stato ecclesiastico, fuori di Piacenza; e lo ingresso del conclave per varie cause, ed ultimamente per la cattura fatta in Milanese del cardinale Ivreas, andò in lungo, non pensando e’ cardinali a cosa alcuna manco che alla difesa del stato ecclesiastico; ed el marchese di Mantova per consiglio del signor Prospero e capitani cesarei, non passò Po, quando la separazione delle genti della Chiesa dalle sue pareva che togliessi loro riputazione; né essi feciono effetto o segno alcuno di passare Adda, per il che e’ franzesi avessino a pensare di difendere Cremona, anzi si stettono ociosissimamente nelle sue guarnigione; e la andata di Francesco Maria della Ruvere alla via di Romagna per la recuperazione del ducato di Urbino, causò la partita del signor Vitello con li suoi da Bologna; e dicendosi el duca di Ferrara prepararsi, fece che li svizzeri di Modona andorono alla difesa di Bologna.

Invitati da tutte queste opportunitá li franzesi, e persuasele a’ viniziani, deliberorono con lo aiuto suo passare Po e venire a Parma, confortati molto dal signor Federico da Bozzole; quale per essere stato molti mesi alla guardia di Parma, e sapendo esservi temuto molto, ed el popolo per li travagli e servitú passata quasi attonito e sanza arme perché l’aveva tolte loro, propose la impresa essere facilissima; massime perché vi erano pochi fanti forestieri e male pagati, uno governatore non uomo di guerra e persona nuova in quella cittá, e che ragionevolmente per essere la Sede vacante, e non sapere chi si serviva, né lui né li altri non vorrieno mettersi in pericolo. Pensasi che dello acquisto di Parma avessino disegnato grandissime opportunitá, perché Reggio, terra vicina e dove era pochissimo presidio, si saria poi avuta con uno trombetto; ed uscendo da altro canto el duca di Ferrara in campagna con grossa banda di artiglierie, avevano da sperare di voltare presto Modona e Bologna, con la quale reputazione sola si voltava lo stato di Firenze, che era giá in gravissimi sospetti per conto del duca Francesco Maria, Baglioni ed altri malcontenti da Toscana; col quale successo sarebbono in effetto corsi a suo piacere insino a Roma.

Disegnata la impresa di Parma, cominciorono per mezzo Cremona a gittare uno ponte di barche in sul Po; pure lentamente, credo per insospettire manco, e perché la piú prestezza non importava loro essendo in ogni modo necessario aspettare la fanteria de’ viniziani, la quale si veniva raccogliendo di qua da Oglio. El gittare del ponte dette sospetto a tutte le bande di qua; pure fu opinione quasi universale che non fussino per assaltare alcuna cittá, ma fussi fatto solo per potere scorrere ed infestare el paese. E le ragione del fare credere cosí erano, che essendo tante gente della Chiesa ed imperatore fra Milano, Piacenza, Modona e Bologna, non si credeva che e’ franzesi dovessino essere tanto arditi; nondimanco questo ponte mi cominciò a insospettire, ma avevo piú tosto modo di temere che di provedere; pure deliberai aiutarmi di quello che potetti.

Avevo, alla notizia della morte di Leone, ritenuto in Parma uno cannone e dua sacri con alcuni barili di polvere grossa che el governatore di Bologna mandava alla impresa di San Secondo; e sapendo che la terra era disarmata e mal provista di tutte le cose necessarie, feci venire della cittadella di Reggio certa quantitá di polvere fine e mille picche; e feci convocare el popolo, cacciati e’ sospetti, e fare dimostrazione di armarlo e di ordinarlo; non tanto fondandomi in questo presidio, quanto parendomi in proposito che andassi la voce che el popolo fussi in arme e per difendersi, acciò che si diminuissi lo animo alli inimici, se facessino disegno in su’ nostri disordini. Ma questo aviso non bastò, perché finito che fu el ponte, el signor Federico partí da Cremona a di 18 di dicembre a ore 20 con la sua fanteria e con una banda di cavalli leggeri, e venne a alloggiare di lá da Po all’incontro di Torricella, donde poi la notte con barche che aveva ordinate da Casalmaggine, passò Po per alla volta di Parma; e la medesima notte partirono di Cremona e passorono Po per el ponte el signor Marcantonio Colonna, monsignore di Buonavalle e Carbone con trecento lance franzese e con la fanteria viniziana, e’ quali feciono el primo alloggiamento a Borgo a San Donnino, e non si condussono a Parma prima che l’altra mattina a di 20.

