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II.
Voi lo sapete: il nuovo uomo sociale è creatura della Chiesa. Unificato in Cristo per soprannaturali carismi di amore, santo, apostolico, cattolico, egli già da cinque secoli viaggiava alla città di Dio, preso che ebbe sul Golgota il viatico del sangue redentore. Ma poi che tremò la terra per irruzione di barbari sul romano impero, e s’oscurò il sole della civiltà di Augusto, egli prese il viatico della naturale sua peregrinazione sulla terra, dalle mani della Chiesa; e l’uomo del cielo, uno, santo, apostolico, cattolico, addivenne cittadino della terra. Che fece la Chiesa? chiamò forse filosofi ed umani legislatori a creare il nuovo uomo sociale? ascese forse con la fiaccola delle terrene persuasioni alla rocca della sua ragione per conquistarne l’intelletto? No: essa chiamò dalla caverna di Subiaco l’uomo dell’abnegazione, S. Benedetto; gli dette a tenere la lampada del suo sentimento e lo intromise nel cuore del nuovo uomo, dicendogli: Faciamus hominem. E l’uomo fu fatto per S. Benedetto. Italiano era costui, italiano il plasma di questa creazione, cristiano lo spiracolo della nuova vita sociale. Per ciò da quel dì la Chiesa, S. Benedetto, e l’Italia, non saranno più separati: saranno disgiunti, quando si romperà la compagine della nostra società civile. E sarà possibile? Fino a che dura l’ideale consorzio di quella triade, sarà in lei un ricambio di vitalità e di azione, che rende una e costante la economia della loro esistenza. La voce di uno avrà sempre un'eco nel cuore degli altri; e l’aspirazione di uno di que’ tre a qualche vero, a qualche bene sarà un grido di bisogno emesso da un petto solo.
Sgomberate la Storia della materia dei fatti, intendete ai principî, e vedrete quel che affermo. Tra l’Italia e la Chiesa non corre solo il rapporto della fede comune a tutto il mondo, ma anche quello della genealogia del suo individuale progresso. Che è mai questo rapporto, se non una idea, che rutila dalle pagine della storia e scende nella italiana coscienza a prendere la temperie di un fatto, moderatore della sua civile moralità? A guardia di quell’idea è S. Benedetto col suo ordine: il monastero è l’archivio di famiglia della nostra nazionalità. Il dramma del medio-evo per tutta Europa si svolse tra queste tre grandi individualità: la Chiesa, l’Italia e S. Benedetto; del loro dialogo si compone la cronaca del nostro incivilimento sociale.
Incomincia nell’Italia il sentimento della sua autonomia nella Pentapoli Ravennate, svegliato dalle persecuzioni iconoclaste di un imperadore bizantino: gl’Italiani vogliono essere italiani, e non più bizantini, e la Chiesa benedice e santifica quel sentimento; e un figlio di S. Benedetto Gregorio II copre della sua cappa pontificale il germe di quella indipendenza, che oggi accoglie come un albero alla sua ombra ventidue milioni d’Italiani. Incomincia la vita nazionale: gl’Italiani affogano nelle angustie della corona di Carlo Magno; vogliono uscirne, e si muovono; alla inerzia del forastiere servaggio succede il lavorio delle municipali costituzioni; sorgono i Comuni: e la Chiesa benedice, santifica quel lavoro; e un figlio di S. Benedetto Gregorio VII circonda col lampo delle sue folgori la culla della futura libertà dei popoli; serra al suo petto gl’italiani Comuni, che come un Efod ingiojellano e muniscono ancora quello della patria e della Chiesa. Incomincia il bisogno della nazionale difesa; e la Chiesa inizia gl’Italiani alla civile religione della unione degli spiriti, alla fede nella onnipotenza della concordia, benedicendo, santificando la immortale lega Lombarda. Dove il sagramento di vincere, o morire? dove il battesimo della civile fede nella patria? nella casa di S. Benedetto. Dai claustri di S. Maria di Pontida uscì il Lombardo Carroccio, che cigolando ha viaggiato per sette secoli da Legnano a Palestro.
Giovaneggia il mondo nel secolo XVI; esulta al bacio di due civiltà, ellenica e cristiana; e per duplicazione di vita superbisce, e dimentica la terra del suo natale. La Chiesa fu sconosciuta in Lamagna. Il frate Lutero, perchè trovò Roma peccatrice, sostituì la cronaca degli uomini alla storia dell’umanità: l’ira dei fatti gli rubò la fede nei principî. Fece rivoluzione; e volle che l’anno primo della genesi della moderna società incominciasse da lui, perchè la Chiesa per lui non era più quella di Cristo. La Chiesa e l’Italia furono consorti nella tribolazione. Dietro i passi del frate, che seminava il gioglio dello scisma, veniva Carlo V, svellendo i Comuni, e piantando troni di tirannelli in Italia. L’Italia conservò la fede religiosa, ma perdè la civile: il protestantismo politico le ha logore le midolla delle ossa per tre secoli. Ma perchè credente, perchè cattolica, non che vide l’inonesto frate toccare alle immacolate membra della madre Chiesa, sollevarle dagli omeri la stola dell’Agnello, bestemmiarla Babilonica meretrice, le sue viscere si commossero; e sebbene inerme, schiava di austro-ispani proconsoli, furibonda evocò il genio delle sue Arti, e protesse il maternale pudore con un manto di bellezza, maraviglia del mondo.
Lutero, Cromwello, Calvino arsero le badie di S. Benedetto in Germania, in Francia, in Inghilterra: ma S. Benedetto rimase in Italia. Consorte nelle sue tribolazioni, non si disgiunse da lei nella filiale carità verso la cattolica Chiesa. Questa oltraggiata dai protestanti, come tralignata dalla sementa apostolica, come scissa dalla spirituale genealogia del Cristo, S. Benedetto svolse agli occhi del mondo le polverose pergamene dei monastici archivî, diciferò il testimonio del passato, rivelò i documenti della spirituale sua discendenza da Cristo, e sostenne con la ragione dei fatti quello, che a mala pena poteva reggere il sillogismo dei teologi. Così per la Storia e per le Arti la Chiesa immise un’altra volta nella universa comunanza degli uomini la virtù del Cristo, principio e fine del civile progresso. E chi si osa assorgere e rompere nella economia della divina provvidenza uno di questi anelli, che disposano in un benefico concetto di bene, di vero, e di bello — la Chiesa, S. Benedetto, e l’Italia? —
Non confidate troppo, o Signori, nel presente, da sprezzare il passato; non ispingiamo innanzi i passi con giovanile baldanza, senza dare uno sguardo di virile ossequio a quelli che ci precedettero nell’aringo della patria. La materia dei loro fatti è labile e peritura per l’attrito delle relazioni, che variano e si succedono nella vita dei popoli; ma i principî che quelli personificarono sono immortali e indefinibili dalla ragione del tempo. Voi li abbandonate, e quelli vi seguono con la luce della loro verità; de’ loro raggi s’indorano le cime di quello avvenire, al quale intendiamo. Non chiudete gli occhi a sconoscere la luce che vi precorre per via.