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II
RICORDANZE
I
Al nome sia dello onnipotente Dio e della sua gloriosissima Madre e vergine santa Maria e di santo Ioanni Battista avvocato e protettore di questa nobilissima cittá e di santo Francesco e di santo Tommaso di Aquino speziali avvocati e patroni mia, e di tutta la corte celeste.
In questo libro, per me Francesco di Piero Guicciardini dottore di legge, si fará memoria di alcune cose apartenente a me, cominciando dal dí che io nacqui, e di poi successivamente; benché questo libro cominciai a scrivere a di 13 di aprile 1508 in Firenze.
Terrassi ancora memoria da carte 200 innanzi di alcune cose apartenente in genere a tutta la casa.
Ricordo come io Francesco di Piero Guicciardini al presente dottore di legge civile e canoniche, nacqui a’ di 6 di marzo 1482 in Firenze a ore dieci in circa, ed a battesimo mi fu posto nome Francesco; ebbi nome Francesco per Francesco di Filippo de’ Nerli avolo materno di mio padre, e Tommaso per riverenzia di san Tommaso di Aquino, che era la festa sua el di che io nacqui: tennonmi a battesimo messer Marsilio Ficino, che era el primo filosofo platonico che fussi a quegli tempi nel mondo, e Giovanni Canacci e Piero del Nero.
Attesi nella etá tenera secondo la voluntá di mio padre Piero, che diligentissimamente allevava e’ figliuoli, a studiare in cose di umanitá, ed oltre alle lettere latine imparai qualche cosa di greco, che poi in spazio di qualche anno, per avere altro esercizio, dimenticai, ed imparai lo abaco assai bene, ed udii qualche cosa di logica benché poca, insino che cominciai a studiare in legge.
Nello anno 1498 nella fine del mese di novembre, cominciai a studiare ragione civile, e quello anno udii la instituta da messer Iacopo Modesti da Carmignano da Prato, in Firenze che allora vi si faceva lo studio per lo essere perduta Pisa.
L’anno 1499, che piglio el principio dello anno da ognisanti, secondo lo ordine di studio, cominciai a udire la ordinaria della mattina da messer Ormannozzo Deti, ed udillo insino a quaresima; di poi sopravenendo a leggere messer Francesco Pepi, ed essendo messer Ormannozzo transferito a ragione canonica, udi’ el resto dello anno sotto messer Francesco, benché a ogni modo l’arei udito, e messer Iacopo alla instituta.
Lo anno 1500 continuai a udire la mattina messer Francesco Pepi, e di poi andando lui imbasciadore a Roma, udii messer Filippo Decio, e la sera in ragione civile udivo messer Giovanni Vettorio Soderini; e di poi a’ dí 19 di marzo 1500 andai a studio a Ferrara per voluntá di Piero, che aveva disegnato in ogni modo mandarmi a studiare fuora di Firenze, perché stimava che piú ferventemente attenderei a studiare quando fussi fuora di casa. Ma accelerò el mandarmi per essere le cose di Firenze in grandi travagli: per avere quando nascessi qualche revoluzione di stato nella cittá, o di fuori qualche movimento pericoloso alla libertá, uno refugio dove mandare sua miglioramenti; e mandommi a Ferrara dove era uno studio di poca qualitá piú tosto che in altro studio, per essere quella cittá allora molto quieta sotto el governo del duca Ercole da Esti. E per detta cagione quando mi partí’ da Firenze mi détte ducati cinquecento d’oro, e di poi a pochi giorni riscaldando le cose di Firenze me ne mandò altri cinquecento, e di quivi a non molto tempo me ne mandò mille: e di tutto benché io fussi giovane e sanza freno di persona gli rendei diligente conto.
Nel detto anno udí’ la mattina in ragione civile messer Gherardo del Saracino da Ferrara, e la sera messer Antonio Maria Cattabeni da Ferrara.
Nel detto anno battezzai uno figliuolo maschio non legittimo a maestro Niccolò Tellucci da San Miniato, che studiava allora in Ferrara medicina; ebbe nome lidio Codro; battezzamelo maestro Lodovico dal Fossato che leggeva loica, e messer Luigi Bonciani che leggeva la estraordinaria di ragione civile, ed io.
Nello anno 1501 mi stetti a studio a Ferrara ed udí’ in ragione civile la mattina messer Giovanni Sodaletti, perché messer Gherardo era a Roma; di poi tornando messer Gherardo entrai con lui, e la sera messer Antonio Maria Cattabeni.
Nel detto anno battezzai una figliuola femina a messer Antonio Maria Cattabeni; ebbe nome, credo, Maria; battezzá’la solo.
Nel detto anno la Dianoia mia prima sorella si maritò a Giovanni di Andrea Arrigucci.
Lo anno 1502 me n’andai a studio a Padova, perché lo studio di Ferrara non mi satisfaceva; e quivi udí’ la mattina in ragione civile messer Cristofano Alberizio da Pavia insino a pasqua, e di poi perché la lezione sua non mi piaceva, entrai el resto dello anno in ragione canonica sotto messer Filippo Decio col quale stetti in casa a dozzina quello anno ed el seguente, e la sera udii messer Carlo Ruino da Reggio.
Lo anno 1503 udí’ la mattina in ragione civile insino a pasqua messer Cristofano Alberizio e doppo pasqua messer Filippo Decio in ragione canonica, e la sera udí’ messer Carlo Ruino.
Nel detto anno morí messer Rinieri Guicciardini mio zio, che era arcidiacono di Firenze e vescovo di Cortona, ed avea di entrata di benefici presso a ducati millecinquecento. E stimandosi per molti, quando aveva male, che era infermitá lunga, mi dovessi rinunziare e’ sua benefici, ed io desiderandolo non per poltroneggiarmi colla entrata grande come fanno la piú parte degli altri preti, ma perché mi pareva, sendo io giovane e con qualche lettera, che fussi uno fondamento da farmi grande nella Chiesa, e da poterne sperare di essere un di cardinale; e benché messer Rinieri non fussi molto disposto a rinunziare, pure l’arebbe fatto con rigresso, e massime quando ne fussi stato stretto da Piero mio padre, a chi portava riverenzia grande, finalmente non se ne fece nulla. Perché Piero al tutto dispose di non volere alcuno figliuolo prete, benché avessi cinque figliuoli maschi, parendogli che le cose della Chiesa fussino molto transcorse; e volle piú tosto perdere la utilitá grande che era presente e la speranza di fare uno figliuolo gran maestro, che maculare la conscienzia sua di fare un figliuolo prete per cupiditá di roba o di grandezza: e questa fu la vera cagione che lo mosse, ed io ne fui contento el meglio che io potetti.
Lo anno 1504 udì’ in Padova la mattina in ragione civile messer Ieronimo Botticella da Pavia, e la sera seguitai di udire con messer Carlo Ruino.
Lo anno 1505, che ora comincierò a pigliare el principio dello anno a’ di 25 di marzo secondo lo stile di Firenze, stetti ed udì’ a Padova tutto el mese di luglio sotto e’ medesimi precettori, e di poi mi tornai a Firenze; e lo ultimo di di ottobre fui condotto da’ nostri eccelsi signori a leggere la instituta in Firenze dove allora si faceva studio, con salario di fiorini venticinque di studio lo anno. E fummi dato per concorrente messer Giovan Batista Gamberelli, o Lastraiuolo, che era uno de’ piú antichi dottori di Firenze, ma di poca scienzia, e messer Iacopo Modesti da Carmignano, da chi avevo udito la instituta, e messer Francesco di Bartolommeo Pandolfini che aveva cominciato a leggere lo anno che io cominciai a entrare, e cominciamo a’ di 9 di novembre; e nondimeno messer Giovan Batista e messer Francesco ebbono meno audienzia di me, e messer Iacopo ed io l’avemo pari o poco meno; e pure se vantaggio vi fu l’ebbe lui, piú tosto per piú nobilitá di qualche scolare che per piú numero.
Nel detto anno a’ di 15 di novembre mi dottorai nel capitolo di San Lorenzo, nel collegio dello studio pisano, solo in ragione civile per fuggire spesa di dodici ducati e mezzo, sendo di poca importanzia pigliare el grado di ragione canonica; e furono mia promotori messer Antonio Malegonnelle, messer Francesco Pepi e messer Giovan Vettorio Soderini, e la mattina lessi la mia lezione.
Truovo Piero mio padre avere speso dal dí che io cominciai a studiare insino a detto di per conto dello studio mio, parte in libri, parte nel tempo stetti fuora, parte nel dottorato, che furono ducati ventisei, piú che ducati cinquecento d’oro; benché non so dirne particularmente a punto el numero.
Sendo dottorato, mi cominciai l’anno medesimo a dare allo avvocare, ed ebbi piú condizione assai che non si aspettava alla etá mia ed al numero de’ dottori che erano in Firenze ed alle poche cause che ci erano rispetto a’ tempi avversi che correvano, ed a comparazione ancora degli altri dottori giovani.
Nello anno 1506 seguitai di leggere la mia lezione di che di sopra si dice, e lessi tutto luglio con buona audienzia come di sopra, e di poi lasciai el leggere perché si feciono le vacazioni e di poi non si fece piú studio.
Nel detto anno a dí..... di maggio battezzai una figliuola femina a messer Lodovico di Agnolo Acciaiuoli, la quale poco poi si morí; battezzamela messer Bono Boni ed io.
Nel detto anno fui eletto avvocato della comunitá di Fivizzano con salario di ducati tre lo anno: e fu fatto per opera di Carlo di Leonardo del Benino che allora vi si trovava commessario, e per qualche memoria di Iacopo Guicciardini mio avolo, con chi detto commune teneva amicizia.
Nel detto anno a’ di 6 di luglio sendo morto messer Antonio Malegonnelle, io fui eletto avvocato di Santa Maria Nuova in suo luogo, di che erano anche avvocati messer Francesco Pepi, messer Antonio Strozzi e messer Giovan Vettorio Soderini. Una oca per ognisanti, uno cavretto per pasqua, quattro libre di mozziconi di candele per santa Maria Candellara, uno pezzo di vitella per san Gilio.
Nel detto anno a dí 4 di gennaio, sendo Piero mio padre vicario di Scarperia, tolsi per donna la Maria, quarta figliuola di Alamanno di Averardo Salviati, con dota di fiorini dumila di suggello contanti, nel modo appare per la scritta, benché detto parentado si tenessi coperto insino al tempo che di sotto si dirá. E benché io trovassi allora molto maggiore dote e fanciulle di nobile case, e che questo parentado non satisfacessi molto a Piero mio padre per piú ragione: perché detto Alamanno ed Iacopo di Giovanni Salviati suo cugino erano inimici di Piero Soderini gonfaloniere allora a vita, e faccendosi loro innanzi e travagliandosi assai delle cose della cittá, dubitava che uno dí non capitassino male; e perché ancora desiderava che io avessi piú dota, parendogli che per avere cinque figliuoli maschi e sei femine non ci avessi a toccare molte facultá per uno; e perché ancora sendo detti Salviati molto ricchi e vivendo suntuosamente, dubitava dette fanciulle non fussino allevate con troppa pompa e suntuositá; nondimeno io mi dirizzai a volerla tôrre, perché allora Alamanno ed Iacopo di parentadi, ricchezza, benivolenzia e riputazione avanzavano ogni cittadino privato che fussi in Firenze ed io ero vòlto a queste cose assai, e per questi rispetti gli volevo a ogni modo per parenti; parendomi ancoraché l’avere uno cinquecento o seicento ducati piú di dota non avessi a essere lo stato mio. E finalmente detto di 4 con licenzia di Piero, benché con difficultá vi si accordassi, conchiusi detto parentado, di che fu mezzano Agnolo di Giovanni de’ Bardi; e se la materia non fussi stata molto bene disposta dal canto loro e mio, non si conchiudeva per la insufficienzia di detto mezzano che era poco atto a simile cose. A Dio piaccia sia stata la salute dell’anima mia e del corpo, e mi perdoni se ne feci troppa importunitá a Piero; che benché insino a qui io mi satisfaccia di aver fatto el parentado, pure non posso fare non abbia qualche scrupulo e dubio di non avere offeso Dio, e massime avendo uno padre della qualitá che io ho.
Nel detto anno a dí..... di giugno faccendosi un giuramento in Santa Liberata, perché Benedetto di Filippo Buondelmonti aveva tolta per donna una figliuola di Luca di Maso degli Albizzi, io fui eletto arbitro di detto parentado per conto di Filippo, ed Alamanno Salviati per conto di Luca.
Nel detto anno io battezzai una figliuola a ser Pier Francesco..... notaio fiorentino; battezzamela ser Giovanni Lapucci ed io.
