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LXIX.
CLASSICISMO E ROMANTICISMO
Benigno è il sol; de gli uomini al lavoro
Soccorre e allegro l’ama;
Per lui curva la vasta mèsse d’oro
4Freme e la falce chiama.
Egli alto ride al vomero che splende
In tra le brune zolle
Umido, mentre il bue lento discende
8Il risolcato colle.
Sotto il velo de’ pampini i gemmanti
Grappoli infiamma e indora,
E a gli ebri de l’autunno ultimi canti
12Mesto sorride ancora.
Egli de la città fra i neri tetti
Un suo raggio disvia,
E a la fanciulla va che i giovinetti
16Dí nel lavoro oblia,
E una canzon di primavera e amore
Le consiglia; a lei balza
Il petto, e ne la luce il canto e il cuore,
20Come lodola, inalza.
Ma tu, luna, abbellir godi co ’l raggio
Le ruine ed i lutti;
Maturar nel fantastico vïaggio
24Non sai né fior né frutti.
Dove la fame al buio s’addormenta,
Tu per le impóste vane
Entri e la svegli, a ciò che il freddo senta
28E pensi a la dimane.
Poi su le guglie gotiche ti adorni
Di lattëi languori,
E civetti a’ poeti perdigiorni
32E a’ disutili amori.
Poi scendi in camposanto: ivi rinfreschi
Pomposa il lume stanco,
E vieni in gara con le tibie e i teschi
36Di baglior freddo e bianco.
Odio la faccia tua stupida e tonda,
L’inamidata cotta,
Monacella lasciva ed infeconda,
40Celeste paölotta.