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XXIII
per lo medesimo
Se a me scendono mai l’amiche Muse
Del Romano Alessandro a far parole,
Contar ciascuna suole
Sol fiumi domi, e sol città rinchiuse;
5E sol torri abbattute in sull’arena,
E popoli guerrier tratti in catena.
Allor mi corre un gelo entro le dita,
Che fa quasi cader l’amata lira;
Ma bello esempio tira
10Lunge d’ogni viltà l’alma smarrita;
Poi lieto corse l’Oceán profondo
Savonese nocchier per nuovo Mondo.
Ma io non spiegherò vela veloce,
Il mar solcando de i Fiammenghi assalti;
15Sol tra’ fondi men alti
Andrò radendo a men remota foce.
Non sempre Febo ama diffuso il canto;
Talor breve cantar degno è di vanto.
Certo con dolce suon note soavi
20Faranno udir ne’ secoli remoti
I belgici nipoti
Sulla miseria, e sul dolor degli avi,
Spente le guerre alla stagion felice,
Ammirando la man soggiogatrice.
25Ed è ciò prova di virtute ardente,
Che quantunque nemica, altrui non spiace.
Quando amorosa face
Arse la Greca, e la Dardania gente,
Qual non fe’ scempio sanguinoso acerbo
30L’aspro cor dell’Eacide superbo?
Lui quasi fiamma folgorante in guerra
Per entro i gorghi suoi vide Scamandro;
Videlo Ida e Antandro,
Qual turbo in Ciel, che le foreste atterra;
35O qual leon, che in questi armenti e in quelli
Gocciar fa i denti, le dure unghie e i velli.
Oh come scosse, oh come atroce aperse
Col braccio invitto le Nettunie mura!
Nube di pianto oscura,
40Per l’indomito Achille Asia coperse,
E sotto acerbo giogo i Re cattivi
Fur poscia il gioco de’ coturni Argivi.
Ma pur dell’asta inesorabil rea,
Per cui venne llion campo di biada,
45Su straniera contrada
Fèr meraviglia i successor d’Enea.
Sì dopo il danno infra’ nemici ancora
Fulgido lampo di valor s’onora.