Io subito che ebbi lo aviso del primo alloggiamento del signor Federico, e che le barche erano quivi per passarlo, di che mi avisò el signor Francesco Maria Simonetta di Torricella, giudicando venissino alla impresa di Parma, feci la notte a dieci ore convocare e’ capi della terra, e fatto intendere el pericolo ed el buono animo che avevo che noi ci defendessimo, risolvei con loro che si dessino le arme al popolo, e distribuissino le picche, e si ordinassino sotto diversi capi; e cosí fu esequito. E poste le guardie opportune, e circundato la terra, insino al dí, messi in ragionamento con li principali, se era di abbandonare el Codiponte, e ritirarci di qua dalla Parma, overo volere difendere tutta la terra. Ci consigliava a abbandonarlo, che con el Codiponte la terra ha sí grande circuito che a guardarla saria bisognata molta maggiore gente, e la porta di Santa Croce verso Piacenza con quella banda della muraglia era molto debole per le ruine che vi avea fatto el settembre precedente la nostra artiglieria. A difenderlo ci confortava la incommoditá che si sarebbe data alli inimici, che sarebbono stati necessitati a alloggiare alla campagna, il che in quella stagione era molto aspro; e tutti quelli che hanno le case in Codiponte instavano che si defendessi, offerendosi, come è natura de’ popoli, a molto piú che non possono prestare.

Resolvei che a ogni modo si abandonassi, perché non aveamo modo a guardarlo; e ce lo insegnava lo esemplo loro, che stretti da noi si ritirorono nella terra principale; e si sapeva che el signor Federigo quando restò in Parma aveva disegnato, se el campo nostro vi tornava, fare el fondamento suo quivi; ma deliberai ci ritirassimo innanzi che li inimici, che si cominciavano a vedere, si accostassino alla muraglia; perché conoscevo che essendo el popolo male pratico, se si avessino avuti a ritirare con stretta, era pericolo che li inimici non entrassino mescolati co’ nostri nella terra. Il che per la pazzia di alcuni mi fu difficile a fare, e’ quali feci ritornare drento quasi per forza, né lo feciono tanto destramente che li inimici calcando loro a dosso, in sul ponte della Pietra, non fussino per entrare insieme con loro.

El signor Federico come fu vicino alla terra mandò uno trombetta, el quale per parte del signor Marcantonio Colonna e sua mi dimandò la cittá in nome del re di Francia. Dimandato che l’ebbi che gente avevano e se veniva artiglieria ed altre particularitá, li risposi dicessi a quelli signori che per le condizioni sue se mi dimandassino qualunque cosa mia la darei loro volentieri, ma che dimandandomi cosa che mi era stata confidata da altri, non potevo disponerne sanza voluntá de’ patroni; e che in particularitá dicessi al signor Federico che io non li volevo essere manco cortese che fussi stato lui a noi quando vi eravamo stati a campo, perché come ci aveva lasciato el Codiponte, cosí avevo io deliberato lasciarlo a lui; sperando che etiam lui non userebbe meco minore cortesia che avessimo usata noi, che non gli avevamo tolta la terra, e cosí speravo che lui sarebbe cortese a non la tôrre a noi. Entrò adunche in Codiponte a venti ore, ed alloggiò la gente sua drento, eccetto e’ cavalli leggeri, quali mandò alla Certosa e verso l’Enza per impedire se venissi alcuno soccorso.

