< S. Benedetto al Parlamento nazionale (Tosti)
Questo testo è stato riletto e controllato.
II

I.


I decreti del Pepoli e del Valerio, che hanno sciolti nell’Umbria e nelle Marche i sodalizî religiosi, hanno gravemente turbata la Badia di Montecassino. Essa non teme, nè spera. Se i quattordici secoli della sua vita fossero solamente scritti nella cronologia degli ordini monastici, temerebbe assai; se la virile religione del passato disciplinasse sempre la balda gioventù del popolare progresso, spererebbe molto: ma essa è turbata. Molte generazioni ha viste, negli uomini e nelle cose di altri tempi ha mescolata la vita; e il frutto della sua civile esperienza, il documento della sua tarda vecchiezza si è, che la più difficile redenzione delle civili compagnie è quella, che le franca dalla tirannide delle rivoluzioni. Queste sono terribili come l’istinto; esse solo han le chiavi del sepolcro di un popolo; ad esse lo scoperchiarlo, ed il gridare — Sorgete, voi che dormite — Ma desti i dormenti, quelle non hanno più che fare; debbono quetare e tornare nei tesori di quella Provvidenza, che è benigna quando vuole, terribile quando permette. Tuttavolta le rivoluzioni, procellose a venire, non hanno l’intelletto a tornare. Il prodigio della morale risorrezione dei destati, che è tutto di Dio, usurpano per sè; vogliono governarlo con un diritto che non hanno, vogliono trionfare di un trionfo che non è loro, vogliono predare quello che esse stesse restituirono; ed allora, guai al popolo risorto! Chi scoperchiogli il sepolcro, gli rovescerà sul capo la lapida, e diragli — Dormi ancora.

Quando un popolo è recidivo in questo sonno, è segno, o che l’istinto delle rivoluzioni, per immaturità di tempi, soverchi la ragione della evoluzione dell’umano spirito nella via del progresso; o che gli uomini di stato, muliebri nella fede in quella ragione, non possono, o non sanno propugnarla da uomini. Ma se l’ora è quella designata da Dio, se uomini sono i pubblici governanti, sul loro braccio poggerà la mano il risorto popolo, essi gli soffieranno, a mo’ di dire, nel cuore la coscienza della vita. E poichè questa è immortale, non possono bruscamente volgere la faccia di quel popolo all’aspirazione dell’avvenire, senza prima tenerlo volto con religiosa riverenza alla ispirazione del passato. Per questa riverente tornata al passato beve l’uomo alla fonte delle avite tradizioni, è rischiarato dal sole delle domestiche memorie, accoglie sulla fronte il bacio della patria, si sente cittadino; e per questa ispirazione crede, spera, e canta il simbolo della fede in Dio e nella umanità.

Noi monaci di S. Benedetto non siamo nel mondo, ma viviamo nell’umanità; e se ci è debito ignorare quel che si facciano gli uomini, sarebbe peccato sconoscere l’azione di quella. L’umanità è viatrice: ma l’astro della sua unificazione, Cristo Signore, la tira per la infallibile via dei suoi raggi. Se siamo, noi monaci, i discepoli del Cristo Crocifisso, qual maraviglia, che accanto a lui vediamo e sentiamo molte cose, che non veggono e non sentono i mondani, della creatura ragionevole? Noi vediamo affannare l’umanità nel faticoso suo incesso, noi sentiamo il palpito del suo cuore; su le nostre cocolle cadono le lagrime del suo dolore, su i nostri salterî aleggia il sorriso della sua consolazione. Essa ci conosce. Qual maraviglia, che nella solitudine della carne, noi ci accorgiamo quando nel seno dell’umanità, qualche popolo destato dallo spirito delle procelle, si leva e procede? qual maraviglia che antelucani all’alba dell’idea, noi primi intuonammo l’Alleluja dell’Italia risorgente? Se fossimo usciti fuori a sapere, se ci fossimo mescolati con le moltitudini, e avessimo prestato lo spirito al contagio febbrile delle politiche passioni, non avremmo saputo sì presto quello, che altri forse ignora ancora o non crede. Perchè stranieri alla politica, la solitudine ci fece veggenti; e nell’amorosa meditazione del Cristo noi vi vediamo ora, o Signori, in questo parlamento, accinti ad opera, che sarebbe insensata, se non vi sorreggesse il suffragio della nazione, impossibile, se non fosse Iddio con voi; e vi preghiamo a non fallirla per improntitudine di consigli. Voi non dovete fare un popolo, nè dovete immettere la vita nelle sue membra; dovete destarne la coscienza. Pietro il Grande fece la Russia, perchè innanzi a lui non esisteva. L’Italia non è morta mai. Voi dunque non ne siete i creatori; ma gli eccitatori della sua vita. Autorevoli nel ministero delle leggi, che sarete per bandire, dovete tremare per riverenza innanzi alla maestà di colei, che vive, e fece vivere il mondo per la creazione di due civiltà. Legislatori del suo avvenire, siate discepoli nella scuola del suo passato.

