< Rime (Berni)
Questo testo è completo.
Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LIX. Sonetto del Bernia [Dell'anticaglie e de' suoi parenti]
LVIII. Al Cardinale Ippolito de' Medici LX. Capitolo a Messer Baccio Cavalcanti sopra la gita di Nizza


Non vadin più pellegrini o romei
la quaresima a Roma alle stazzoni,
giù per le scale sante ginocchioni,
4pigliando l’indulgenzie e i giubilei;
 
né contemplando li archi e’ colisei,
e’ ponti, li acquedutti e’ settezzonî,
e la torre ove stette in doi cestoni
8Vergilio, spenzolato da colei.
 
Se vanno là per fede o per desio
di cose vecchie, vengan qui a diritto,
11ché l’uno e l’altro mostrerò lor io.
 
Se la fede è canuta, come è scritto,
io ho mia madre e due zie e un zio,
14che son la fede d’intaglio e di gitto:

  paion gli dèi d’Egitto,
che son de gli altri dèi suoceri e nonne
17e fûrno inanzi a Dëucalïonne.

  Gli omeghi e l’ipsilonne
han più proporzïon ne’ capi loro
20e più misura che non han costoro.

  Io li stimo un tesoro
e mostrerògli a chi gli vuol vedere
23per anticaglie naturali e vere.

  L’altre non sono intiere:
a qual manca la testa, a qual le mani;
26son morte e paion state in man de’ cani.

  Questi son vivi e sani
e dicon che non voglion mai morire:
29la morte chiama et ei la lascian dire.

  Dunque chi s’ha a chiarire
dell’immortalità di vita eterna,
32venga a Firenze nella mia taverna.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.