El dí e la notte sequente non si fece altro; attendemo a fare buona guardia, e come accade in uno popolo imbelle e timido, a ogni piccolo strepito si faceva tumulto e gridava alle arme; ed ancora che io avessi ordinato che sanza mia commissione o segno non sonassino campane, tamen era impossibile tenerle; in modo che eravamo in continui rumori, ne’ quali io osservavo presentarmi subito a quello luogo dove el romore si levava: il che era di molta utilitá, perché la presenzia mia levava molti disordini; ed el dimostrare io di non temere dava ardire assai alla moltitudine.

La mattina sequente a dí 20 arrivò el signor Marcantonio e le gente franzese e la fanteria viniziana, in modo che in tutto erano intorno a Parma da quattro in cinquemila fanti, cinquecento cavalli leggeri de’ viniziani, e trecento in quattrocento lance franzese; e perché si erano persuasi non avere contrasto, non menorono altra artiglieria che dua falconetti. Avevano nel venire preso Giovan Francesco Cerrato cittadino di Parma, buono mercatante, ed avendolo per mezzo del conte Cristoforo Torello che era con loro, bene persuaso che erano cinquemila fanti e che aspettavano cannoni, e che era impossibile che la terra si difendessi, lo lasciorono perché venissi drento; il che io sentendo, conobbi era come pigliare el veneno, ma el non ammetterlo non mi saria stato comportato; però prevenni e li parlai prima che altri, instruendolo di quello doveva credere e quanto aveva a referire. Ma tutto fu vano, ché subito divulgò per la terra quello che li era stato persuaso: di modo che entrò in tutti tanto timore, che convocata dalli anziani, come loro dicono, una Credenza (che non è altro che, sanza chiamare el Consiglio, pigliare parere) fu per tutti unitamente consigliato essere pazzia el resistere; e che si capitolassi, dummodo che per loro iustificazione intervenissi el consenso mio, el quale si cercassi con ogni diligenzia di ottenere. E cosí mi furono a dosso con parole efficaci, promettendo non capitolare se non salvavano me, li miei fanti ed artiglieria e robe; ed io in contrario dissuadendoli, col mostrare non essere piú che tremila fanti, e sanza artiglieria grossa non bastare a pigliarci.

A queste disputazioni mi s’aggiugneva un’altra difficultá, che dimandando e’ fanti la paga, che era el dí suo, ed io per scarsitá di danari avendo disegnato darla loro mezza, alla quale mi mancavano ottocento ducati, che la comunitá el giorno avanti aveva promesso di servirmene, ma di poi nato questo timore avevano variato, il che ci conduceva in ultima ruina; pure con molte persuasioni li ebbi, mostrando che quando bene fussino certi di avere infra una ora a capitolare, dovevano sborsarli, perché questa saria sempre con ogni pontefice la piú viva iustificazione che potessino avere dalla fede ed affezione loro. Avutoli, e volendo pagare e’ fanti, quelli di Francesco Salamone sollevati da lui recusorono, dicendo volere la paga intera, il che era impossibile; e doppo molti prieghi e dispute si volsono alla via della porta gridando per uscire nel campo franzese; pure seguitati da me, e d’altra banda fermati dal suo capitano, a chi pareva la cosa scorsa piú che non aria voluto, furono contenti accettare la mezza paga. E certo questo fu stretto punto, perché una parte della muraglia era abandonata, ed in questo tumulto quelli della terra mi strignevano con estrema instanzia a capitulare, increpando la ostinazione mia, che etiam restando sanza fanti volevo essere causa della sua ruina. A’ quali risposi gagliardamente, che insino che e’ fanti non erano usciti fuori della terra, non si poteva dirmi che io fussi restato sanza fanti.