L’Italia è desta: una grande rivoluzione l’ha destata. Fate dunque che tra le vostre braccia si svegli alla coscienza della vita questa infortunata, ma predestinata delle nazioni. Il suo cuore palpita abbastanza per aspirazione di bene avvenire; quello di che abbisogna, si è la ispirazione del suo passato. Volgete indietro questa fronte, che ha portata corona, incontro al raggio delle sue tradizioni; fermatela, inebriatela alla scaturigine delle sue memorie. E se nella mistica contemplazione del suo passato, i suoi occhi s’incontreranno in quelli di S. Benedetto e de’ suoi figli, non ci toccate, non ci cacciate. Voi rompereste quel magnetico intuito, per cui viaggia la ispirazione della vita.

In altri tempi e presso altre genti queste sarebbero state parole e non altro: ma oggi pel ristorato culto della storia, e presso un popolo, come l’italiano, sono una verità, benefica oltre ogni dire a chi l’accoglie, vindice a chi la spregia.

Ma per intenderla è mestieri ad un popolo petto assai robusto, a respirare nell’alte regioni della storia; è mestieri una fede da apostolo nella realtà delle idee, e nella continuità dell’unico pensiero dell’Umanità. L’Italiano la intende meglio di ogni altro; perchè è di sua natura essenzialmente storico, perchè artistico; e perchè molto ha sofferto, egli crede più di ogni altro alla infallibile continuità del pensiero umanitario, in cui ha radice l’albero della speranza. Perciò quando la rivoluzione francese, che credeva solo alla realtà della sua idea, che mandava al passato un villano libello di ripudio, che credeva, l’umanità pensasse a singulti, chiuse le badie e sperse i monaci, S. Benedetto rimase in Italia. L’Italia fu a suoi piedi, come la Maria di Lazzaro ai piedi di Cristo. Gli occhi di quella dantesca Margherita le rinversavano nel petto tutta l’anima di quegli antichi, che veramente fecero l’Italia, le ispiravano caldo, continuo il pensiero della sua morale unificazione, le svegliavano la matronale coscienza della sua forza, del suo decoro.

S. Benedetto poteva farlo; perchè la raccolse bambina di mano ai barbari. Fra le braccia di quel monaco l’Italia vagì, e dalle sue labbra salmeggianti accolse il mistero della vecchia civiltà latina. Fanciulla lo accompagnava nella diurna fatica dei campi, attenta lo ascoltava salmeggiare la notte nella casa di Dio; ed imparava la vita nel lavoro dei suoi monaci, consociati dal vincolo della preghiera. Addossò alle mura delle sante badie la capanna dei suoi coloni: e con l’incenso dei monastici altari confluì al Signore il fumo del domestico focolare; io dico della famiglia che mangia il pane della fatica. Vide le basiliche ed i claustri sorgere su le pagane rovine, e s’intese madre di Bramante e di Michelangelo; seguì con gli occhi la mano del monaco cronista, che scriveva di lei, e s’intese madre di Macchiavello e di Guicciardini; sorrise al primo incolorarsi delle membrane, alluminate dalla rozza mano del monaco, e s’intese madre di Raffaele. Tra le spine di monaci penitenti colse lo smarrito alloro di maestra del mondo. Imperocchè in veste di monaco esercitò il suo magistero nella Francia, nella Inghilterra, nella Germania; e nei lombi di queste genti essa destò la generazione dei grandi intelletti, da Alcuino a Des Cartes, da Beda a Newton, da Rabano a Kant. Volete voi cacciare S. Benedetto dall’Italia? Ah! voi non lo troverete; egli è nascosto nel suo cuore: e chi tocca al cuore della madre patria?

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.