Nell’anno 1507 a dí..... di giugno io battezzai una figliuola a Bernardo di Andrea Carnesecchi che fu la prima, e credo avessi nome Maria; battezzandola Prinzivalle di Luigi dalla Stufa, Antonio di Luca di Maso degli Albizzi, Antonio di Antonio Gondi ed io.
Nel detto anno a’ di 29 di dicembre, battezzai a Pandolfo di Pier Giovanni da Ricasoli uno figliuolo maschio che fu el primo ed ebbe nome Andrea; battezzamelo Giovanni di messer Guidantonio Vespucci, Benedetto di Filippo Buondelmonti ed io.
Nel detto anno a di 7 di febraio battezzai uno figliuolo maschio che ebbe nome Piero, a Giovanni di Albertazio degli Alberti; battezzamelo Antonio Francesco di Luca di Antonio degli Albizzi ed io.
Nel detto anno fui mandato dalla signoria insieme con altri cittadini tre volte a menare imbasciadori in Palagio: la prima a messer Iulio Scruciato da Napoli che veniva di Spagna ed andava a Napoli ed aveva per transito commessione qui alla signoria; la altra a messer Ieronimo da Campo San Piero, e messer Giovanni Francesco Aldobrandi, dua de’ primi uomini di Bologna che andavano oratori a Roma, e vollono visitare la signoria; la terza a messer Gian Marco de’ Medici e messer Bono de..... che venivano da Lucca imbasciadori qui: ed honne fatto questo ricordo non con animo di fare altro ricordo se piú sarò mandato a simili cose.
Nel detto anno fui dua volte mallevadore de’ signori, una a Bagolo di Piero Vettori, la altra a Piero di Francesco de’ Nerli; honne voluto fare ricordo per rendere loro la opera se mai mi accadrá essere in simile luogo; e se per lo avenire sarò piú non seguiterò farne ricordo se giá non lo facessi per el medesimo effetto.
Nel detto anno a dí..... battezzai a Niccolò di Piero Capponi una figliuola che ebbe nome Selvaggia; battezzamela Alessandro di Giovanni di Tanai de’ Nerli ed io.
Nel detto anno sendosi fatto lo squittino alle arti ed io sendo andato a partito per la arte de’ mercatanti e per la arte del cambio, fui tratto consolo alla arte de’ mercatanti la prima volta si trasse dello squittino nuovo; e per essere minore di anni trenta non potei esercitare detto uficio.
Nel detto anno a dí..... io fui eletto avvocato della podesteria e lega di Chianti con salario di lire diciotto lo anno; fu operatore di detta elezione maestro Francesco di Pierozzo di Vieri che vi era allora podestá, e ser Giovanni di Francesco di Landò dalla Castellina e suoi parenti, che detto ser Giovanni stava in casa nostra ed aveva insegnato gramatica a me ed a tutti e’ mia fratelli.
Nel detto anno si fece alla mercatantia per e’ sei e gli statutari uno squittino di tutti e’ dottori di Firenze per lo assessore, e fummi detto da chi vi si trovò ne cadde presso alla metá; ed io vinsi el partito con tredici fave nere, che si trovorno a sedere quindici.
Nello anno 1508 a di 22 di maggio, si scoperse el parentado mio co’ Salviati; e benché prima molti mesi si fussi publicamente detto per tutta la cittá e tenessisi da ognuno per cosa certa in modo si poteva dire scoperto, pure ne fo ricordo di questo di perché fu la prima volta la andai a vedere. A Dio piaccia sia stato in buono punto, e con salute mia e sua e della anima e del corpo.
Nel detto anno ne’ primi di di giugno sendo suto preso per comandamento degli otto, messer Piero Lodovico da Fano allora podestá di Firenze, e faccendosi pratica per l’uficio loro sopra a’ casi sua, io fui chiamato alla pratica insieme con piú dottori e con molti de’ primi cittadini di Firenze, fra’ quali etiam fu mio padre; e non vi fu nessuno che non avessi almeno dieci anni piú di me: honne fatto ricordo per essere stata la prima volta che mai andassi a pratiche.
Ricordo come in detto anno a dí primo di agosto, battezzai un figliuolo maschio a ser Bartolommeo Gerini notaio fiorentino, che ebbe nome Antonio; battezzamolo messer Luigi Velluti, Rafaello di Rinieri Giugni ed io.
Ricordo come in detto anno a di 2 di novembre, avendo prima udita la messa del congiunto in San Brocolo, io menai la Maria mia donna in casa Alamanno suo padre segretamente per fuggire baie e romori, che cosí si costumava quasi per tutti gli uomini da bene; e la sera medesima gli détti l’anello, che ne fu rogato ser Giovanni Carsidonii.
Ricordo come in detto anno a dí..... di novembre in domenica, la Maria mia donna ne venne a marito a casa, e venne la sera di notte a cavallo sanza lumi, e di poi la mattina si fece uno desinare a’ parenti piú stretti: fecesi cosí per fare manco festa e dimostrazione si poteva, perché correva uno temporale che tutti gli uomini da bene e savi facevano mal volentieri feste.
Ricordo come a dí 22 di dicembre in detto anno io confessai avere ricevuto da Alamanno Salviati per parte di dote della Maria mia donna e sua figliuola, fiorini 1040 di suggello; benché in veritá n’avessi avuti giá mille contanti e’ quali erano venuti in mano di Piero mio padre, pagati per le mani del banco de’ Panzani, e piú n’avessi avuti per donora fiorini dugento e’ quali valevano molto piú. Ma perché secondo la scritta era intra noi non ero obligato a pigliare in conto de’ fiorini dumila piú che fiorini dugento di donora, però Alamanno non me le contò piú, e fiorini..... assegnatimi nella sua casa in via di San Brocolo, dove soleva stare messer Francesco Gualterotti, la quale mi fu data a usare per anni tre, ed el resto insino in fiorini dumila fussino a mia posta; perché la fanciulla aveva in sul Monte fiorini novecentosessanta di suggello e’ quali non erano ancora guadagnati e però non si potevano ancora confessare; e confessando ora e’ fiorini dumila bisognava pagarne la gabella. E di poi avendo Alamanno secondo le convenzioni che erano tra noi a ripigliarsi la dota del Monte, bisognava che prima si confessassi quando fussi guadagnata e pagassissene la gabella; e però per fuggire questo danno si prese per partito non confessare se non e’ fiorini millequaranta e pel resto confessare quegli del Monte quando fussino guadagnati. E cosí si fece, non per fare frode al commune ma per non pagare la gabella di fiorini 2960, dove in veritá non ne correva se non 2000. Fu presente a detta confessione Piero mio padre, e lui ed io insieme sodammo la dota, ed el di medesimo Michele da Colle che stava co’ Salviati, pagò a’ contratti la gabella di detti fiorini 1040, e della confessione fu rogato ser Giovanni Lapucci; ed a dí 5 di febraio io fui notificato a’ contratti di avere avuto di dota piú che fiorini 2010 larghi e non avere pagato gabella; di che a di 24 di detto fui assoluto da’ maestri de’ contratti e dagli uficiali del Monte con sei fave nere, che tanti erano a sedere.
Ricordo come a dí..... di gennaio in detto anno, sendosi fatta una lega co’ lucchesi per anni tre ed avendosi a mandare uno imbasciadore a Lucca a rallegrarsi con loro ed a vegghiare come si portavano nelle cose di Pisa, ed eleggendosi nel consiglio degli ottanta, io andai a partito nominato da Iacopo Salviati, che fu la prima volta andassi mai a partito per imbasciadore; e non vincendo io né altri, fu in ultimo fatto Piero mio padre, el quale fu assoluto, ed in suo luogo fu di poi eletto Giovati Batista Bartolini.
Ricordo come a dí 13 di febraio in detto anno 1508, avendo e’ capitani dello spedale del Ceppo che sono in numero dodici, el quale uficio dura a vita, a eleggere dua capitani nuovi in compagnia loro in scambio di Neri Rinuccini e di Giovanni Minerbetti che erano morti, e trovandosi a sedere a fare detta elezione otto de’ capitani e però bisognando sette fave nere, fumo eletti Tommaso Spini ed io che fui nominato da Alamanno Salviati mio suocero; la quale elezione, benché lo uficio fussi di poco momento, fu onorevole rispetto alla qualitá degli uomini in compagnia di chi avevo a essere, che erano Domenico Mazzinghi, Pietro Lenzi, Giovacchino Guasconi, Niccolò del Nero, Alessandro Mannelli, Bartolommeo Benci, Giovati Batista Bartolini, Alamanno Salviati, e questi furono presenti alla elezione, Adovardo Canigiani e Bartolommeo di Pagnozzo Ridolfi. Ebbi sette fave nere ed una bianca, che fu di Giovacchino Guasconi. Venne fatto la prima volta Tommaso Spini, ed io insieme con altri fui cimentato tre volte, e non si vincendo nessuno, perché io ero di piú fave che me ne mancava una, fui rimandato solo a partito, e vinsi con otto fave nere; perché, secondo mi fu detto, Alessandro Mannelli che prima mi aveva data la fava bianca, me la détte nera.
Ricordo come a dí 31 marzo 1509, faccendo la signoria una pratica di cittadini circa a settanta insieme con gli ottanta, perché Antonio da Filicaia, Alamanno Salviati e Niccolò Capponi commessari in quello di Pisa scrivevano che a volere proibire che in Pisa non entrassi vettovaglia, bisognava fare tre campi, io fui chiamato a detta pratica, di che ho fatto ricordo perché fu la prima volta che io fussi mai chiamato a pratica dalla signoria.
Ricordo come essendo vacata la avvocazione del capitolo di Santa Liperata1 per la morte di messer..... e di messer Antonio Malegonnelle, e non essendosi mai rifatti gli scambi, messer Cosimo de’ Pazzi arcivescovo di Firenze richiese el capitolo che gli facessino per compiacerne a Ormanozzo Deti suo cognato, el quale raccomandò a tutti e’ canonici molto strettamente, e però a dí 16 di aprile 1509 si elessono, e fumo messer Ormanozzo ed io. Funne operatore messer Francesco Minerbetti archidiacono per farne piacere a Iacopo Salviati, e messer Tommaso Arnoldi e messer Averano Giugni, mossi ancora per memoria di messer Rinieri mio zio; e per opera di Iacopo Salviati ebbi molto favore. Fui nominato da messer Giuliano Tornabuoni; fu cosa di poco utile ma molto onorevole per la qualitá del luogo, per esservi stati sempre e’ primi dottori di Firenze, ed andoronvi a partito messer Antonio Strozzi, messer Francesco Gualterotti e molti altri dottori.
Battezzai in detto anno uno figliuolo maschio a ser Antonio di ser Michele da Santa Croce; credo gli ponessi nome Michele; battezzamolo ser Agnolo di ser Antonio di ser Battista, Filippo di Nerozzo del Nero ed io.
Ricordo come in detto anno e del mese di giugno, essendo venuti a Firenze dua oratori di Massimiano imperadore, ed avendo domandati alla cittá centomila ducati ed offerendo in recompenso la confermazione e privilegi della nostra libertá e di tutte le terre che noi tenevamo, ed aspettandosi a rispondere loro uno aviso dal re di Francia; parve si dovessino deputare dua cittadini che li tratenessino insino a tanto fussino espediti, e fumo deputati dalla signoria messer Ormanozzo Deti ed io.
Ricordo come a dí..... di....., sendo Alamanno mio suocero commessario a Pisa nuovamente recuperata, io vi andai per vedere quella cittá e lui; andamovi Matteo Strozzi ed io; stemovi pochi giorni ed andamo a vedere Livorno, e di poi ne tornamo per la via di Lucca, Pescia, Pistoia e Prato.
Ricordo come in detto anno a dí 21 di novembre, io fui eletto avvocato da messer Biagio del Milanese generale, e da e’ padri dello ordine, di tutto lo ordine di Santa Maria di Valle Ombrosa con premio di barili dieci di vino da Monte Scalari, lo anno: funne operatore Giovan Batista Bartolini che molto poteva col generale e con lo ordine, el quale mi serví sendone richiesto da Iacopo Salviati, el quale ne lo richiese a mia instanzia.
Ricordo come in detto anno a dí 23 di novembre io fui eletto avvocato2 dello ordine di Camaldoli da messer Piero Delfino generale di detto ordine: funne operatore Iacopo Salviati, il quale ne fece richiedere el generale per parte del cardinale de’ Medici, e di poi gli fece da detto cardinale scrivere una lettera, sendo vacata detta avvocazione per la morte di messer Carlo Niccolini.
Ero prima in detto anno stato eletto avvocato del commune di Santa Croce, non avendo io fatta opera nessuna, per mezzo di messer Vincenzio Duranti priore di detto luogo che era di quivi3.