Era in questi tempi venuto alla muraglia uno trombetto del signor Marcantonio Colonna a dimandare di parlare co’ deputati della cittá; e non sendo ammesso, dette occasione a quelli della terra di fare instanzia che io li consentissi mandare uno trombetto al signor Marcantonio a escusarli che era stato escluso da me e non da loro, allegando che in simili frangenti lo sdegno suo era molto pernizioso a quella cittá; ma in veritá sotto questo pretesto si cercava principio di pratica. Recusai vivamente, ma loro non pazienti a questo, quasi in ogni momento di tempo con parole e querele gravissime mi importunavano di sorte che entrai in uno gravissimo pensiero; considerando da uno canto che se permettevo el mandare del trombetto e ne nascessi principio di pratica che poi partorissi capitolazione, tutto el carico sarebbe mio, perché loro sempre ariano addutto in sua escusazione che el trombetto fussi andato fuora con mia licenzia; da altro canto conoscendo che se lo negavo, e loro pigliassino ardire di mandarlo sanza saputa mia, che poi piglierebbono animo a capitolare sanza mio consenso.

E tutte le difficultá nascevano che avevo drento sì poche forze che non solo non bastavano a difendere la terra contro a loro voluntá, ma né etiam la potevo defendere sanza l’aiuto suo: perché drento erano tre compagnie di fanti forestieri, Francesco Salamone con quattrocento, signor Francesco dal Monte con altrettanti e Prete Bachione da Lerice con centocinquanta; a’ quali credo mancassi del numero debito piú di dugento fanti, perché giá molti di li avevo intertenuti con uno scudo per fante per volta, ed el costume de’ capitani quando sono male pagati, è non fare rassegna e valersi nel numero. Vi erano ancora entrati due di innanzi cinquanta uomini d’arme del marchese di Mantova, gente assai inutile, di chi era capo messer Ludovico da Fermo, quale si portò prudentemente e valorosamente. Però sendo queste poche forze, bisognava non si alienare li uomini della terra, e’ quali ognora piú instando e con parole sempre piú pungenti, mi parse manco male lasciarli mandare questo trombetto: ma mandai la cosa in lungo verso el dí, el piú che potetti, e con la commissione scritta che fu solum di escusarsi; e volli mi dessino la fede che per qualunque risposta o imbasciata che riportassi, non apiccherebbono pratica alcuna sanza mio consenso, e non mi farebbono nuova instanzia di udire o rimandare altri.

La notte tutta si continuò nelli medesimi rumori e tumulti, sendo in veritá molto intimoriti quelli della terra, a’ quali non potevo persuadere che li inimici non avevano condotti cannoni: ed erano tanto presi, che volendo io fare lavorare da’ soldati, perché non vi era guastatori, uno riparo da quella banda dove ci pareva verisimile che avessino a battere se pure avessino cannoni, non fu mai possibile, con ogni instanzia che io facessi con li anziani, che mi ritrovassino zappe ed instrumenti che bisognano: di sorte che io ero certissimo che se avessino cannoni, le cose nostre non avevano remedio, e come la terra fussi stata certa che n’avessino pure dua, saria stato impossibile retenerli che non corressino a capitulare.

