< Saggio sopra la lingua francese
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Saggio sopra la lingua francese Saggio

AL SIGNOR MARCHESE SCIPIONE MAFFEI



Avviene assai volte che colui il quale è straniero in una faccenda ne formi un più retto giudizio, che non soglion fare coloro a’ quali appartiene la faccenda medesima; quasi a quel modo che gli abitanti della luna potrebbono del nostro globo descrivere una mappa molto più esatta, che fare non si può da noi stessi che lo abitiamo.

Non ardirei dire che a me, forestiero della lingua francese, fosse avvenuto lo stesso nel ragionare di quella. Dirò bene che, conversando co’ più dotti Francesi, e rivolgendo le opere loro, potrei conoscere a prova che certe considerazioni da me fatte sopra le forze, la portata e l’indole di quella lingua non discordavano punto da quanto in tal proposito essi sentivano; essi che con la scorta della dottrina uscendo fuori del proprio paese e potendolo in certa maniera meglio considerare, erano in istato di parlare senza passion d’animo delle cose loro e di recarne un sano e fondato giudizio.

Ora queste medesime considerazioni io le pongo sotto gli occhi di lei, signor Marchese, come di uomo principe della repubblica delle lettere e amicissimo mio. Parmi in tal modo venir ragionando con lei e rinovare a me medesimo quel tempo che io la vidi già in Francia e in Inghilterra far tant’onore all’Italia. Con sagace discernimento Ella vi pesava il valore degli uomini scienziati, il differente ingegno delle nazioni, la varia indole delle lingue, quasi un novello Ulisse tra i letterati. E non altrimenti che dalla bocca di lui, venivano dalla sua parole piene di eloquenza e di dottrina, come neve

che senza vento in un bel colle fiocchi.

Queste parti di Europa, dove io mi trovo da qualche tempo, Ella non le ha toccate per ancora. Né già Ella, signor Marchese, vorrà che si dolgano dal non essere state visitate da lei. Un bel campo aprirebbono certamente alle speculazioni del suo ingegno, presentandole in cose moderne il fiore della virtù antica, le lettere addomesticate con l’armi, un sapiente in sedia reale. E nella bocca di lui Ella udirebbe quella lingua, di che io ragiono, prender come novelli spiriti per ispiegar nettamente le cose più difficili e nobilmente dipingere le meno elevate. Vedrebbe i pensieri sortire dalla mente di lui rivestiti delle più vive espressioni, come dissero che Minerva sortì armata di tutto punto dal cervello di Giove.


Berlino, 10 marzo 1750.

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