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SATIRA II.
Questo candido dì, che i fuggitivi
Anni ti cresce, col miglior lapillo
Segna, o Macrino, e al Genio offri del pretto.
Tu con prece venal cose non chiedi
5Da non fidarsi, che in disparte ai numi.
Ma con tacito incenso il più de’ Grandi
Liberà. Non a tutti acconcio torna
Toglier dai templi il pissipissi, e aperti
Sciorre i voti. Buon nome e senno e fede
10Alto ognun gli dimanda, e tal che l’oda
Lo stranier. Ma tra denti e nell’interno
Mormora il resto: oh, se lo zio vedessi
Sopra un bel catafalco! oh se d’ôr piena
Mi screpazzasse sotto il rastro un’urna
15Coll’ajuto d’Alcide! oh se potessi
Sotterrar il pupillo, a cui succedo
Prossimo erede! ché di rogna è zeppo
E d’acri umori il meschinel: felice
Nerio che mena già la terza moglie!
20A ben santificar queste preghiere
Due volte e tre nel gorgo tiberino
Tu mergi il capo la mattina, e purghi
Dentro l’onda la notte. Ma rispondi:
Una minuzia vo’ saper. Di Giove
25Che pensi tu? Nol credi da preporsi? ...
— A chi preporsi? — A chi? mo... a Stajo almeno.
Se’ forse in dubbio chi miglior dei due
Sia giudice, o tutor d’orbi fanciulli?
Or questo prego, con che tenti a Giove
30Piegar l’orecchio, a Stajo il conta. E Stajo,
O Giove! griderà, buon Giove! ed anzi
Non udrem Giove apostrofar se stesso?
Dunque, perchè tonando il fulmin sacro
Fiede l’elce, e non te, nè le tue case,
35Fai per questo pensier te la perdoni?
Perchè al bosco cadavere non giaci
Triste e vitando, insin che il prete Ergenna
Con le fibre d’agnella non t’espia,
Dunque per questo la balorda barba
40Ti dà Giove a strappar? Ma con che prezzo?
Con che t’hai compre degli Dei l’orecchie?
Con fegatelli, e lardi, ed intestini?
Ecco l’ava, o la zia religïosa
Toglie il bambin di culla, ed umettato
45L’infame dito di lustral saliva,
Il labbruzzo e la fronte in pria gli purga
Di fascini perita arrestatrice.
Indi alquanto lo scuote, e supplicando
Or ne’ campi Licinj, or ne’ palagi
50Di Crasso invia la magra speme: e lui
Bramin genero un dì regi e regine,
Lui si rapiscan le donzelle, e tutto
Che il suo piè calcherà rosa diventi.
Non commett’io tai voti alla nutrice,
55Nè tu, Giove, esaudirli; ancor che tutta
In un bianco vestire ella ti preghi.
Forza tu chiedi, e fida agli anni tardi
Sanità. Cosi sia. Ma le salcicce,
E i gran piatti agli Dei turan l’udito,
60E rattengono Giove. Ha chi arricchire
Con buoi svenati imprende, e su le viscere
Mercurio invoca: prospera i miei lari,
Prospera il gregge, e i suoi portati. E come,
Sciagurato, se squagli entro le fiamme
65Adipe tanto di vitelle? E pure
Con vittime ed opime libagioni
Costui perfidia in suo pregar: già cresce
La spiga, già l’ovil cresce, già fatta
È la grazia, già già: finchè deluso
70E fuor di speme l’ultimo quattrino
Invan sospira della borsa al fondo.
Se argenteo nappo, o vaso a gran rilievo
D’auro in dono t’arreco, dal contento
Tu propio sudi, il cor nel lato manco
75Spremesi in gocce, e trepida di gioja.
Da quì la mente di smaltar ti venne
Con auro tríonfal le sacre effigi;
Precipui quei tra divi enei fratelli
Che invían purgati dal catarro i sogni:
80A questi tu farai d’oro la barba.
L’oro i vasi di Numa, e il rame espulse
Di Saturno, e cangiò l’urne di Vesta,
E l’etrusche stoviglie. Oh de’ mortali
Alme curve nel fango, e del ciel vote!
85A chè nostri cacciar vizj ne’ templi,
E stimar grato a Dio ciò che gradisce
A nostra polpa scellerata? È questa
Che le casie stemprossi in guasta oliva,
Questa il calabro pel cosse in vermiglio,
90Questa ne spinse a dispiccar la perla
Dalla conchiglia; e monde dalla polve
Del fervente metal strinse le vene.
Pur s’ella pecca, (e certo pecca) almeno
Del peccato si giova. Ma ne’ templi
95L’oro a che serve? a che per dio? Ne ‘l dite
Voi, Sacerdoti. Ciò che appunto a Venere
La mimma, che donò la verginetta.
Che non piuttosto per noi s’offre ai Numi
Ciò che offrir non potrà da sua gran mensa
100Del gran Messala la perversa prole?
Pietà, giustizia, in cor scolpite; i santi
Della mente segreti, e caldo petto
D’onestà generosa. A me ciò dona,
Che al tempio il rechi, e literò col farro.