Ricordo come a di 20 di detto mese ebbi da Alamanno, portò Michele da Colle, ogni resto della mia dote; la quale spesi tutta, parte in vestire la donna, parte in vestire me, parte in qualche masserizia per la casa nuova; eccetto fiorini. d’oro, e’ quali sotto nome di Piero mio padre sono a mio utile e danno nella bottega nostra della seta che canta in nome di Iacopo mio fratello, Lorenzo di Bernardo Segni e C.
Ricordo come a di 28 di dicembre di detto anno, a ore una e tre quarti di notte, ebbi dalla Maria mia donna una fanciulla femina, la quale si battezzò in San Giovanni a di 29 a ore 23 passate di poco, e gli posi nome Simona per mia madre e Romola; tennonla a battesimo messer Iacopo Pepi, messer Niccolò di Simone Altoviti, Ruberto di Donato Acciaiuoli e Pagolo di Piero Vettori, e’ quali non mandorono confetti o presente alcuno perché così gli pregai, che non volli quella boria con loro spesa e mia.
Ricordo come sendo morto messer Francesco Gualterotti a dì 3 di gennaio, fui la sera medesima eletto in luogo suo avvocato della mercatantia da’ sei, e’ quali erano Chimenti di ser Nigi, Filippo Sacchetti, Niccolò Serragli, Bernardo di Carlo Gondi, Piero di Tanai de’ Nerli, e Girolamo di Struffa; funne massime operatore Bernardo Gondi, e fui eletto con sei fave nere4.
Ricordo come avendo avuto Alamanno Salviati capitano di Pisa in Pisa una infermitá lunga di circa a due mesi e mezzo e benché paressi alquanto alleggerito, essendo ancora in grande male, io andai a vederlo, credo a di 24 di gennaio, e stettivi giorni cinque, che fanno fra andare e tornare giorni nove.
Ricordo come avendo io disegnato tornare piú tempo innanzi a abitare intorno al palazzo del podestá, secondo el costume degli altri dottori, ed avendo tenuta a mia petizione la casa di Alamanno in via San Brocolo, sutami, secondo e’ patti della dote, consegnata da lui per anni tre, che mi fu consegnata a dí 13 di novembre 1508, che in tal di se ne uscí messer Francesco Gualterotti che andò capitano di Pistoia; ed avendo differito el tornarvi per varie cagione, finalmente vi tornai insieme colla Maria a di 14 di febraio, che fu el secondo dí di quaresima. A Dio piaccia sia stato in punto buono e con onore ed utilitá mia e con salute della anima.
Ricordo come a dí 18 vel circa di detto, fui eletto avvocato de’ frati di San Donato a Scopeto in luogo di messer Francesco Gualterotti; la quale cosa benché fussi di piccola utilitá, pure ogni cosa si debbe stimare: funne operatore maestro Tommaso di maestro Pagolo di Vieri e maestro Pagolo suo padre, e’ quali medicavano in detto convento5.
Ricordo come a dí 24 di marzo 1509 a ore dieci, piacque a Dio chiamare a sé la benedetta anima di Alamanno Salviati mio suocero, el quale morí in Pisa, dove essendo capitano ammalò pe’ disagi sostenuti nella recuperazione di quella cittá in campo a San Piero in Grado ed altrove, e forse ancora da poi per la aria di Pisa; e doppo una lunga malattia che durò centotrentatré dí, rimettendogli ogni dí la febre e non restando mai netto, morí detto di avendo di giá finito lo uficio del capitano. Fu Alamanno uomo di buono cervello e saldo, di animo grande e di una natura libera e molto schietta, che ciò che portava in cuore aveva in bocca; di buona mente e volta molto a quello che intendeva essere el bene della cittá; molto amorevole e buono in favorire le cose giuste, e pel contrario in detestare e risentirsi delle cose enorme e disoneste.
Era quando morí in grandissima riputazione e sanza comparazione el primo uomo della cittá; perché oltre alle qualitá dette di sopra si li aggiugneva la nobilitá della casa, le facultá grande, massime essendo fondate in su mercatantie e guadagni ordinari e ragionevoli, cosa di molto favore e di che si pasce e nutricasi el popolo; l’avere e per conto della casa e per le sorelle e donna sua e per conto delle figliuole, parenti assai e delle piú fiorite case della cittá; avere uno numero infinito di amici, parte per dependenzie delle faccende sue, parte a chi aveva fatti piaceri e benefici, che era molto servente, parte per speranza avevano in lui; una fede grande negli uomini da bene, per esser tenuto uomo costante, schietto e libero; una grazia e benivolenzia grande e molto universale. Alle quali cose aveva giovato e giovava del continuo la unione ed intrinsichezza con Iacopo Salviati suo cugino, uomo potente e di qualitá grande: perché essendo vivuti insieme con grande benivolenzia e con avere governato sempre communemente le cose proprie, si avevano fatto l’uno all’altro in ogni occorrenzia tanto favore, che di qui si poteva dire essere in gran parte procedute le facultá, gli amici, e’ parenti e la riputazione, la quale nell’uno e l’altro di loro era grandissima. In Alamanno erano assai queste parte naturalmente; di poi si erano molto scoperte e cognosciute quando fu de’ signori ne’ casi di Arezzo, nel quale tempo con somma laude medicò e’ disordini publici e nella cittá e fuora, come piú particularmente nella narrazione nostra si fa menzione. In ultimo multiplicorono in infinito ed accrebbegli sommamente la riputazione ed el favore nella recuperazione di Pisa; per la qual cosa dolse assai alla cittá ed in ogni grado di uomini la morte sua, e tanto piú quanto morí nella gloria fresca di Pisa per infermitá lunga e compassionevole e contratta in quella espedizione, e per lasciare nove figliuole femine delle quali cinque non erano maritate; e massime sendo nel fiore delle faccende e della etá, che aveva di poche settimane finiti anni 49. E molti anni innanzi non era morto cittadino con tanto dolore publico, e meritamente, perché in lui due cose erano verissime: l’una che se bene a Firenze erano forse degli uomini che lo eccedessino in qualcuna delle buone parte che aveva, nondimeno congiunto ogni cosa, non vi era cittadino che lo equiparassi; l’altra che la cittá non aveva uomo di chi piú si potessi valere in uno caso grande, perché oltre alle cose dette di sopra, aveva per tutto el dominio riputazione grandissima: in Pisa una benivolenzia e fede immensa; ne’ luoghi vicini, come in Siena Lucca Perugia, credito grandissimo; e sopra ogni cosa una prontezza e vivacitá grande in affaticarsi nelle cose della cittá, piú che altro cittadino da Firenze. Per le quale cose ragionevolmente dolse assai a ognuno che non aveva passione con lui, e piú a chi piú intendeva ed aveva piú interesse nella cittá. A me dolse incomparabilmente, e tanto che a’ mia di non avevo sentito piú dolore simile a questo, avendo perduto uno tanto suocero di chi avevo da fare capitale grandissimo.
Morí, come è detto, in Pisa di etá di anni 49 finiti di poco, sendo di complessione robusta e di bella presenzia, con tanto intelletto e con tanta divozione che piú non si potrebbe dire: confortando ognuno che vi era presente a non piagnere o dolersi, anzi contentarsi della sua morte poi che lui medesimo si contentava e moriva volentieri. Piaccia a Dio avere dato pace alla anima sua e conservare noi e quello che resta di quella casa. So che io n’ho detto assai, e nondimeno chi intende giudicherebbe piú tosto che io n’avessi detto poco che troppo.
Ricordo come a dí..... di aprile la Gostanza mia sorella si maritò a Lodovico di messer Piero Alamanni con dota di fiorini dumila di suggello contanti.
Ricordo come a dí 12 di luglio 1510, io tenni a battesimo una figliuola di ser Agnolo di ser Antonio di ser Batista alla quale si pose nome Alessandra; tenemola insieme ser Giovanni Carsidonii, Pagolo del Giocondo ed io.
Ricordo come a di 15 di marzo 1510 io fui eletto dalla compagnia de’ tessitori per loro avvocato in luogo di messer Francesco Gualterotti; di che fu operatore ser Bartolommeo Gerini notaio fiorentino.
Ricordo come in detto anno battezzai uno figliuolo maschio a ser Giuliano di Lorenzo da Ripa; tenemolo a battesimo messer Giovanni Buongirolami ed io.
Ricordo come a di 14 dí maggio 1511 battezzai una figliuola femina a maestro Tommaso di maestro Pagolo di Vieri; tenemola a battesimo Bartolommeo di Piero Pieri ed io.
Ricordo come a dí 28 di luglio di detto anno, battezzai uno figliuolo maschio a Bernardo di maestro Giorgio, a quale si pose nome Giorgio; tenemolo a battesimo uno messer Diego spagnuolo, Francesco di Giuliano Salviati, Giulio di maestro Mingo ed io.
Ricordo come essendo le cose di Italia molto aviluppate e la cittá in grande sospensione per essere molto minacciata dal papa, e trovandosi da una parte el re di Francia potentissimo nelle cose di Italia per essere signore del ducato di Milano, di Genova, ed avere lo stato di Bologna a sua requisizione; da altra, essendosi fatta nuova lega tra ’l papa, re di Spagna, che era signore del reame di Napoli, e viniziani, e dubitandosi di futura guerra, la cittá, benché dependessi da Francia, pure deliberando trattenersi col re di Spagna con chi ancora era in confederazione insino a giugno, e desiderando giustificarsi con quella maestá de’ carichi ci dava il papa, deliberò mandare uno imbasciadore a quello re; ed essendosi cimentata la elezione piú volte, finalmente a di 17 di ottobre 1511 fui eletto io, nominato da Lodovico di Iacopo Morelli. E benché io stessi molto sospeso dello accettare, parendomi gita da non avanzare e dare disturbo allo esercizio mio, nel quale mi trovavo rispetto alla etá mia molto aviato, e mi pareva che lo stare a Firenze ancora due o tre anni fussi per assodarmivi meglio; pure per consiglio di Piero mio padre al quale ne scrissi, che si trovava a Montepulciano commessario, accettai; perché a lui parve che mi fussi suto fatto onore grande, rispetto allo essere la legazione molto onorevole per le qualitá di quello re, e tanto piú nella etá mia, che non era memoria a Firenze fussi mai piú stato eletto in una simile legazione uno sí giovane solo; e che però difficilmente potessi recusare, e massime che per essere giovane non mi doveva dare noia lo essere el luogo sí lontano. Inoltre perché stimando lui che io mi dovessi portare in modo che qui avessi a satisfare, gli parve n’avessi a acquistare riputazione; e che quanto alla borsa avendo el salario ordinario di tre ducati d’oro el dì ed el donativo di ducati dugento d’oro, io non vi dovessi mettere del mio; ed inoltre se la cittá si risolvessi al non mandare, di che ci era qualche opinione e massime nel gonfaloniere, io ne resterei sanza carico o biasimo di avere rifiutato. A Dio piaccia sia stata buona deliberazione, e mi dia felice viaggio se arò a andare.
Ricordo come a dì 26 di ottobre battezzamo Filippo di Pagolo degli Albizzi ed io, uno figliuolo a Domenico Riccialbani che ebbe nome Bernardo.
Ricordo come essendo morto messer Luca Corsini io fui eletto avvocato della torre dagli uficiali a diì 6 di dicembre; che erano Lorenzo degli Alessandri e Neri Pepi, e’ quali non dettono fava nera se non a me, Mariotto Segni e Giovanni Franceschi, e’ quali favorirono me ed altri; e Bernardo Puccini, el quale per volere fare messer Antonio Strozzi mi détte una fava bianca benché avessi promesso a me.
Ricordo come a dì 9 di dicembre io fui eletto avvocato del Bigallo dagli uficiali, in luogo di messer Luca Corsini, e secondo credo ebbi le fave nere da Domenico Boninsegni, Tommaso Bracci, Giovanni Attavanti e Francesco di Tommaso Giovanni.
Ricordo come a dì 11 di gennaio 1511 a ore 12, morì la Simona mia figliuola, la quale aveva avuto male circa a mesi diciotto, ed era venuto in spezie di tisico: a Dio piaccia conservare gli altri.
Ricordo come a dì 29 di gennaio io parti’ di Firenze per la legazione mia di Spagna, avendo avuto dalla signoria oltre al salario ordinario di ducati tre el dì, uno donativo di ducati trecento d’oro; feci la via per Francia per il cammino diritto di Avignone e Monpolieri, ed entrai in Spagna per la via di Sals e Perpignano; ed a dì 27 di marzo mi condussi in Burgos, dove allora si trovava el re di Aragona a chi io ero mandato. Ebbi felice viaggio e mi condussi con bellissimi tempi sanza danno o impedimento alcuno nelli uomini o nelle bestie. Ricordo come a dí 14 di aprile 1512, la Maria mia donna quale avevo lasciato grossa, partorí una figliuola femina e si gli pose nome Simona e Margherita; battizzoronla per ordine mio Pier Francesco di Giorgio Ridolfi e Francesco di Carlo Pitti.
