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Alla nobile ed ornatissima signora Elisabetta Parolini
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alla nobile ed ornatissima
signora

ELISABETTA PAROLINI,

Mandandole una Satira composta da un illustre Poeta Veneziano, che scrive egregiamente in quel dialetto, e che molto era ritroso a concederla.


Placati, o Elisa bella,
     Torna serena e lieta:
     Io vinsi del Poeta
     La docile ragion:

Poeta, che per vezzo
     Le Tosche forme ignora,
     E i modi suoi colora
     Nel Veneto sermon.


Ei de l’Ascrea montagna
     Odia le dure spalle,
     E ne la bassa valle
     Soffermasi a cantar.

Non chiede il verde alloro
     Lassù concesso a pochi:
     Fra i Satiri e fra i Giochi
     Gli piace conversar.

* * *


Un giorno che de l’Adria
     Io vidilo nel Foro,
     Là dove il tempio d’oro
     Eretto a Marco sta:

Fermati, o Vate, io dissi;
     Fermati, e non negarmi
     Que’ tuoi recenti carmi
     In segno d’amistà.


Sai tu chi li sospira?
     Sai chi gli attende? Elisa,
     Essa di dolci risa
     Sparge il tuo dolce stil.

Ah! se destar la gioja
     Godi co’ versi tuoi,
     Destarla affé non puoi
     Su labbro più gentil.

* * *


Perchè non ti descrivo
     Le amabili sue tempre,
     Che spirano mai sempre
     Un’aura di favor?

Quante del suo bel core
     Grazie mi stanno intorno!
     Fu questo stesso giorno 1
     Di grazie apportator.


Sul mio privato desco
     Risplende il sacro dono,
     E par che in basso suono
     Dica e ridica a me:

Di sua memoria ancora
     Elisa ti fa degno.
     Guardami: io sono un pegno
     De la sua bella fe.

* * *


Un lustro intero, o Amico,
     Io vissi a lei congiunto,
     E un lustro intero appunto
     Mi parve un giorno sol.

Un lustro è già ch’io vivo
     In sen de l’onde amare 2,
     E un lustro, oh dio! , mi pare
     Un secolo di duol.


Se tu vedessi appena
     Il suo leggiadro aspetto,
     Ti sentiresti in petto
     Un improvviso ardor.

Essa i preclari ingegni
     Venera, onora, accoglie,
     E le ospitali soglie
     Tiene dischiuse ognor.

* * *


Essa de’ studii amante,
     Non di ricamo o fuso,
     Spesse fiate ha in uso
     I carmi altrui ridir.

Dunque che più resisti?
     Cedi a la mia preghiera,
     Invan da te si spera
     Deludermi, e fuggir.


Dissi: e il gentil Poeta,
     Che l’alma avea già tocca,
     Con un sorriso in bocca
     Gridò: vincesti alfin.

Prendi i gelosi carmi,
     Che a gli occhi altrui nascondo,
     E d’esser sì facondo
     Ringrazia il tuo destin.

* * *


Placati dunque, o Bella,
     Torna serena e lieta:
     Io vinsi del Poeta
     La docile ragion:

Poeta, che per vezzo
     Le Tosche forme ignora,
     E i modi suoi colora
     Nel Veneto sermon.


Deh! senti. Allor che Maggio
     Rieda tranquillo e chiaro,
     E non ti sia discaro
     Volgere a l’Adria il piè;

Fa che l’amico Vate
     Veggati un solo istante,
     E nel tuo bel sembiante
     Trovi la sua mercè.

  1. L’Autore avea ricevuto in dono da lei un superbo Calamajo di Porcellana.
  2. L’Autore abitava allora in Venezia.

Note

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