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ALL’ORNATISSIMO SIGNOR
BARTOLOMMEO GAMBA
LETTERA DELL’AUTORE.
PREGIATISSIMO AMICO
Voi mi chiedete dei versi inediti da aggiungere alle altre mie Rime, che Voi pensate di ristampare, mosso da un cordiale attaccamento verso di me, e dalle uffiziose sollecitudini de’ miei Amici. Io vi mando que’ pochi, che mi stanno ancora nella memoria, benché in apparecchio di prender congedo. Dopo un amarissimo pentimento di esser ito in processione a stampa sin dalla più verde età, senza stile, senza criterio, e direi quasi senza grammatica, io aveva fermamente proposto di nascondermi agli occhi dei letterati, e di punire la mia sfacciataggine con un eterno silenzio. Ma la terribile minaccia, che Voi fate a me, di stampar tutte quelle zacchere, che vanno girando manuscritte col nome mio, se non concorro volontariamente ad accrescere la vostra nuova edizione, mi ha rimosso dal proposito, e mi ha fatto dolce dolce, come vedete. Nell’atto però di ubbidirvi, chi mi salverà dalla taccia di prosontuoso, se ricomparisco misero e dozzinale alla pubblica luce fra tanti illustri Poeti, che vivono, e in tanta copia di nobilissime produzioni, che onorano l’Italia? Ben lontano dall’esagerare per complimento, e dall’affettare una inutil modestia, io vi dirò, parlando di esse, che quanto più le rileggo e le studio, tanto più stizzisco e mi vergogno di aver fatto dei versi; e, parlando di me e delle mie bazzecole, aggiungerò con pari schiettezza che io medesimo ne son mal contento, e che mille volte ho tentato di mutare e di abbellire, di raffazzonare ora quel verso ora questo; ma che ogni cosa tornandomi peggio, ho dovuto finalmente lasciar correre a mio marcio dispetto. Dall’altra parte Voi sapete che io non ebbi mai l’umore di esser poeta; e se qualche volta scappai a far de’ versi, gli feci per obbedienza, o per cerimonia soltanto. Quindi è che i miei Sonetti (pressochè tutti) parlan di Monache, di Matrimonii, di Parrochi: argomenti per lo più sterili e secchi, che rare volte il genio assume con allegra spontaneità, e moltissime volte il dovere comanda per forza. Non vi aspettate dunque che tenuissime cose, e massime da uno stile umile e dimesso, siccome è il mio. Tra i versi, che si stamparono nella prima edizione, Voi farete a meno di ristampar quelli, che ho marcati in essa con una linea. Non son io padrone di licenziar dalla casa mia il domestico, che troppo non mi si affà? E giacchè vanno attorno con mio dispiacere anche parecchie brevissime Canzoncine, che io feci in gioventù, travestite e messe per capriccio in aria di amore, ma che nacquero scherzevolmente nel seno della più candida e più tranquilla amicizia, lascerò che ne ristampiate alcune; quantunque ignorandosi adesso i giornalieri accidenti, che le dettavano, e che io mascherava coll’allegoria, vadano esse a pericolo di riuscir fredde e spoglie affatto di certa loro gajezza nativa. Non eccettuo dalla ristampa il Poemetto giocoso de’ Maccheroni, Poemetto che io amo con predilezione paterna per essere uno de’ primi sforzi del mio piccolissimo ingegno, e che io scrissi non ben compiuto ancora l’anno vigesimo quarto dell’età mia. Certa gratitudine, che non si estinguerà nel mio cuore nè men per morte, fa che io vi raccomandi di ristampare la traduzione del celebre Endecasillabo del Conte Abate Roberti sul famoso Musaico ritrovato dal Cardinal Furietti fra i rottami della Villa di Adriano, e rammentato con onore da Plinio. Egli stesso l’Abate Roberti mi pregò, e mi eccitò a farla. Poss’io negare adesso questo contrassegno della mia fedele e ricordevole obbedienza a quella sempre cara e sempre venerabile Ombra? Non passa giorno che io non faccia di lui una soavissima insieme ed acerbissima rimembranza: e se questi faggi e questi olmi, che mi circondano e che sono miei leali concittadini, potessero favellare, udreste quanto io mi lagni con essi di averlo perduto, e come affettuosamente io lo chiami. Vorrei che vi trovaste più fornito di scioperio, che non vi trovate, per venir qualche tratto a visitarmi, e per recarmi quelle notizie in materia di lettere, che da Voi solo compiutamente aver si possono; giacchè, oltre all’esser Voi pieno di finissimo ingegno, siete anche uno de’ più accreditati Bibliografi. Ma sarà bene che io la finisca. Conservatemi la vostra sincera benevolenza, e state sano.
Poscritta. Io avea tralasciato. di accennarvi cosa che assai mi preme, e che tanto mi sta sul cuore, cioè che Voi faceste due parole al Lettore da mettere in fronte al mio libro, non già in lode de’ miei poveri versi, ma per avvertirlo, che tutte quelle rime, che si leggono col mio nome in altre Raccolte, e che non si comprendono in questa nuova edizione, io le rifiuto per mie, o mie non sono. Di fatti ebbi qualche volta il rammarico di vedere sovrapposto il mio nome a Sonetti non miei in certe Raccolte moderne, con istomaco di me stesso, e certamente con noja de’ lor legittimi autori, i quali mi avranno fatto reo di massimo furto e di solenne impudenza. Nè sarebbe male l’aggiungere, che avendo io fatti de’ notabili cangiamenti in alcune delle mie rime (secondo il parere di certi miei Amici, che io terrò sempre in luogo di maestri), la vera ed ingenua loro lezione è quella della edizione presente. Confido anche su questo proposito nell’amorevolezza vostra, e chiudo la lettera.
Dalla Villa il giorno 30. di Ottobre 1805.
Iacopo Vittorelli.