< Rime (Andreini)
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Sonetto XXXI
Canzone II Sonetto XXXII

SONETTO XXXI.

 

E
Qual fora giamai sì duro, e scabro

Cor, che non l’ammollisse il guardo pio
     Del mansueto, e vago Idolo mio
     Del mio dolce languir sì dolce Fabro?

     Il volto di ligustri, e di cinabro
     Asperso cui non arde? e qual sent’io
     Destarsi in me d’amor nobil desio
     Dal gentil riso, e dal vermiglio labro?
Anzi de la bell’alma, che s’honora
     Sol di se stessa il moto, ed ogni detto
     Con piacer singolar l’alme innamora.
Beato il giorno, e fortunata l’hora,
     Ch’Amor dolce per lui m’aperse il petto,
     Felice il cor, che la sua Imago adora.

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