< Scelte opere di Ugo Foscolo
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Capitolo
All’Amica risanata Cantata


CAPITOLO1


Stampi chi vuole sue prosaccie in rima.
     Tu con Lucia gentil leggi sì piano
     3Questa, che in altre orecchie non s’imprima
Non so ch’uomo giammai ponesse mano
     A una commedia che ribrezzo e riso
     6Insiem ti desti contro un mostro umano.
E’ pare che natura abbia diviso
     Dalla lepida bella il raccapriccio:
     9Abborri Giuda, e ridi di Narciso.
Pur a Natura venne anche il capriccio
     Di creare, fra tanti, un animale
     12Ch’io ’l guardo, e rido e di paura aggriccio.
Non ride ei già, ma con voce nasale
     Scilingua e ghigna s’altri gli contende;
     15Di nessun dice bene, e d’ognun male.

Anzi male per ben sempre ti rende;
     Ladro ti chiama di ciò ch’ei t’invola,
     18E per propria, la tua merce rivende.
Trangugiasi volumi d’ogni scuola,
     E un pasticcio latino-italo-greco
     21Rivomita indigesto dalla gola.
Erra intorno con gli occhi eppure è cieco;
     Da lunge annusa e corre al putridume,
     24Grida dì e notte, e sempre come l’eco.
Striscia per andar dietro all’altrui lume;
     Se gli è presso, abbarbagliasi e nol vede
     27Striscia perchè non ha gambe nè piume.
. . . . . . .
     . . . . . . .
     30. . . . . . .
E questo ha due peccati originali,
     Oltre quel d’Eva: dentro non ha cuore
     33E di fuor non ha forme naturali.
D’impotente libidine d’amore
     Arrabbia quindi; e la Venerea face,
     36E Apollinea desiando muore.
Nè dorme un sonno mai quando si giace;
     Svegliasi spesso, e le altrui gioie insidia,
     39E per turbarla altrui perde sua pace.
Quando l’Orgoglio si sposò l’Accidia,
     Questo mostro ebbe vita, e per nudrice,
     42Che l’allattò di fiele, ebbe l’Invidia.

E a piè dell’Eliconica pendice
     Mordea co’ denti, poi che fu slattato,
     45Ogni fresco germoglio, ogni radice.
Fatto poi grande, a chi gli passa allato
     Ringhia ed abbaia peggio d’un mastino;
     48S’altri non l’ode fuggesi arrabbiato.
Ma a chi ’l teme, e si svia dal buon cammino
     Fa poi moine, e il chiama, e il palpa e il loda,
     51Chiedendo per limosina un quattrino.
Per fame ti vitupera e li loda
     Per fame ardisce e teme e liscia e morde
     54Fame gl’insegna a far bella ogni froda.
Ma ben più d’oro che di pane ha ingorde
     Le fauci; e spesso apparve alla mia vista
     57Con monete d’umano sangue lorde.
Questo animal si chiama il G.........



  1. Questo capitolo stampato non ha guari in Milano in un almanacco con qualche cangiamento, e attribuito a G. Baretti, noi lo abbiamo trovato unito alla cantata che segue, fra gli scritti del Foscolo colla data di Bellosguardo 15 Giugno 1813 e lo pubblichiamo perciò come cosa sua.

Note

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