Ricordo come a dí 20 di dicembre 1513 la notte a ore nove venendo e’ 21, piacque a Dio chiamare a sé la benedetta e santa anima di Piero mio padre, di che tornando io della imbasceria di Spagna ed essendo in Piacenza, ebbi nuove a tempo non avevo notizia alcuna della malattia. Morí in Firenze, e benché avessi male molti dí, nondimeno non ne fu fatto da principio molto caso, perché non si li scoperse mai febre o accidente potente, ma fu piú tosto una debilitá e mancamento di virtú, causata secondo che io credo da una mala disposizione del corpo che era surta nel corso di molti anni, per essere lui uomo che si accorava assai le cose che non li piacevano; ed anche dubito non li accelerassi la morte qualche passione e dolore particolare che ebbe per disordini e debiti che aveva fatti Luigi suo maggiore figliuolo.
Fu Piero uomo molto savio e di grande iudicio e vedere quanto alcuno altro che fussi a Firenze nel tempo suo; e cosí fu di conscienzia buona e netta al pari di ogni altro cittadino amatore del bene della cittá e de’ poveri, né mai fece uno minimo torto a persona. Per le quali cose e per le qualitá della casa e passati sua, fu insino da giovane cominciato a essere stimato assai, e cosí si conservò sempre, in modo che al tempo della morte era in grandissima riputazione, e si teneva che di cervello e gravitá, da Giovan Batista Ridolfi in fuora, non fussi in Firenze uomo che lo agguagliassi. E se alla bontá e prudenzia sua si fussi aggiunta un poco piú vivacitá, sarebbe stato piú riputato assai; ma lui o perché la natura li dessi cosí, o perché lo richiedessino e’ tempi che correvano che furono in veritá forti e strani, procedeva nelle cose sue con poco animo e con respetto grande; pigliando poche imprese, travagliandosi nelle cose dello stato adagio e con grande maturitá, né volendo se non quando la necessitá o la conscienzia lo strigneva, dichiarare nelle cose importanti bene lo animo e parere suo. Per il che non si faccendo capo di parte o di imprese nuove, non era cosí sempre in bocca di ognuno né fioriva cosí sempre la sua riputazione; nondimeno questo procedere li servi ad altro effetto, che in tante turbulenzie e movimenti che ebbe a’ tempi sua la cittá, lui sempre si conservò in stato e sanza pericolo, il che non accadde a alcuno altro suo pari, ché tutti li altri uomini grandi corsono in qualche tempo pericolo della vita o della roba.
Morí di etá di anni cinquantanove, ed essendo ritornati e’ Medici al governo della cittá, apresso a’ quali ebbe grandissima autoritá non per essere tenuto loro sviscerato, come qualcuno altro che era piú caldo nelle loro cose, ma perché lo tenevano uomo savio e buono e lo vedevono in grandissimo credito col popolo, e riputavano che se bene e’ non fussi per volere correre pericolo con loro, almeno che e’ non fussi per malignare contro al loro stato. E perché lui sempre aveva avuta riputazione ed era vivuto con opere buone e saviamente, ed inoltre, doppo la ritornata de’ Medici si era affaticato assai in persuadere la conservazione de’ cittadini ed el bene universale, e cosí si conosceva che lui era per continuare, pelle quali cose la morte sua dolse assai alla cittá, e forse quanto di qualunque altro cittadino che fussi morto molti anni innanzi, e se ne risentirono li uomini da bene, el popolo ed ogni sorte di cittadini, conoscendo ognuno che e’ mancava uno cittadino savio e buono, e da chi in universale ed in particulare non si poteva ricevere danno alcuno ma frutto o beneficio. Morí avendo fatto testamento e preso tutti e’ sacramenti della Chiesa con molta divozione, e talmente che si può sperare che Dio al certo lo abbi ricevuto in luogo di salute. A me dolse tanto che io non lo potrei dire, tornando io con uno desiderio grandissimo di vederlo, e mi pareva averlo a godere e gustare piú ora che mai pel passato, quando mi sopragiunse adosso la morte, fuora di ogni mia opinione o sospetto. Amavolo piú ardentemente che non sogliono essere amati e’ padri da’ figliuoli, e mi pareva ancora di etá e di complessione da vivere qualche anno; pure a Dio è piaciuto cosi, ed a noi è necessitá accommodarci, e ci doverrebbe essere meno difficile considerando con quanta bontá e’ sia vivuto e morto, e che in veritá e secondo la opinione di tutti gli uomini e’ sia stato di qualitá che noi abbiamo da gloriarci assai di essere suti figliuoli di uno tale padre.
Ricordo come di dicembre del detto anno 1513, sendo morto messer Francesco Pepi che era avvocato de’ frati di Badia di Firenze, detti frati mi elessono per loro avvocato, sendone richiesti da Iacopo Salviati e di poi da Lorenzo de’ Medici.
Ricordo come nel medesimo mese di dicembre io in luogo di messer Francesco Pepi fui eletto avvocato de’ frati di Settimo e Cestello, e benché e’ frati ne fussino richiesti da Lorenzo de’ Medici, pure sanza el favore suo erano ancora deliberati a farlo.
Ricordo come nel medesimo mese di dicembre e’ consoli della arte del cambio mi elessono per avvocato della arte in luogo di messer Francesco Pepi.
Ricordo come a dí 5 di gennaio 1513 io tornai in Firenze dalla legazione mia di Spagna, nella quale tra andare stare e tornare avevo consumato ventitré mesi ed otto dí. Feci allo andare in lá el cammino di Avignone, e di quivi per la via di Barzalona e Saraosa mi transferi’ a Burgus dove allora era la maestá del re don Fernando; ed al tornare ne venni per la via di Biscaia a Baiona, Tolosa, el ponte a Santo Spirito e Lione. Nel tempo fui lá stemo tuttavia colla corte in Burgus, Logrogno, Vagliadulit e Medina del Campo; benché io una volta sendo el re a caccia détti una vista insino a Salamanca. Fui fortunato in questa legazione, perché oltre allo essere andato e tornato felicemente e sanza alcuna incommoditá, vi stetti sempre sanissimo della persona, ebbi buono adito e fui in buono concetto col re e vi stetti con buona riputazione. A Firenze mentre durò lo stato populare, le lettere ed opere mie satisfeciono forte; e non meno sendo mutato el governo per la ritornata de’ Medici in Firenze; e’ quali benché da principio eleggessino per lá Giovanni Corsi nuovo imbasciadore, nondimeno non lo mandorono poi se non in capo di uno anno, e doppo molta instanzia che io feci di tornare: ed in effetto si mostrorono contenti di me. El re alla partita mia mi fece uno presente di argenti per cinquecento ducati d’oro, in modo che computatis omnibus vi stetti con buono utile. Tornavo a casa con onore, con sanitá, con utile e tutto contento; ma a Dio piacque darmi el contrapeso, sendo di pochi dí innanzi alla giunta mia, morto Piero mio padre, quale se io avessi trovato vivo mi pareva tornare con grande felicitá.
Ricordo come a dí 11 di febraio el comune di Castelnuovo di Val di Cecina mi elesse per suo avvocato con salario di ducati tre d’oro l’anno, il che feciono per intercessione e opera di messer Piero Alamanni.
Ricordo come a dí 14 di febraio la congregazione nuova dello eremo di Camaldoli mi elesse avvocato, con premio di barili dieci di vino lo anno: fece detta elezione fra Piero Quirino eremita di Camaldoli che era sindico di detto eremo, e fu cosa non procurata né pensata da me, ma fatta naturalmente e motu proprio.
Ricordo come a dí 22 di febraio, avendosi a sindicare el giudice della mercatantia, io fui tratto della borsa, assessore a’ sindichi di detto sindacato.
Ricordo come a dí 28 di detto, io battezzai una bambina a maestro Bartolomeo di ser Antonio Vespucci, che ebbe nome Caterina e Romola; battezzoronla Cosimo da San Miniato, Maso del Tovaglia, Marcantonio Gondi ed io.
Ricordo a dí 17 di marzo, come essendosi doppo la creazione di papa Leone subito eletti diciassette cittadini per provedere alle entrate e riformazione del Monte con pienissima autoritá circa a questo ed ogni cosa quanto tutto el populo di Firenze, che furono messer Piero Alamanni, Giovan Batista Ridolfi, Pandolfo Corbinelli, Piero Guicciardini mio padre, Lanfredino Lanfredini, messer Francesco Pepi, Lorenzo Morelli, Iacopo Salviati, Antonio Serristori, Bernardo Rucellai, Iacopo Gianfigliazzi, Francesco d’Antonio di Taddeo, Luca di Maso degli Albizzi, Giuliano de’ Medici in luogo di chi fu poi sostituito Lorenzo, Guglielmo Angiolini, Simone Lenzoni, Lorenzo Benintendi, ed avendosi a eleggere li scambi di messer Francesco Pepi e Piero Guicciardini morti poco innanzi, fumo detto dí 17 di marzo eletti messer Luigi dalla Stufa ed io. E benché nel principio della tornata mia di Spagna io mi ingegnassi che Luigi mio fratello maggiore, quale avevano disegnato fare della balia, fussi ancora fatto de’ diciassette, e fussi contento cedere a lui perché molto lo desiderava, ed etiam perché pensavo non mi avessi a mancare modo di essere adoperato, nondimeno Lorenzo de’ Medici volse cosí. Ed io di poi veduta la disposizione sua e pensato che pure mi era riputazione per conto dello esercizio mio e di ogni cosa, lo ebbi caro, e massime intendendo che Lorenzo mi aveva in buono concetto e disegnava darmi questo principio per darmi riputazione; e Luigi mostrò alla fine avere piú caro che questa dignitá rimanessi in casa che non la avere né lui né io, come, se e’ non avessino fatto me, sarebbe intervenuto.
Ricordo come a dí 17 di marzo 1513 Luigi, Iacopo, Bongianni e Girolamo mia fratelli carnali ed io, dividemo le nostre possessione lasciando a comune le case di villa e Firenze; la quale divisa fu fatta per lodo dato da Iacopo Gianfigliazzi, benché prima noi ne avevamo fatto d’accordo e soli una bozza, seconda la quale si lodò in tutto e per tutto. Ed a me toccò per mia parte el podere di Lucignano e della Massa, quali stilliamo in tutto di entrata l’uno anno per l’altro per la parte dello oste di lire cinquecentodieci soldi sedici, come piú particularmente ne appare ricordo a libro mio di villa a carte 2.
Ricordo come a dí 20 di aprile 1514 la comunitá di Volterra per introduzione di messer Piero Alamanni mi elesse per suo avvocato con salario di ducati dieci l’anno.
Ricordo come a dí 6 di maggio messer Antonio spedalingo dello spedale di San Paulo mi elesse per avvocato di detto spedale.
Ricordo come a dí 14 di agosto io fui fatto degli otto della balia in compagnia di Pandolfo Corbinelli, Luigi Arnoldi, Andrea del Caccia, Zanobi Acciaiuoli, Francesco Calderini, Taddeo Taddei, Giovan Batista del Cittadino; el quale uficio ebbi sanza cercare o farne opera alcuna.
Ricordo come a dí 30 di ottobre la notte poco innanzi a ore 8, venendo e’ dí 31, la Maria mia donna partorí una figliuola femina la quale si battezzò el dí seguente, e li ponemo nome Lucrezia per nome della madre della Maria. Battezzoronla Luigi Arnoldi e Zanobi Acciaiuoli compagni mia allo uficio degli Otto, in nome e come procuratori di tutto el magistrato.
Ricordo come a dí 6 di aprile 1516 io battezzai uno figliuolo maschio a Carlo di Benedetto Uguccioni, che ebbe nome Lionardo; battezzamelo Giovanni di messer Guidantonio Vespucci, Giovanni di Piero Vettori ed io.
