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Giosuè Carducci - Rime nuove (1906)
Libro VII - LXXXVII
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Su l’ostel1 di città stendardo nero
— Indietro! — dice al sole ed a l’amore:
Romba il cannone, nel silenzio fiero,
4Di minuto in minuto ammonitore.
Gruppo d’antiche statue severo
Sotto i nunzi incalzantisi con l’ore
Sembra il popolo: in tutti uno il pensiero
8— Perché viva la patria, oggi si muore. —
In conspetto a Danton, pallido, enorme,
Furie di donne sfilano, cacciando
11Gli scalzi figli sol di rabbia armati.
Marat vede ne l’aria oscure torme
D’uomini con pugnali erti passando,
14E piove sangue donde son passati.
- ↑ [p. 763 modifica]Ostel di città è un francesismo ragionevole. Di ostello per casa abondano gli esempi nella prosa antica: ma troppo eran ancora miste le correnti delle lingue romanze nel duecento e nel trecento, e con gli esempi del buon secolo si potrebbe francamente scrivere il piú bell’italiano infranciosato che sia negl’ideali dei poltroni senza idee. Non mancano nella lingua poetica anche moderna: il Monti, Basv. 1,
Invan si straccia il crin disperso e bianco
In su la soglia del deserto ostello;
non bene, della casa d’un villano: meglio il Manzoni, nel Natale,. . . . . . . . ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un’alma vergine.
Note
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