Questo timore ed andamenti delli uomini della terra veduti ed intesi da’ nostri soldati, messono tanto sospetto in loro che non potevo assicurarli; perché dubitavano che la cittá non voltassi, ed a uno tempo medesimo avere a combattere con li inimici ed a guardarsi le spalle, o almanco non essere abbandonati da loro. Perché la guardia della terra era partita: la cittadella insino al ponte di Cavrazuca, al signor Francesco dal Monte; di quivi insino presso a porta di Bologna a Francesco Salamone; e ’l resto a Prete Bacinone: e nella guardia di ognuno di questi concorrevano e’ deputati della terra con le sue squadre; e’ quali se ci avessino abandonato, non si poteva col nostro poco numero guardare el circuito tutto della terra, ed in uno tempo medesimo resistere alla battaglia, la quale si giudicava si avessi a dare in piú luoghi. Tutte queste difficultá mi erano maggiore, perché ero nuovo in quella cittá, non cognosciuto da nessuno, né cognoscevo alcuno; per il che non potevo né valermi delli uomini, né provedere alle cose in quello modo che arei fatto se avessi avuto la pratica della terra. La notte si consumò in questo modo, ed el trombetto tornò con risposta che el signor Marcantonio per bene loro gli confortava a capitulare; il che loro tanto piú desideravano, quanto piú el tempo andava innanzi, non vedendo comparire soccorso alcuno come io avevo data certa speranza ed affermato; benché ero certissimo per le difficultá dette di sopra e per la natura di chi poteva darlo, che tutto sarebbe niente.

La mattina, come fu dì, comparsono trombetti nuovi del signor Marcantonio, quali non ammessi; e mi parse segno della debolezza loro, poi che ci sollecitavano con sì spessi prieghi, e tanto piú vedendo non avere piantata artiglieria, mi rendevo sicuro da quella cosa che era piú pericolosa. Le quali ragione credendo potere imprimere alla cittá, andai nelli anziani, quali trovai con numero grande di cittadini principali, e con maggiore instanzia che mai mi cominciorono a strignere del consentire alla capitulazione, potendo piú in loro la sua timiditá, ed el non vedere comparire alcuno soccorso, che le ragione che io allegavo loro. Le dispute furono molte, mostrandoli io che se el pericolo fussi quale loro si immaginavano, non avevo causa di volerlo correre: perché era morto papa Leone di chi ero ministro, non avevo certezza di chi avessi a essere papa, che facilmente potria essere tale che io mi allegrerei de’ suoi danni, e che perdendo la terra per forza era mio grandissimo danno, perché almanco mi bisogneria pagare grossa taglia; accordandola non era mio danno perché non ero parmigiano, né diventavo suddito de’ franzesi. Finalmente crescendo la instanzia ed importunitá sua, con parole e termini molto gagliardi li dissi chiaramente, che insino non vedevo maggiore pericolo non consentirei mai, e che loro cercavano el consenso mio non perché non potessino fare sanza esso, non avendo io forze da proibirli, ma per sua iustificazione; e che io non potendo altro, almanco di tanta ingiuria farei questa vendetta, che non accorderebbono mai in modo che fuggissino la nota di traditori e di rebelli. In questi ragionamenti, in queste altercazioni fu sentito uno tiro di artiglieria, che era uno falconetto delli inimici, il che pensando loro che fussi uno tiro di cannone, saltorono in tanto romore che non si potria dire: di che si può conoscere che se avessi no avuti pure dua cannoni, nessuna ragione o autoritá bastava a ritenerli.

Era giá el dí alto, e si intendeva li inimici mettersi in ordinanza; però sendo io uscito in piazza per provedere alli bisogni, non restava la importunitá delli anziani ed altri principali, instando con diversi partiti estorquere el mio consenso, insino a mandare fuora uno mio ed uno suo insieme a vedere la quantitá de’ fanti inimici; perché el conte Cristoforo Torello aveva per el trombetto mandato a fare questa offerta, e che in questo modo li certificheria erano cinquemila fanti; di che loro inferivano, quando fussi vero, essere impossibile el defendersi; e n’avevano parlato con messer Lodovico da Fermo al quale pareva el medesimo, che atteso el nostro poco presidio e la titubazione della terra, saria difficile difendersi da cinquemila fanti, perché arebbono modo di combatterci in piú luoghi in uno tempo medesimo. In tutte queste difficultá e dispute che ognora crescevano, io stetti fermo allegando varie ragioni, tanto che intendendosi li inimici accostarsi alla muraglia si interroppono le pratiche, sendo necessario attendere piú a’ pensieri del defendersi che del capituiare.