Ricordo come lo anno 1514, sendo referito a Lorenzo de’ Medici che allora era in Roma, come io mi ero occultamente travagliato in favorire Antonio Gualtierotti; e benché tale rapporto fussi falso, sendovi data per lui qualche fede, e di quivi avendo qualche maligno presa occasione di persuaderli che io ero per andare freddo a beneficio dello stato suo, e da dubitare che io non desiderassi che la cittá tornassi al governo populare; ne nacque che lui di poi el maggio 1515 quando tornò da Roma, non mostrò di avermi in quello buono concetto ed affezione che aveva innanzi andassi a Roma, che era grande, anzi cominciò apertamente a ritirarsene; e tra le altre avendo ordinato uno numero di cittadini quali chiamava a casa sotto spezie di una consulta e pratica, io non vi fui chiamato. Di che nacque che vedendo io questa indisposizione e dubitando di peggio, ci feci drento destramente qualche opera, e ne fui aiutato da qualcuno che mi voleva bene: in che mi giovò secondo credo la opera di Lanfredino e di Iacopo Salviati, ma massime di Matteo Strozzi. Ed a lui ancora parlai vivamente, mostrandoli che a torto si pigliava ombra di me, e faccendo fede del mio buono animo, di che lui cominciò a dimostrare di volermi in buono grado, e mi messe in quella pratica, dove eravamo in Santo Spirito messer Piero Alamanni, Pandolfo Corbinelli, Piero di Niccolò Ridolfi, Lanfredino Lanfredini, Francesco Vettori ed io; in Santa Croce Lorenzo Morelli, Iacopo Salviati ed Antonio Serristori: in Santa Maria Novella messer Filippo Buondelmonti, Ruberto Acciainoli, Iacopo Gianfigliazzi e Matteo Strozzi: in San Giovanni messer Luigi dalla Stufa e Luca di Maso degli Albizzi. E dibollendo le cose assai per la venuta de’ franzesi, a chi el papa e costoro si scoprivano contrari, ed avendo Lorenzo a andare colle gente nostre e della Chiesa personalmente in Lombardia, e però mostrando di volere lasciare qui una signoria di confidati, fu’ fatto io de’ signori settembre ed ottobre, e furono li altri Domenico Alamanni, Tommaso Gherardi, Donato Cocchi, Luca di Piero Vespucci, Lorenzo di messer Antonio Malegonnelle, Giovan Batista Bracci e Zanobi di Bartolo, e gonfaloniere Luca di Maso degli Albizzi: in modo che sino a qui dimostra di avermi pure in ragionevole concetto; vedreno quello seguirá, ed a Dio piaccia aiutarmi. Non voglio omettere che lo avermi Lorenzo ed essere così apresso alli altri in concetto di uomo che valessi e da tenerne conto, fu secondo credo eziandio assai buona cagione che e’ si risolvessi a volermi piú tosto conservare amico che a farmi inimico o malcontento.
Ricordo come in detto anno 15, del mese di agosto, venendo in Firenze el reverendissimo cardinale messer Iulio de’ Medici archiepiscopo fiorentino, che andava Legato a Bologna ed in Lombardia per respetto delle cose franzesi, ed in uno medesimo tempo venendo a Firenze a vedere el marito madonna Filiberta di Savoia, donna del magnifico Giuliano de’ Medici, fumo mandati dalla signoria sino a’ confini a incontrare prima el Legato, e di poi lasciato lui, a incontrare madonna Filiberta ed accompagnarla sino a Firenze, messer Luigi dalla Stufa ed io.
Ricordo come in detto anno 1515, venendo a Firenze del mese di novembre la Santitá di Nostro Signore Leone decimo, che andava a Bologna a aboccarsi col re di Francia, e faccendosi dalla cittá grande onore come era conveniente, fumo deputati a incontrare Sua Santitá sino a’ confini, sotto nome di imbasciadori, messer Francesco Minerbetti archiepiscopo turritano, Benedetto de’ Nerli, Neri Capponi, Iacopo Gianfigliazzi, Matteo Strozzi ed io; e’ quali lo incontramo tra Arezzo e Castiglione e ne venimo con Sua Santitá sino a Fighine, e quivi lasciatala, ne tornamo a Firenze; stemo in tutto fuori nove giorni.
Ricordo come a dí primo di dicembre 1515, sendo papa Leone in Firenze, dove era entrato el giorno precedente di santo Andrea, e faccendo congregazione la mattina de’ cardinali, mi pronunziò avvocato consistoriale; il che fece Sua Santitá, non lo sapendo io né vi pensando. E benché la cosa sia piú tosto di cerimonia che di sustanzia, massime a chi non seguita la corte, pure la ebbi cara, piacendomi quello atto di avere Sua Santitá sanza intercessione mia o di altri fattomi onore; e perché el numero delli avvocati consistoriali è tassato, la elezione mia fu sine preiudicio participantium, cioè circa li emolumenti che hanno detti avvocati; in coeteris circa el sedere in consistono in habitu advocati e proporre le cause consistoriali hanno li medesimi privilegi che hanno quelli ordinari quorum numerus taxatus est.
Ricordo come a dí 20 di dicembre mi fu presentata la elezione fatta dal comune di Buggiano di Valdinievole insino a di 21 di ottobre in loro avvocato con salario di fiorini due d’oro larghi l’anno.II
Ricordo6 questo di primo di luglio 1527 come insino a di quattro di gennaio 1506 io tolsi per donna la Maria, quarta figliuola di Alamanno di Averardo Salviati, con dota di fiorini dumila di suggello tra danaro e contanti, come apparisce per una scritta sottoscritta di mano di Alamanno e mia, da pagarsi ne’ tempi e modi che in quella si contiene; consumai el matrimonio a dí dua di novembre 1508, e fatto ogni spesa avanzai di detta dota oltre alla pigione della casa loro posta in via di San Brocolo per tre anni ducati secento d’oro larghi, quali posi in sulla bottega nostra delle sete come di sotto si dirá. Piaccia a Dio che io n’abbia quella felicitá che mi è paruto averne insino a ora. Ricordo questo di detto di sopra come insino a dí..... io sotto nome di Piero mio padre messi in bottega della seta che cantava sotto nome di..... e C. ducati secento..... d’oro larghi a partecipare dell’utile e danno a ragione di soldi..... per lira come compagno; la quale compagnia fu fatta per anni..... e cominciò a di..... Avanzai di detta compagnia.....
Ricordo detto di come a dí 17 di ottobre 1511 io fui eletto per el consiglio degli ottanta imbasciatore della signoria di Firenze in Spagna al re Catolico; alla quale legazione andai a dí 29 di gennaio 1511 con provisione di ducati tre d’oro larghi al dí e con uno donativo di ducati 300 d’oro larghi. Tornai a dí 6 di gennaio 1513, ed in tutto tra del salario e di uno donativo fattomi dal re di arienti alla partita mia, avanzai.
Ricordo detto dí come insino a dí 28 di dicembre 1509 a ore 2 ½ la Maria mia donna fece una bambina alla quale si pose nome Simona e Romola. Tennonla a battesimo messer Francesco Pepi, messer Niccolò Altoviti, Ruberto Acciaiuoli e Pagolo Vettori. Morí detta Simona a dí 11 di gennaio 1511.
Ricordo questo di detto come insino a dí 14 di aprile 1511, essendo io in Spagna, a ore XI vel circa, la Maria mia donna fece una figliuola alla quale si pose nome Simona Margherita e Romola. Tennonla a battesimo Pier Francesco di Giorgio Ridolfi e Francesco di Carlo Pitti. Fecigli la dota in sul Monte a dí 9 di gennaio 1515 di crediti dí 6 % la quale mi costò ducati 105, s. 9, d. 4 d’oro larghi, e lei è creditrice a libro nero 3° a c. 149 di fiorini 800 larghi di grossi, la quale sará guadagnata a dí 12 di dicembre 1530, perché el deposito per comperare e’ crediti fu fatto a dí 12 di dicembre.
Ricordo detto di come insino a dí 20 di dicembre 1513, essendo io a San Giovanni di Moriana in cammino che tornavo di Spagna, morí Piero mio padre, lasciato cinque figliuoli maschi de’ quali io ero el terzo; e secondo che piú volte facemo conto, toccò per uno tra danari ed altri mobili, crediti e beni immobili, el valsente di circa ducati quattromila d’oro larghi.
Ricordo detto di come insino a dí 17 di marzo 1513 Luigi, Iacopo, Bongianni e Girolamo miei fratelli ed io, avendo prima divisi e’ mobili che ci toccavano dell’ereditá di Piero nostro padre7, che furono pagati tutti e’ debiti circa ducati mille d’oro larghi per uno, dividemo le nostre possessione d’accordo tra noi soli, benché si facessi per lodo di Iacopo Gianfigliazzi nostro zio, di che sotto detto dí fu rogato ser Pier Francesco di ser Maccallo: toccò a me el podere della Massa col campo di Fichereto ed el podere di Lucignano posti in Val di Pesa, l’uno nel popolo di Poppiano, l’altro nel popolo di Lucignano, di valuta tra tutt’a dua, secondo e’ pregi che allora correvano, in tutto di ducati dumila d’oro larghi; rimasonci a commune le case di Firenze e di villa ed e’ crediti del Monte che erano di poca quantitá.
Ricordo detto dí come insino a dí 21 di giugno 1514 Luigi, Iacopo e Girolamo miei fratelli ed io e Guglielmo Nettoli facemo insieme compagnia di arte di seta con patto si intendessi cominciata a dí primo di febraio 1513 e durassi per tutto gennaio 1516 sotto nome di Rede di Piero Guicciardini e C. setaiuoli; e che el corpo fussi fiorini semila trecento d’oro larghi, de’ quali io mettessi fiorini tremila cinquecento, e fussi governata per Guglielmo Nettoli el quale traessi s. 3, d. 4 per lira, ed el restante, cioè s. 16, d. 8, si dovessino distribuire tra noi secondo la rata de’ corpi e con altri patti e condizione che apparisce nella scritta. È vero che nella messa mia participò Bongianni nostro fratello per ducati millecento d’oro larghi, in modo che el corpo mio non fu in fatto altroché ducati dumila quattrocento d’oro larghi, de’ quali fiorini 1500 cavai del corpo della ragione vecchia tra quello che prima vi avevo io e che mi era tócco di Piero mio padre, ed al resto supplí’ di contanti di quello che avevo guadagnato in Spagna.
Ricordo detto dí come insino a dí 30 di ottobre 1514 la Maria mia donna fece una bambina alla quale si pose nome Lucrezia Santa e Romola; battezzoronla Pandolfo Corbinelli, Luigi Arnoldi, Andrea del Caccia, Zanobi Acciaiuoli, Francesco Calderini, Taddeo Taddei e Giovan Batista del Cittadino, in nome dello uficio degli otto di balia nel quale io ero loro compagno. Fecigli la dota in sul Monte a dí 9 di gennaio 1517 di fiorini 800 larghi di grossi, la quale si fece di crediti di sei per cento, e fu descritta creditrice al libro nero 3° a c. 194 da essere guadagnata a dí 12 di dicembre 1532, e costò fiorini 105, s. 13, d. 4 d’oro larghi. Morí la Lucrezia detta in Castrocaro a dí 20 di ottobre 1527, e la notificazione della morte fu fatta al Monte secondo gli ordini a dí 14 di novembre 1527 a Iacopo Nardi scrivano alle Graticole.
Ricordo questo dí primo di luglio come insino a dí 26 di giugno 1516 io andai governatore di Modena che allora era della Chiesa, mandato dalla Santitá di papa Leone e dal duca Lorenzo de’ Medici con provisione di ducati cento d’oro larghi el mese.
Ricordo detto di come essendo finita per tutto febraio 1516 la compagnia nostra della seta, facemo insino a dí 31 di marzo 1517 Luigi, Iacopo, Bongianni, Girolamo miei fratelli, e Guglielmo Nettoli ed io con patto si intendessi cominciata a dí primo di marzo 1516 e durassi per tutto febraio 1519; e che el corpo fussi ducati semila trecento d’oro larghi, de’ quali mettessi io fiorini dumila novecento d’oro larghi, e Guglielmo participassi a ragione di s. 3 d. 4 per lira, ed el resto si dividessi tra noi per lire e soldi e con altri patti e condizione che appariscono per la scritta sottoscritta dalle parte, e cosí tra el corpo ed utili che avevo in sulla ragione vecchia e danari contanti, io messi fiorini dumila novecento d’oro larghi e di piú fiorini cento d’oro larghi che mancorono alla messa di Bongianni, in modo che el corpo mio venne in tutto a essere di fiorini tremila d’oro larghi, che a quello vi avevo della ragione vecchia vi venni a aggiugnere di contanti fiorini. d’oro larghi.
Ricordo detto di come insino a dí 15 di gennaio 1516, essendo io a Modena, la Maria mia donna fece dua bambine a uno corpo. Alla prima si pose nome Lisabetta e Romola, alla seconda Laudomina e Romola; battezzoronle messer Niccolò Altoviti e Simone Tornabuoni. Morí la detta Lisabetta a dí 19 di gennaio 1516. Feci alla detta Laudomina insino a dí 24 di marzo 1519 la dota in sul Monte di fiorini 800 larghi di grossi; di che è creditrice al libro nero 3° delle dote a c. 274, da essere guadagnata a dí 21 di marzo 1534. Costommi fiorini 105, s. 9, d. 2 d’oro larghi.
Ricordo detto di come insino a dí primo di luglio 1517 io fui fatto governatore di Reggio che allora era della Chiesa dalla Santitá di papa Leone, con salario tra el governo di Modena e quello, in tutto di fiorini centosessanta d’oro larghi el mese.
