< Rime (Berni)
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LVI. Capitolo di Gradasso [Al Cardinale Ippolito de' Medici]
LV. Capitolo del debito LVII. Capitolo al Cardinale de' Medici


Voi m’avete, signor, mandato a dire
che del vostro Gradasso un’opra faccia:
3io son contento, io ve voglio ubedire.
 
Ma s’ella vi riesce una cosaccia,
la vostra signoria non se ne rida
6e pensi ch’a me anco ella dispiaccia.
 
Egli è nella Poetica del Vida
un verso, il qual voi forse anco sapete,
9che così a gli autor moderni grida:
 
"O tutti quanti voi che componete,
non fate cosa mai che vi sia detta,
12se poco onor aver non ne volete;
 
non lavorate a posta mai né in fretta,
se già non sète sforzati e constretti
15da gran maestri e signori a bacchetta.
 
Non sono i versi a guisa de farsetti,
che si fanno a misura, né la prosa,
18secondo le persone, or larghi or stretti.
 
La poesia è come quella cosa
bizzarra, che bisogna star con lei,
21che si rizza a sua posta e leva e posa".
 
Dunque negarvi versi io non potrei,
sendo chi sète; e chi li negarebbe
24anco a Gradasso mio, re de’ pigmei?
 
Che giustamente non s’anteporrebbe
a quel gran serican che venne in Francia
27per la spada d’Orlando e poi non l’ebbe?
 
Costui porta altrimenti la sua lancia:
non pesarebbe solo el suo pennacchio
30la stadera dell’Elba e la Bilancia.
 
Con esso serve per ispaventacchio,
anzi ha servito adesso in Alamagna,
33a turchi, ad altri: io so quel ch’io mi gracchio.
 
È destro, snello, adatto di calcagna
a far moresche e salti; non è tale
36un grillo, un gatto, un cane et una cagna:
 
in prima il periglioso e poi il mortale;
non ha tante virtù ne’ prati l’erba
39betonica quante ha questo animale.
 
La ciera verde sua brusca et acerba
pare un viso di sotto, quando stilla
42quel che nel ventre smaltito si serba.
 
La sua genealogia chi potria dilla?
Io trovo ch’egli uscì d’un di quei buchi
45dove abitava a Norcia la Sibilla.
 
Suo padre già faceva i porci eunuchi
e lui fé dottorar nel berrettaio
48per non tenerlo in frasca come i bruchi.
 
Nacque nel duo di qua dal centinaio,
et è sì grande ch’io credo che manchi
51poca cosa d’un braccio a farli un saio.
 
Se si trovava con la spada a i fianchi
quando i topi assaltaron li ranocchi,
54egli era fatto condottier de i granchi.
 
E certo li somiglia assai ne gli occhi
e nella tenerezza della testa,
57che va incontro alle punte de li stocchi.
 
M’è stato detto di non so che festa
che voi gli fate quando egli è a cavallo,
60se così tosto a seder non s’appresta:
 
fate dall’altra banda traboccallo
a capo chino; e par che vadi a nozze,
63sì dolce in quella parte ha fatto il callo.
 
Così le bestie non diventon rozze,
ché ve le mena meglio assai ch’a mano,
66e parte il gioco fa delle camozze;
 
un certo gioco, ch’i’ ho inteso, strano,
che si lascion le matte a corna innanzi
69cader da gli alti scogli in terra al piano.
 
State cheti, poeti di romanzi;
non mi rompa la testa Rodomonte,
72né quel Gradasso ch’io dicevo dianzi;
 
Buovo d’Antona e Buovo d’Agrismonte
e tutti i paladin farebbon meglio,
75poi che sono scartati, andare a monte.
 
Questo è della Montagna el vero Veglio,
questo solo infra tutti pel più grasso
78e per la meglio robba eleggo e sceglio.
 
Più non si dica il serican Gradasso:
questo cognome omai si spegne e scorcia,
81come la sera il sol, quando gli è basso:
 
viva Gradasso Berrettai da Norcia.

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