Spinse el signor Federigo la fanteria sua al bastione della Stradella che è tra porta Nuova e porta Santo Michele, e quivi fupolo0 cominciato uno bravo assalto, combattendo ancora tal volta in piú luoghi la muraglia che è tra el bastione e porta Nuova, e poco di poi si cominciò uno bravo assalto a porta Santo Michele, combattendo etiam tal volta alla muraglia tra quella porta ed el bastione; avevano grandissima quantitá di scale con le quali cercavano salire la muraglia. La guardia di questi luoghi era di Francesco Salamone con la compagnia sua, a chi aiutavano alcuni della terra, benché pochi da principio; e molte volte o di uomini o della terra o di altre compagnie vi si spingeva soccorso secondo el bisogno: sendo pieno ogni cosa di vari strepiti e rumori, e tal volta venendo insino in piazza, dove ero io per provedere di punto in punto alle cose necessarie, la voce che li inimici erano entrati. Alli altri luoghi della cittá non si combatteva, eccetto che fu dato al ponte della pietra uno poco di assalto, ma furono ributtati facilmente. E quanto piú el combattere andava in lungo, tanto piú quelli della terra pigliavano vigore e concorrevano piú grossi alla muraglia; in modo che in ultimo vi erano insino alle donne a portare botte e sassi e vettovaglia per rinfrescare chi combatteva, ed altre cose necessarie.

Cominciò la battaglia tra 17 e 18 ore e continuò per quattro ore; alla fine li inimici, vedendo non potere fare frutto, ed essendo morti molti di loro e feriti grandissimo numero, si ritirorono, lasciate le scale alla muraglia, e si ridussono in Codiponte, con grande querela de’ fanti verso el signor Federico, ed altercazione di lui e signor Marcantonio, lamentandosi el signor Federico che lui non avessi dato la battaglia dalla porta di Bologna e Santo Barnaba come era ordinato; e l’altro riprendendo la vanitá della impresa, che avessi creduto pigliarla a battaglia di mano, e condotto a morire tanti uomini da bene, e persuaso a’ franzesi questa impresa sotto vana opinione che el popolo non piglierebbe l’arme; e cosí con poco onore e con poco acquisto la mattina sequente levorono el campo e si ritirorono di lá da Po.

La cosa fu molto pericolosa, non perché non sia arduo pigliare con le scale a battaglia di mano una terra simile, perché in veritá è difficiliimo, e si difende con pochissimo periculo di quelli di drento, che non morirono de’ nostri oltre a due, e feriti circa a cinquanta; ma perché el pericolo consistè nella timidezza della cittá che con grandissima fatica si sostenne non si accordassi, e tale che io fu’ poi certificato che se loro non davano il dí la battaglia, che la cittá si accordava; perché non vedendo venire soccorso, né prestando piú fede alle parole mie, si diminuiva loro lo animo; anzi mi fu poi affermato che giá avevano concluso farlo, e che quando si levò el romore che li inimici si accostavano alla muraglia, giá venivano a trovarmi e parlarmi chiaramente: ci si aggiunse di piú la difficultá del non avere danari e la ammutinazione de’ fanti, che fu cosa spaventosa, e ’l non avere munizione, che in sul bello della battaglia si restò sanza polvere fine, e bisognava fornire li scoppiettieri con la grossa. Però doppo lo aiuto di Dio, posso dire veramente che quella cittá fu conservata alla Chiesa per opera mia; il che fu di grandissima importanza, non solo per interrompere a’ franzesi li disegni detti di sopra, ma etiam perché da questo esemplo tutti li altri populi presono animo e vigore; di sorte che milanesi 1tutti piú valorosamente resisterono a’ franzesi, e’ quali poco di poi con potentissimo esercito passorono in Lombardia.




Note

  1. Parola di dubbia lettura.
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