Ricordo questo di primo di luglio come insino a dí 14 di aprile 1518 io tolsi a fitto per anni quattro da Galileo di Bernardo Galilei la metá del podere che ha per indiviso con la donna che fu di Alessandro suo fratello, quale lavorava Michele di Cambio, con patto che io fussi obligato a consegnarli in sul Monte la somma di fiorini quattrocento di sette per cento, e che alla fine di detto tempo lui fussi obligato vendermi la detta sua metá per prezzo di fiorini cinquecento d’oro larghi a mia gabella, che avessi a rinvestire in beni immobili che stessino per mio sodo, e con altri patti e condizione di che apparisce per instrumento rogato di mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo. Costoronmi detti crediti in tutto fiorini 300 larghi d’oro in oro, e feci el detto contratto non per tôrlo a fitto, ma per sicurarmi me l’avessi a vendere. A dí 20 di gennaio 1522 Galileo mi fece contratto libero di detti beni ne’ modi e prezzo detto di sopra8, di che fu rogato ser Pier Francesco predetto, e con patto che insino non rinvestiva io gli dia di quello che arò in mano a ragione di cinque per cento l’anno. Honne avuto insino a oggi ducati trecentoventi d’oro larghi, cioè 230 ne’ crediti sopradetti e ducati novanta di contanti, come appare de’ detti novanta per instrumento rogato per mano di ser Pier Francesco Maccallo sotto dí..... Ed a dí 10 d’aprile 1529 se gli pagò ogni suo resto e ne fece fine per mano di ser Pier Francesco detto come in questo a c. 32.
Ricordo questo di detto come insino a dí 13 di agosto 1519 Bartolommeo di Bartolommeo Nasi nostro cognato, Iacopo mio fratello ed io, convenimo di dare in accomandita a Girolamo nostro fratello fiorini tremila cinquecento d’oro larghi per rizzare una ragione in Fiandra da cominciare a dí 15 di ottobre 1519 e durare anni cinque, e lui all’incontro mettessi la persona e fiorini mille d’oro larghi, e la persona fussi stimata fiorini mille cento d’oro larghi, e che io participassi a ragione di s. tre, d. sei e 6/7 per lira, e con patto che Bartolommeo, Iacopo ed io non potessimo perdere per caso alcuno piú che el capitale, e che la ragione cantassi sotto nome di Girolamo Guicciardini e C.i, e con altri patti e condizione che appariscono in una scritta sottoscritta dalle parte. Notificossi detta accomandita alla Mercatantia secondo gli ordini. Messi la parte mia de’ danari al tempo; e poco poi d’accordo facemo sopracorpo in detta ragione, del quale toccò a me aggiugnere fiorini trecento larghi, e’ quali per me e di danari che aveva in mano di mio Iacopo Guicciardini insino a dí 15 di marzo 1519.
Ricordo questo di come insino a dí 7 di aprile 1520 io messi in mano di Guglielmo Nasi e C.i di Lione fiorini 2753, s. o, d. 7 d’oro larghi perché me gli cambiassino mercantilmente e per la prima a rischio loro con doppia provisione. Renderonmi conto di detti danari e cambi corsi insino a dí.....
Ricordo questo di primo di luglio come insino a dí 28 di settembre 1519, dovendo io tornare di Firenze el dí sequente a Modena e Reggio, feci testamento, nel quale oltre a altri legati lasciai alla Maria mia donna fiorini dumila di suggello contanti perché cosí fu in veritá la dota sua, ed inoltre tutti e’ panni suoi gioie e masserizie deputate allo uso di camera sua, e questo cosí rimaritandosi come no; ed in caso avessi figliuoli maschi uno o piú gli lasciai eredi universali; ed alla Maria stando vedova ed abitando con loro, oltre a’ legati predetti, quali gli avevo lasciati in ogni caso, lasciai durante la vita sua lo usufrutto del podere di Lucignano, ed alle figliuole femine in dota per ciascuna fiorini dumila di suggello tra Monte, donora e contanti, con condizione che e’ tutori ed esecutori del testamento avessino a tempo autoritá di accrescerla.
Ma morendo sanza figliuoli maschi, lasciai eredi universali Luigi, Iacopo, Bongianni e Girolamo miei fratelli ed e’ figliuoli di chi allora non vivessi, in stirpes e non in capita, ed in tale caso oltre al legato delle gioie veste e masserizie lasciai alla Maria volendo stare vedova lo usufrutto di Lucignano e della Massa con Plchereto, ne’ quali beni se gli eredi la molestassino per virtú del fideicommisso che fece Piero mio padre, la instituí’ erede universale a vita sua, privando loro per detto tempo; ma in caso che lei si rimaritassi, avessi in luogo dello usufrutto, stando fermi gli altri legati, ducati cinquecento d’oro larghi, ed alle figliuole femine in detto caso di morte mia sanza figliuoli maschi o di morte di detti figliuoli in etá pupillare, lasciai per una, computata la valuta del Monte, per dota fiorini dumila di suggello contanti, con la medesima facultá di accrescere a’ tutori ed esecutori e con altre condizione le quali appariscono per mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo rogato del testamento sotto detto dí. Tutori lasciai la Maria mia donna stando vedova, e doppo lei e’ miei fratelli ed Averardo Salviati nel modo che si contiene in detto testamento.
Ricordo detto di come insino a dí 28 di aprile 1520 a ore 21 ½ vel circa la Maria mia donna partorí dua figliuole femmine; alla prima si pose nome Lisabetta e Margherita, alla seconda Maddalena e Piera; tennonle a battesimo le monache delle Murate, Guglielmo di Francesco Nettoli e Francesco di Bernardo Puccini. Morí la detta Maddalena a dí..... Fecesi la dota alla Lisabetta.....
Ricordo questo dí primo di luglio come insino a dí 4 di settembre 1520 io comperai da madonna Papera figliuola giá di Carlo Girolami e donna fu di Alessandro Galilei, la metá sua per indiviso di uno podere ha comune con Galileo Galilei, con prezzo di fiorini cinquecentosessanta d’oro larghi a mia gabella, da pagarli di presente fiorini 60 d’oro larghi ed el resto in sei mesi prossimi, con condizione che per sodo di detti beni e’ fiorini 500 d’oro larghi subito che si pagassino s’avessino a rinvestire in Monte dí 3, 4 e 7 per cento, ed in capo di anni sei s’avessino a rinvestire nel medesimo modo gli altri ducati 60, e con piú altre condizione che appariscono per instrumento rogato detto di da ser Andrea Carani notaro fiorentino; e perché questi beni sono parte del medesimo podere che io tolsi a fitto da Galileo e furono giá di Carlo Girolami, e da lui lasciati doppo la morte delle sue figliuole a Bernardo Quaratesi e suoi eredi, io ebbi copia di quella parte del testamento e codicilli di Carlo ed informá’mi delle difese che vi erano; e cosí una nota di altri beni di detta madonna Papera, le quale cose scritte di mia mano sono legate insieme con lo instrumento della compera avuto in publico da ser Andrea predetto.
Pagossi in sul contratto fiorini sessanta; ed a dí 26 di marzo 1521 pagoronsi a madonna Lucrezia donna di Larione Nardi sua erede per la terza parte fiorini 166, s. 13, d. 4 d’oro e per lei si messono in deposito al monastero della Badia di Firenze con certe condizione come apparisce instrumento sotto di detto per mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo. Ed a dí primo di luglio 1521 fiorini 166, s. 13, d. 4 d’oro a madonna Margherita donna di Mattio Cini sua erede per la terza parte, come appare per instrumento rogato da Maccallo in dí 14 di giugno 1521. Ed a dí 14 di aprile 1522 fiorini 166, s, 13, d. 4 d’oro in piú volte a madonna Maria donna di Francesco Rondinelli sua erede per un altro terzo, dei quali per sodo mio comperò crediti di Monte dí 7 % e gliene pagorono Rede di Piero Guicciardini e C.i setaiuoli de’ danari miei avuti per me da Iacopo Guicciardini.
Ricordo questo di come insino a dí 24 di settembre 1520 Luigi, Iacopo, Bongianni, Girolamo miei fratelli ed io facemo insieme con Guglielmo Nettoli compagnia nuova della seta con corpo di fiorini 6300 d’oro larghi, con patto si intendessi cominciata insino a dí 15 di luglio 1520 e durassi per tutto dí 15 di luglio 1523 e che la messa mia fussi di ducati tremila cinquecento d’oro larghi; e con patto che a Guglielmo toccassi soldi 3, denari 4 per lira ed el resto si dividessi tra noi a lire e soldi secondo la rata delle nostre messe, e con altri patti e condizione che appariscono sotto detto dí per una scritta sottoscritta dalle parte. Messi detti fiorini 3500 per la parte mia in questo modo, cioè.....
Ricordo questo di primo di luglio 1527 come io donai insino a dí 3 di octobre 1520 alla Simona, Lucrezia, Laudomina, Lisabetta e Maddalena mie figliuole ed a qualunque altra mi nascessi, ducati trecento d’oro larghi per una da pagarsi quando si mariteranno, in caso però che allora non restassino di me figliuoli maschi, e con facultá di potere revocare tale donazione a ogni mio beneplacito, ed ancora che si intenda subito revocata in quanto a quella che io maritassi, e con altre condizione di che apparisce instrumento rogato detto di per mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo; le quali donazione feci perché trovandomi piú facultá che io non avevo al tempo che io feci testamento, mi parve conveniente provederle di maggiore parte.
Ricordo questo dí primo di luglio 1527 come insino a dí 18 di gennaio 1519 io messi in mano di Averardo e Batista Salviati e C. fiorini mille d’oro larghi perché me gli cambiassino a suo rischio mercantilmente e per la prima e con doppia provisione. Renderonmi conto de’ detti danari e cambi insino a dí.....
Ricordo detto di come per insino a dí 12 di luglio 1521 io fui mandato dalla Santitá di papa Leone commissario generale dello esercito della Chiesa contro a’ franzesi, con provisione di ducati dugento d’oro larghi el mese, ed in luogo mio al governo di Reggio e Modena sustitui’ durante la assenzia mia Iacopo mio fratello, riserbandomi del salario di detti governi ducati 40 d’oro larghi netti ogni mese.
Ricordo detto di come per insino a dí 27 di novembre 1521 essendo io in Milano col reverendissimo messer lidio cardinale de’ Medici, fui mandato da Sua Signoria reverendissima al governo di Parma nuovamente recuperata, el quale governo ritenni insino a dí 19 di dicembre 1522 e vi ebbi di provisione ducati 100 d’oro al mese, ritenendo ancora per detto tempo la provisione de’ governi di Modena e Reggio.
Ricordo questo di soprascritto come insino a dí 20 di marzo 1522 Iacopo Guicciardini mio fratello comperò in nome mio da Antonio di Giovanni Taddei una possessione con casa da signore e con dua poderi posta in Mugello nel popolo di Santa Maria a Chiassi, luogo detto Finocchieto, per prezzo di ducati dumila ottocento d’oro larghi a mia gabella, con patto che di trecento s’avessi a stare a sodo di Antonio predetto, e ducati dumila cinquecento s’avessino a depositare perché stessino per mia sicurtá parte in Santa Maria Nuova e parte in mano di Taddeo e Gherardo Taddei per rinvestirgli di poi in beni sodi e in Monti di tre, quattro e sette per cento che stessino per sicurtá di detta compera, ed altre condizioni come tutto apparisce per mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo sotto detto dì..... Pagossi a Andrea Ardinghelli per senseria di detta compra, ducati quindici, s. dieci d’oro larghi, ed a dí 20 di aprile 1522 ducati 196 per gabella di detti beni a Simone Rondinelli camerario a’ contratti a c. 27. Pagoronsi detti danari, cioè ducati 300 d’oro larghi a Antonio in sul contratto e ducati milledugento d’oro larghi a Taddeo e Gherardo Taddei a dí 4 di maggio 1523, ed a dí 5 di maggio 1523 si depositorono ducati milletrecento in Santa Maria Nuova, come apparisce a libro verde di Santa Maria Nuova segnato N a c. 326; e di poi detti Taddei avendo prima sborsato con voluntá mia ducati 30 d’oro larghi a Antonio Taddei per uno bosco comperato da lui da Cai vano Gucci che mi fu in sul contratto ipotecato, depositorono el resto sotto le medesime condizione, cioè ducati 1170 in Santa Maria Nuova come apparisce al libro bianco di detto spedale segnato I a c. 259.
