< Rime (Cavalcanti)
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Guido Cavalcanti - Rime (XIII secolo)
Appendice
Riassunto estetico Errata - corrige

APPENDICE



Ripeto i dodici sonetti adespoti dati da M’a, M’b, dei quali fu data una stampa scorretta da l'Arnone:


I.

Così m’aviene, Donna mia valente,
     come all’orbo che sogna vedere:
     mentre che sogna sta allegro e godente,
     4e poi si sveglia e tornagli martire.

E questa pena avien a me sovente
     che’n fra le braccia me’ vi posso avere:
     poi mi risveglio e non trovo niente:
     8da tale vita mai non voria partere.

Ch’io veggio che lo sonno è traditore;
     così mi fura e non sento niente,
     11così m’aggiunge con Madonna mia,

così mi face come lo ladrone
     e fami star in pace ed in tormento:
     14se m’alcidesse gran mercè faria.

II.

Lasso! sovente la vostra amistate
     chero per messo che non mi riviene:
     forse per colpa è di vostra beltate
     4che lo messaggio innamora e distiene

Poi non vi dice in tutto ventate
     e mi fa star in disperata spene:
     così morraggio manzi che saggiate
     8che’n tale guisa di voi mi soviene

E tanto temo la vostra orgoglianza,
     ch’arditanza mi tol di guarire,
     11se da voi io non aggio altra sembianza

Altrui s’allegra dello mio martire:
     se voi non vi movete a piatanza
     14davanti voi vedretime morire


III.

Com’all’infermo che giace m’aviene
     che’n giorno in giorno ispera di guarire
     ma lo gran male che forte lo tiene
     4non lascia sua speranza al fin venire

Così Madonna tenendomi in pene
     mi face quasi languendo perire:
     lo suo piacere m’ha tenuto in spene
     8credendomene ancor per quel gioire:

e come quel che della sete pere
     che nello fiume tutt’ore si bagna
     11e sta fin a gli denti e non può bere:

onde’l mio core se ne parte e lagna
     ed a Madonna gran mercè ne chere
     14che no’l lasci perir poi che lo sagna

IV.

Lo gran tormento che’nseme paterno,
     gentil Madonna, perchè adiviene?
     Io v’amo e voi m’amate e’nseme senio
     d’uno volere e pur vi verno in pene

Lasso tapino me! perchè dolemo
     poi che siam d’un voler e d’una spene?
     Certo, Madonna, che mal provedemo:
     ad occider l’un l’altro non sta bene

Ma veramente credo indivinare
     la cosa che ne fa la pena avere,
     ciò è lo gran tormento che paterno,

che l’uno all’altro si dotta parlare;
     ma chi ben ama non deve temere
     Ben a ragione se’ ntrambi peremo


V.

Non posso più soffrir tanto martire
     com’ho sofferto per voi, Donna mia;
     ched io fui sempre fermo ad ubbidire

Che troppo fora dura cosa a dire
     s’io pur penasse avendo zoia mia;
     che le soverchie pene fan morire
     lo bon amante ch’ama far follia

Onde vi prego che ponete cura,
     che ’ntrambi siam biasmati senza cagione
     di quella, che paterno, pena dura

Perch’ogni giorno vien dritta staggione
     da coglier quella rosa di verdura:
     però dimando d’amor guidardone

VI.

L’oscura morte voria che venesse
     e mi traggesse di tanto penare:
     ch’io non fesse dimoia a Dio
     forte me’ncresce lo pur dimandare

Sanami vita se ciò ad venesse,
     del mondo uscesse e non più dimorare:
     che tanta pena mi raddoppia e
     Dir lo potesse’ 1 mio cor e mostrare

a voi, che mi stringete1 in tal maniera
     come la cera che dal foco apprisa
     non ha diffesa e sempre più s’alluma

Peccato fate che sete sì fiera,
     onde’l mio cor dispera di tal guisa:
     mia mente assisa veggio si consuma


VII.


