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XXXVII.
ROSA E FANCIULLA
Or che soave è il cielo e i dí son belli
E gemon l’aure e cantano gli augelli
Tu chini l’amorosa
4Fronte, o vergine rosa.
Per te non fa che il prato ove nascesti
Tiranno solitario avvampi il sole,
Quando su’ campi da la falce mesti
8La polverosa estate a lui si duole,
E nel meriggio le campagne sole
Assorda la cicala,
E impreca al giorno, che affannoso cala,
12Dal risécco pantan la rana ascosa.
Súbito allor su’ non piú verdi colli
Sorge il turbine, e gran strepito mena,
Spazza gli ultimi fiori ed i rampolli,
16E allaga i campi d’infelice arena;
E piú cresce l’arsura, e de l’amena
Ombra il conforto manca.
Tu fuggi a quella stanca
20Ora, o vergine rosa.
Per te non fa ne’ giorni grigi e scarsi
Mirar la doglia de l’anno che muore,
Le foglie ad una ad una distaccarsi
24E gemer sotto il piè del vïatore,
Sin che la nebbia del suo putre umore
Le macera o le avvolge
La fredda brezza e lenta le travolge
28Giú ne l’informe valle ruinosa.
Allor le nubi che fuman su i monti,
Allor le pioggie lunghe e tristi al piano,
E l’alte ombre de’ gelidi tramonti,
32Ed il triste desio del sol lontano,
E la bruma crescente a mano a mano,
E il gel che tutto serra.
Tu fuggi a tanta guerra,
36O giovinetta rosa.