Ricordo questo di soprascritto come io ho messo in piú volte in mano di Francesco di Guglielmo Nettoli, cominciando insino del mese di..... 1523, ducati novecento ottantacinque s. d’oro larghi perché gli incetti per me a mezzo e danno, ed alla restituzione di detto capitale ed utili che mi toccassino è obligato Guglielmo suo padre, come apparisce per sua lettera sotto dí 8 di marzo 1523. Disdissi dette faccende per non mi satisfare né la qualitá di esse né la persona insino a di.,,,, A dí 24 di ottobre 1527 per uscirgli di mano accordai seco che lui si contassi tutta la ragione, ed a me oltre al capitale dessi di guadagno ducati cento d’oro larghi; in modo che computato ducati 700 d’oro larghi pagati prima per me a Girolamo mio fratello, e ducati 56, s. 8, d. 3 che io gli feci buoni per tutti avuti da lui, restai suo creditore di ducati 330 d’oro larghi de’ quali sono stato pagato interamente.
Ricordo questo di soprascritto come insino a dí 3 di..... 1523 venendo el duca di Ferrara a campo a Modena dove io mi trovavo governatore, pensando io a’ casi che potessino succedere, donai alle figliuole mie tutti e’ beni di Finocchieto comperati da Antonio Taddei, con certe condizione ed in spezie che la Maria mia donna vi avessi su..... come appare per instrumento rogato per mano di ser Giovali Batista da Festa notaro modonese sotto detto dí, e detto instrumento è registrato al memoriale di Modena ed io n’ho lo autentico in buona forma.
Ricordo questo di primo di luglio come insino a dí 23 di gennaio 1523 io comperai da Giannozzo e Carlo di Niccolò Ridolfi una casa da signore con uno podere posto in Val di Pesa nel popolo di Poppiano in luogo detto al Poggio, per prezzo di fiorini milleottocento d’oro larghi, da pagarsi allora fiorini 1500 ed el resto in capo di tre anni e con condizione che in termine di tre anni potessino riscuoterlo ogni volta a loro piacimento; e riscotendolo, che in termine di dieci anni prossimi non potessino venderlo a altri che a me; e contrafaccendo si intendessi sempre venduto a me per el prezzo medesimo, come di tutto appare contratto rogato per mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo sotto detto dí. Riscossone detti beni insino a dí..... come appare per instrumento rogato per mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo.
Ricordo detto di come per insino a dí..... di..... 152..
io partí’ dal governo di Modena e Reggio chiamato a Roma dalla Santitá di papa Clemente e da lui mandato presidente di Romagna con la medesima provisione di ducati 160 d’oro larghi el mese, ma con estraordinari grandissimi, ed espedito da Sua Santitá entrai in provincia a dí 6 di maggio 1524. Tenni detta presidenzia parte standovi in persona, parte tenendovi persustituto Iacopo mio fratello per insino a dí 4 di luglio 1527 e vi avanzai lecitissimamente in tutto ducati.....
Ricordo questo di come per insino a dí primo di luglio 1524 fu fatta nuova convenzione sotto nome di accomandita tra Iacopo, Girolamo miei fratelli ed io da una parte, e Giovanni di Domenico Vernacci ed Agnolo di Iacopo Guicciardini da altra, per seguitare la ragione di Anversa, da cominciare a di primo di agosto 1524 e durare anni tre prossimi, con patto dicessi in Agnolo Guicciardini e Giovanni Vernacci e C.i ed avessi di corpo ducati 7000 d’oro larghi, de’ quali io messi ducati 1500 d’oro larghi per la mia parte, ed Iacopo e Girolamo insino in fiorini 5600, e con patto che la tratta di noi tre fussi di s. 13, d. 9 25/27 per lira, la quale si dividessi tra noi tre a lira e soldi secondo la rata delle messe; e con altri patti che appariscono per una scritta sottoscritta di mano di dette parte. Prorogossi per insino a dí primo di agosto 1530.
Ricordo questo di soprascritto come insino a dí 21 di gennaio 1525 dovendo io andare a Roma chiamato dalla Santitá di papa Clemente, e restando sustituto per me in Romagna Iacopo Guicciardini mio fratello, convenni insieme come apparisce per una scritta sottoscritta di sua mano, che nel tempo vi starebbe per me mi pagherebbe ogni anno ducati 2000 d’oro larghi, ed in caso che tra ordinari ed estraordinari la utilitá del presidentato passassi l’anno ducati 4000, che tutto quello piú si dividessi tra lui e me per metá. La metá mia del primo anno, cioè dal primo di febraio 1525 per tutto gennaio 1526, secondo che lui m’ha dato conto, importa fiorini 2120, s. 7, [d.] 6, de’ quali mi resta debitore di ducati 330 d’oro larghi come apparisce per uno conto di sua mano.
Ricordo questo di soprascritto come trovandomi io a dí 29 di gennaio 1525 per el cammino di Roma in Firenze, feci testamento in Badia di Firenze rogato per ser Pier Francesco di ser Maccallo, nel quale lasciai per lo amore di Dio ducati 300 d’oro larghi da distribuirsi per e’ Buoni Uomini di San Martino, ed alla Maria mia donna in caso si rimaritassi, oltre alle dote sue, ducati 600 d’oro larghi, ed in caso stessi vedova, le veste, gioie, catene ed altre cose da portare a uso suo e lo usufrutto di tutti e’ beni immobili che ho in Val di Pesa, ed in caso fussi riscosso el podere del Poggio, che avessi in luogo di quello ogni anno ducati 50, ed el simile se gli altri fussino evicti, che avessi altrettanta entrata. Alle figliuole femmine in caso che io avessi figliuoli maschi lasciai oltre la dota del Monte, fiorini dumila di suggello per una e quello piú che paressi a’ tutori, e se alcuna si faceva monaca solo ducati 300 d’oro larghi; ma non avendo figliuoli maschi o morendosi, lasciai a’ mia fratelli e loro figliuoli ducati dumila d’oro larghi in caso che nella ereditá fussi mobile di valuta di ducati 13 mila d’oro e con condizione che molestando la Maria nel suo usufrutto fussino privati del legato; e finito el suo usufrutto lasciai loro el podere di Lucignano e della Massa con Fichereto per satisfazione del fideicommisso di Piero nostro padre e di quello che potessino domandare. Eredi lasciai le figliuole, ed in caso che alcuna si monacassi avessi solo fiorini 500 d’oro e doni competenti e la metá della parte sua e di quelle che morissino andassi per la metá alle altre e per l’altra metá a’ miei fratelli, in caso che a ciascuna delle fendile restassino beni per cinquemila ducati, altrimenti andassi tutta a loro. Tutori lasciai la Maria, e finita la tutela sua e’ miei fratelli ed Averardo Salviati, con condizione che quello che facessi Averardo ed uno di loro fussi solido; mancando Averardo sustituí’ in luogo suo Iacopo Salviati e mancando lui Piero Salviati.
Ricordo questo di come insino a dí 7 di giugno 1526 io partí’ di Roma per andare in campo in Lombardia, luogotenente della Santitá di papa Clemente nella guerra contro a Cesare; non mi fu statuita allora provisione alcuna che fu lasciato in mia discrezione; ma di poi Sua Santitá per suo breve mi ha assegnato ducati 240 di camera el mese. Stetti in campo a servizio di Sua Santitá insino a tutto maggio 1527 e di poi insino a dí 29 di giugno 1527 vi soprastetti contro a mia voluntá per conto de’ dieci.
Ricordo questo dí 6 di agosto 1527 come io ho comperato questo dí da madonna Caterina donna di Gabriello da Luziano e da madonna Papera donna di Bartolomeo Ciacchi figliuole di Francesco di Piero del Tovaglia, le quali mi hanno venduto come eredi di Agnolo del Tovaglia, una casa da signore posta apresso a Santa Margherita a’ Montici, con uno podere a piede posto in detto popolo, e con un altro podere allato a quello posto nel popolo di Santo Miniato, e’ quali beni furono di Agnolo di Piero del Tovaglia, e chiamasi volgarmente el luogo del Tovaglia, per prezzo di ducati tremila cento d’oro larghi a mia gabella, e di piú fuora del contratto promessi donare loro ducati 25 d’oro larghi, el quale prezzo s’abbia a pagare in questo modo: cioè e’ fiorini 25 immediate, e di presente fiorini mille avendo cessione delle ragione sue dotale da madonna Gostanza donna fu di Agnolo del Tovaglia e da certi altri creditori; el resto del prezzo fra sei mesi prossimi, con condizione che non lo pagando fra dua altri mesi prossimi sia in potestá loro fra quattro altri mesi rendendomi e’ miei danari ripigliarsi la possessione, e de’ quali s’abbino a pagare fiorini 800 d’oro larghi a quelli creditori di Agnolo che loro diranno ricevendo la cessione dei suoi crediti, e mille ducati si abbino a depositare in sul ceppo di Francesco di Marco da Prato o in su uno o piú cittadini eletti da noi, ed in caso di discordia dagli uficiali del Monte, che vi stiano tanto che cogli utili abbino fatto la somma di ducati 1600 d’oro, che s’abbino a rinvestire per mio sodo in beni immobili, e che fiorini 300 d’oro larghi che aveva di mio Agnolo in su detti beni si computino nel prezzo. Ed oltre a’ sodi predetti, Battista ed Antonio figlioli di Francesco del Tovaglia si obligorono alla difesa in forma pienissima, perché in fatto le sorelle hanno solo el nome di erede, e con patto che per tempo terrò in mano e’ danari predetti paghi loro a ragione dí 4 per cento l’anno, come di tutto è carta di mano di ser Pier Francesco di ser Maccallo sotto detto di’. Pagoronsi a dí 9 di agosto e’ fiorini 25 a Antonio del Tovaglia e si depositorono fiorini mille d’oro larghi in sul banco di Domenico Giugni e Cd ed el resto si pagò come appare in questo a c. io.
Hassi a sapere per mia sicurtá come Agnolo del Tovaglia sotto dí 14 ottobre 1522 si obligò alla restituzione della dota di madonna Camilla moglie fu di Francesco del Tovaglia, di fiorini 800 larghi di grossi, e nel medesimo contratto rogato da ser Bernardo Gamberelli, lui e Giovambatista ed Antonio figliuoli di detto Francesco gli consegnorono in pagamento el podere di sotto, ed a dí 23 di maggio 1528 depositai nello spedale del Ceppo di Prato e’ ducati 1000 d’oro larghi come apparisce al loro giornale segnato Q a c. 69.
Ricordo questo dí 13 di settembre 1527 come io vedendo ogni cosa in pericolo, parte per e’ travagli del mondo, parte per gli umorí di Firenze, ho donato la casa e beni sopradetti comperati dalle figliuole di Francesco del Tovaglia, alla Simona, Lucrezia, Laudomina e Lisabetta mie figliuole, di che è rogato ser Pier Francesco di ser Maccallo sotto detto dí.
Ricordo questo di primo dí gennaio 1527 come insino a dí 22 di ottobre 1524 io détti a Girolamo Guicciardini mio fratello fiorini milleottocentonovantuno, soldi 11, d. 5 d’oro ed ordinai che da’ Salviati gli fussino messi in mano e’ danari che avevano di mio, che insieme con altri che gli verrebbono di mio in mano gli cambiassi ed esercitassi per me a tutto mio utile e danno come a lui paressi, e cosí di mano in mano gli volsi molte quantitá di danari, ed all’incontro ne trassi piú quantitá secondo che alla giornata mi occorreva, e secondo el conto che lui mi dá, tenuto per el suo libro nuovo, in detto di essere mio debitore di ducati novemila novecento trentasei, soldi 18, danari 1 d’oro, sanza gli avanzi fatti, quali, secondo mi disse, possono essere circa a ducati dumila d’oro larghi che ancora non gli ha saldati. Saldai el conto con lui e di questi ed altri danari avuti e spesi giornalmente per conto mio, e mi valsi di tutto quello aveva di mio in mano, come appare a Ricordanze in questo a c. 169 ed in questo a c. 47 nel conto corrente.
Ricordo questo dí 4 di gennaio 1527 come io sono convenuto questo di con Piero figliuolo di ser Francesco di Neri da Pulica in nome suo proprio e come procuratore di ser Francesco suo padre e di Neri suo fratello, e di madonna Fiammetta sua madre, della quale procura è rogato ser Michele da Barberino sotto di primo di gennaio 1527, che loro promettono vendermi a ogni mia requisizione in termine da oggi a tre mesi uno podere loro posto in Mugello nella podesteria di Barberino in luogo detto al Pulica, quale si chiama el podere di Mezza Costa, per prezzo di ducati 400 d’oro larghi, con patto che io debba sborsare loro di presente ducati centocinquanta d’oro larghi, e’quali in caso che io non voglia che la vendita vadia inanzi, mi abbino a restituire in termine di mesi cinque prossimi futuri, e volendo io che abbia effetto, abbia a sborsare el resto del prezzo a tempo mi faranno lo instrumento quale sono obligati fare a senno del savio mio, e con altri patti e condizione che appariscono per una scritta privata di mano di Piero predetto sottoscritta di tre testimoni.