Il povero gentil e vergognoso
     anzi che chere lassassi morire,
     e ’nanzi al ricco mostrasi goffoso,
     credendo che gli deggia sovenire;

ma lo cortese e ben a Venturoso
     vede in sua vista con’teme di dire:
     per gran pietatc lo chiama in ascoso
     e donagli conforto di guarire

Così divien cui l’amore ha conquiso
     che per vergogna dimandar non osa,
     ma per sembianti mostra ciò ch’ha in mente

Dunque mercè saria fosse piatosa
     la sua Donna, en cui l’amor l’ha priso,
     di sovenire lo suo ben voiente

VIII.

Sonar bracchetti, cavatori izare,
     lepri levarsi, ed escridar le genti,
     e di guinzaglio uscir veltri correnti,
     per bella piaggia voler imboccare,

assai credo che deggia dilettare
     libero core ed uom d’intendimenti;
     ma fra gli amorosi pensamenti
     da uno son schernito in tal affare,

e dicemi sto motto per usanza:
     — Ecco la leggiadria di gentil core
     per una sì selvaggia dilettanza

lasciar le donne e lor gaia sembianza —
     Allor, temendo non lo senta Amore,
     prendo vergogna, onde mi vien pesanza


Ca lo dà a Dante con lezione più pura; esempi: aitare, isgridar, volger e ’nboccare, van d’intendimenti, ed io (v. j), esto motto


IX

Tutto lo mio desio aggio en lo flore,
     e la speranza mia in lei ho posto
     però che delle donne è lo fiore;
     sempre ad ella in amor m’ho posto

Chè’l cor suo in gioia sempre flore,
     però’ l mio ben in lei ho riposto
     sì, ch’altra donna amar non curo un fiore,
     se non in lei servir m’aggio proposto

Tanto in lei penso che non so che faccia,
     poi che di tutte l’altre è la più gente:
     lo mio cor e la mente a lei si danno

Che quando appare sua lucente faccia
     rende gioioso ognun che a sua gente:
     dunque s’io servo non me ’l segno a danno

X.

Ormai ben veggio che lo mio solacelo
     certo, Madonna, è sol di voi vedere:
     et voi non vedendo i’ mi disfaccio
     sì ch’altra cosa non mi può valere

Et la dolorosa pena ch’io faccio
     aggio gran tema non vi sia spiacere:
     però la voglia mia non vi taccio
     sperando che cangiate lo volere

     Mestier è ch’io m’allegri alle fiate
     e mi conforte di vostra veduta,
     poi che non sia di vostra volontate

Ond’io m’allegro di vostra venuta,
     poi ch’aggio vista la vostra beltate,
     che’l mio conforto in gran ben rimuta


XI.

Mio intendimento è posto tanto altero
     che nessun mi si puode appareggiare
     che sia terreno: secondo ch’io spero,
     ben aggia’l giorno ch’io prisi ad amare

Sì gentil cosa non è ’l specchio chero
     ove mia dombra possa assimigliare:
     guardando in esso divegno mainerò
     ed aggio a schifo chi mi vuol pigliare

Prender mi lascio come ’l tigre face
     al caceiator: non si sente colpire,
     tanto rimira lo specchio verace

E sono ’l cirro del qual odito ho dire
     che’l ditto della gente porta in pace
     che non poria tanta gente schernire

XII.

Al mondo non è cosa ch’aggio in core
     se non voi, amoroso mio diletto,
     ed aggio sì commesso in voi ’l mio amore
     4che, s’io lo perdo, mai ben non aspetto

La rimembranza ch’ò di voi spess’ore
     mi fa bagnare gli occhi ’l viso e ’l petto:
     vivo doglioso in foco ed ardore
     8tanto è in voi lo mio amor constretto

Ai me lasso dolente! che farraggio
     veggendo che ’l vi piace la mia morte?
     11ai, amor mio! ed io v’amo cotanto

S’io v’ho falsato, altra scusa non aggio
     se non di sofferire pena forte,
     14pur che ’l v’incresca, Donna, il mio compianto




  1. Corretto in margine: struggete.
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