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XXII
PER ALESSANDRO FARNESE
duca di parma.
Febo immortal, che splendi
Per chioma d’oro in vivo alloro ardente,
Recati l’arco nella man possente,
E giù per l'aria scendi,
L'arco, non quel che lutto scuote il Polo,
Se dardi avventa d’infallibil volo.
Coa questo in nube cava
Dal ciel sereno, fulminando in guerra,
Invincibile Arcier purghi la terra,
Se mostro empio la grava;
Come ne’ di ch’ empio veneno intorno
Piton spirò tutto adombrando il giorno.
Là 've spiegava l'ali,
Struggea l’orrida peste uomini e belve;
E già doleansi al Ciel cittadi e selve
Vedove di mortali;
Ma tu vibrando le saette acute
A’ gravi mali altrui fosti salute.
Spettacolo giocondo
Mirar la fiamma de' crudi occhi estinta,
E sovra il suolo insanguinata, e vinta
Fera, che afflisse il Mondo,
Scagliosa il tergo, il sen d'aspro diamante,
Monte di tosco orribile volante.
Ma, o per l'ampia via,
Febo, che il carro della luce affretti,
Non è di mostro infame, onde saetti,
Feconda Italia mia;
Nè de' suoi figli ingiuriosa fama
Strale dal Ciel per la vendetta chiama.
Anzi laurea corona
Lor cinge i crin di bel sudor famosi;
Però l'aspra faretra or si riposi,
E quel, ch’almo risuona,
Arco su Pindo, e con le voci alterna,
Arma, o Custode, della lira eterna,
D’alma grande e gentile
Stile è spronare a gran virtude il core;
E grande in terra celebrar valore
Dol buon Permesso è stile:
Ma qual fu mai nelle guerriere imprese
Eguale Marte al gran Roman Farnese?
Ei non per altro e chiaro
Scettro goder di soggiogato Impero,
Ma per lo Vatican, trono di Piero,
Sudò dentro l’acciaro;
E fe’ cotanto sanguinose e calde
Le rive or della Mosa, or dello Scalde.
Su quelle avverse sponde,
Quale sembrò fra le nemiche genti?
Scitica tigre, che distrugge armenti,
Con esso l'unghie immonde?
O per la notte alle stagion funeste
L’orrida luce del gran Can celeste?
Sembrò per selve alpine
Foco, che in pria fumando i tronchi opprime;
Poi sull’ali dell’Austro arde sublime
Le region vicine;
Poi tolto il Cielo a’ grandi incondj è poco,
Altro sonante, inestinguibil foco.
Qual’orrida procella
Dunque verrà, che tanto onor sommerga?
Tempra la cetra risonante, verga
Le carte; alto favella:
Dillo fra’ bassi rivi un Nil spumoso;
Dillo fra’ colli un Caucaso nevoso.