Comperai detto podere a dí 18 di marzo per detto prezzo a mia gabella con gli oblighi di ser Francesco di madonna Fiammetta e di Piero e Neri suoi figliuoli emancipati; fecemi detta vendita ser Iacopo. procuratore sustituto da Piero detto, e ne fu rogato ser Michele da Barberino, ed el dí sequente pagai a detto ser Iacopo e Neri per resto di detto prezzo fiorini 167, 9, 2, in contanti a loro medesimi, e prima avevo pagati in contanti a Piero fiorini 149, s. 10, d. 10 d’oro e promesso a’ contratti per loro fiorini 83 d’oro larghi, che tutto è lo intero di detto prezzo.
Ricordo questo di soprascritto come insino a dí 7 di marzo 1523, Luigi, Iacopo, Bongianni e Girolamo miei fratelli ed io dividemo le case nostre di villa e di Firenze che sole ci restavano in communione, della quale divisa fu rogato sotto di detto ser Pier Francesco di ser Maccallo, e per virtú di essa toccò a me la metá per indiviso con Bongianni di quella parte della casa di Poppiano che fu giá di messer Luigi e poi di messer Rinieri Guicciardini, le quale ci fu stornata per fiorini 670 d’oro, e del resto, cioè da fiorini 335 insino a fiorini 983 che mi toccavano per la parte mia, fu condannato Luigi mio fratello a darmi in certi tempi fiorini 133, s. 10 d’oro, e Girolamo fiorini 514, s. 10 d’oro. La causa perché non ebbi casa in Firenze fu perché d’accordo lasciamo a Girolamo nostro la casa grande che era stata di Piero nostro padre per fargli avere per donna la Gostanza, figliuola che fu di Agnolo de’ Bardi, che aveva grossa ereditá ed era contenta maritarsi a Girolamo se avessi casa in Firenze, e perché non vi era tempo a provedersi di altra casa, per non tôrre a Girolamo quella ventura io fui contento, e cosí confortai gli altri miei fratelli a cedergliene, nonostante che io fussi sanza casa e per le facultá ed altre condizione che avevo mi stessi molto bene.
Ricordo questo dí 4 di febraio 1527 come insino a dí..... di maggio prossimo la Maria mia donna con tre delle mie figliuole andò a Vinegia per fuggire e’ pericoli delle cose di Firenze, di mia commissione che andavo in campo. Stettevi insino a dí..... di poi si fermò a Castrocaro, ed infino a dí..... e si condusse a Finocchieto a dí..... Truovo che nelle spese del vitto, vetture e barche per condursi e pel ritorno, spese’ fiorini trecentotrentuno, soldi diciassette, danari undici d’oro9 de’ quali parte spese per lei Girolamo, parte spese lei de’ danari aveva di mio in mano, e parte spesi io di contanti, e questo sanza fiorini 47, s. 2, d. 9 d’oro che spese per lei Girolamo in Vinegia in dua catene d’oro ed in panno azzurro per vestire lei e le fanciulle; e sanza danari contanti spesi per lei in salari ed altre cose che furono.
Ricordo questo dí 4 di febraio insino l’anno 1524 essendo io in Romagna presidente, feci per uso mio fare gli infrascritti argenti, cioè dua piatti grandi, otto piatti alla franzese, quasi in forma di scodelle, dodici scodelle, diciotto scodellini, tondi trenta, saliere quattro, candellieri tre, e’ quali si feciono in dua volte, e la prima volta si comperò da Ruberto de’ Ricci e C.‘ libbre 74, o. 11, d. 3 d’argento pesato al saggio a lega di once undici, denari venti, che ridotto a lega di o. 11 e 1/2 come s’ha a pagare, fu la somma di libbre 77, d. 9 e gr. 2 che si comperò parte a fiorini 8, s. 15 d’oro la libbra, parte a fiorini 8, s. 13 d’oro la libbra; costò in tutto fiorini 674, s. 17, d. 11 d’oro. Al quale ridotto a lega di once 11, che cosí s’hanno a rendere gli arienti fatti, si aggiugne libbre 366 d. 10, gr. 10 e di piú fiorini 11 d’oro larghi per doratura di detti argenti, che sono once una, d. nove. Monta tutta la somma ridotta come di sopra libbre 80, 0.8, d. 5, di che si lascia allo orafo per calo del lavoro a ragione di d. 6 per libbra come è solito, libbre 1, 0.7, d. 9, e di piú gli restò in mano, che me gli ha fatti buoni, libbre 1, 0.5, d. 9; in modo che el peso di detti pezzi fatti la prima volta, che furono candellieri 3, saliere 4, piatti grandi 2, piatti alla franzese 8, scodelle 8, scodellin10 12, tondi 24, in tutto pezzi 61, ridotto a lega come di sopra, e di piú uno cucchiaio piccolo e 2 ghiere con una guaina, restò libbre 77, 0.7, d. 11; oltre al primo costo di fiorini 674, 17, 11, vi si aggiugne ducati undici d’oro dati all’orafo per costo dell’oro per dorare. E di piú per la fattura di detti argenti fiorini 57, s. 3, d. 7 d’oro pagati a Antonio orafo, cioè per fattura di libbre 7, 0.4, che tanti pesorono 4 saliere e 3 candellieri a lire 6 la libbra, ed el resto a lire 5 la libbra e di piú lire 5 piccoli per la.....11 di uno bacino e misciroba d’argento, che in tutto somma fiorini 743, s. 11, d. 8, di che s’ha a trarre fiorini 12, s. 7 d’oro avuti da Antonio orafo per libbre 1, 0.5, d. 9 d’argento che gli era restato in meno di ariento a fiorini 8, s. 7 la libbra. Ridotti a lega come di sopra, pesano libbre 77,0. 7, d. 11 che in tutto con la fattura montano fiorini 730, o. —,d. 3. E piú la seconda volta feci fare tondi 6 d’argento, 4 piatti alla franzese e scodellini 6, in tutto pezzi 16, per e’ quali si comperò da Ruberto de’ Ricci e C.i libbre 18, 0.6, d. 18, gr. 14 ridotto a lega di o. 11 e 1/2 a fiorini 8, 13, 4 d’oro la libbra. Montò in tutto fiorini 161, 3, 11, d’oro. Al quale ridotto a lega di once 11, che cosí s’hanno a rendere gli arienti fatti, 0.9, d. 12 di rame, che in tutto monta libbre 19, o. 4, d. 6, gr. 14, e di piú d. 7 per doratura di detti arienti, che sono fiorini 2, 0.6, d. 8 d’oro. Lasciossi all’orafo per calo di detto lavoro 0.4, d. 12 a ragione di d. 6 per libbra come è usanza, e gli avanzò libbre 1, 0.1, d. 1, gr. 14, che si vendè a fiorini 8, s. 7 d’oro larghi che montò fiorini 9, 1, 11 d’oro. El sopradetto argento a lega di o. 11, pesò in tutto al saggio, libbre 17, o. 11, per manifattura del quale si dette allo orafo fiorini 12, 15, 11 d’oro a ragione di lire 5 piccoli la libbra. Costo[ro]no e’ sopradetti pezzi 16 in tutto fiorini 167, 4, 7.
E’ sopradetti arienti, in tutto pezzi 77, cioè dua piatti grandi, scodelle dodici, piatti otto alla franzese, scodellini diciotto, tondi trenta, saliere quattro, candellieri tre, di peso in tutto ridotto a lega come di sopra e pesato al saggio, di libbre 95, 0.6, d. 11, costorono in tutto fiorini ottocentonovantasette, s. quattro, d. dieci d’oro.
E piú in detto tempo per uso della Maria che aveva a venire in Romagna si comperò da Zanobi del Bianco e Bartolomeo da Empoli e C.i banchieri, uno bacino ed uno misciroba d’argento fatto di peso di libbre 6, 0.7, d. 9, per fiorini 8 la libbra e piú fiorini 1 e 1/2 d’oro d’avantaggio; costò in tutto fiorini 54, s. 8, d. 4 d’oro, e per la brunitura come di sopra s. 14, d. 3 d’oro. Costò in tutto detto bacino e misciroba fiorini cinquantacinque, s. dua, d. sette d’oro.
E piú insino l’anno 1521 essendo io commissario generale nel campo di Parma si comperò per uso mio uno bacino d’argento da barbiere di peso di libbre 7, 0.9, d. 21, gr. 5 d’argento fino; costò in tutto fiorini settanta d’oro larghi, s. sedici, d. tre d’oro.
E più insino l’anno 1516 comperai da Giovanni Bandini tazze sei d’argento di peso di libbre. costoronmi in tutto fiorini settantasette, s. 18 d’oro.
E più insino l’anno..... comperai da Ghino Guicciardini tazze 6 d’argento che erano state di Girolamo suo fratello, di peso. costoronmi in tutto.....
Truovomi oltre a questi uno bacino ed una misciroba d’argento di peso..... quale insino l’anno 1516 mi fu donata dalla comunitá di Modena; stimolo di valuta in tutto.........
E piú mi truovo una tazza d’argento donatami insino l’anno. dalla medesima comunitá, di peso..... stimola in tutto di valuta.....
E piú uno tazzone d’argento donatomi insino l’anno 1526 dalla comunitá di Parma di peso..... stimola in tutto di valuta.....
E piú una tazza d’argento donatami l’anno medesimo da messer Ieronimo Tagliaferro da Parma di peso..... stimola in tutto di valuta.....
E piú una secchiolina da acqua benedetta d’argento che è della Maria mia donna, donatami insino l’anno 1513 insieme con altri argenti dal re don Ferrando d’Aragona, di peso..... stimola in tutto di valuta.....
E piú nappi 2 d’argento donatimi l’uno insino l’anno..... da Piero Dei; l’altro insino l’anno..... dagli otto della balia al battesimo della Lucrezia mia figliuola, di peso in tutto di libbre..... stimogli in tutto di valuta.....FRANCESCO GUICCIARDINI
A SE STESSO.
In Spagna l’anno 151312.
Francesco, la etá in che tu se’ ora mai, avendo giá finito e’ trent’anni, la grandezza di molti ed infiniti benefici che tu medesimo ricognosci avere ricevuti da Dio, lo essere di tanto intelletto che tu conosci la vanitá di questa vita, quanto e’ cattivi debbono temere ed e’ buoni sperare della futura, ti doverrebbono ridurre in uno modo di vivere che tu doverresti deliberarti di volere procedere come si conviene alle ragione sopradette, e come si apartiene non a uno fanciullo e giovane ma a uno vecchio. E poi che Dio t’ha dato grazia che nelle cose del mondo la patria ed e’ cittadini tua ti hanno deputato liberamente ed ordinariamente a gradi ed esercizi sopra la etá e li anni tua, e la divina grazia vi t’ha insino a oggi conservato drento con piú reputazione e gloria che tu non meriti, debbi anche nelle cose divine e spirituali accommodarti a questo medesimo maneggio, e fare tale opere che Dio per sua benignitá ti abbi a dare quella parte in paradiso che tu medesimo desideri nel mondo. E certo la vita ed e’ costumi tua non sono stati insino a oggi degni di uno uomo nobile, figliuolo di buono padre, allevato da piccolo santamente, né di quella prudenzia che tu giudichi in te, né vi puoi sanza grandissima vergogna almeno teco medesimo, perseverare.
Note
- ↑ In margine: uno ducato ed una oca per ognisanti.
- ↑ In margine: una candela pro forma.
- ↑ In margine: ducati quattro l’anno.
- ↑ In margine: mancia di otto grossoni per ognisanti e dodici per pasqua.
- ↑ In margine: uno paio di capponi l’anno.
- ↑ Nella prima pagina del codice che contiene queste ricordanze l’A. scrisse:
iesus mdxxvii
Al nome di Dio e della sua gloriosissima Madre vergine Maria e di santo Tommaso di Aquino e di tutta la corte celestiale, che mi diano grazia che io faccia le mie faccende con salute della anima ed utilitá del corpo.
Questo libro è di messer Francesco di Piero Guicciardini e chiamas. Debitori e Creditori segnato A, e si comincia a scrivere al primo di luglio 1527 perché gli altri libri che io avevo cominciati per el passato gli ho lasciati indrieto non avendo potuto continuargli per lo essere stato undici anni continui fuora.
Da carte 3 a carte 150 sará Debitori e Creditori.
Da carte 150 alla fine sará Ricordanze. - ↑ In margine: Ebbi a rifare Bongianni di lire 346, s. 16, d. 5.
- ↑ In margine: Aggiunsonsi al prezzo venti ducati piú per conto si raccomandò Galileo in sul fare il contratto.
- ↑ In margine: e piú fiorini 1, s. 18 d’oro in vetture.
- ↑ Il testo ha scodelle.
- ↑ Parola d’incerta lettura.
- ↑ La datazione è di mano dell’A. ma di carattere e inchiostro diverso da quello del testo.