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V
PER CARLO EMMANUELLO
di savoja
conquistatore di saluzzo.
Forte, come un nembo ardente,
Messaggier del crudo Arturo,
Vibri, Carlo, invitta spada;
E tra’ monti di ria gente
Fatto intrepido, e sicuro
Verso il Ciel t’apri la strada.
O Real Giovane altero,
Nel cui petto il Ciel rinchiuse
Lo splendor di tutti i Regi!
Io non men per quel sentiero
Sferzò il carro delle Muse
Tutto carco de’ tuoi pregi.
Odo dir quaggiuso in terra:
Vil fra gli uomini è l’erede,
Che del padre inghiotte gli ori;
Se vestendo usbergo in guerra
Ei con opra non succede
Al retaggio degli onori.
Bella Clio, del vero amica,
Tu dal Ciel rispondi, o Dea:
Il mio Re, dirassi, è tale?
Non per certo, che a fatica
Sulla terra il pie movea,
Che alla gloria ci spiegò l’ale.
A gran notte in sulle piume,
D’Ottoman le turbe oppresso
Il tenean del sonno in bando;
Nè mai l’Alba addusse il lume,
Che la mente ei non volgesse
Verso il gran trofeo Vormando.
Or la fiamma orrida impura,
Di che Franca arsa ruina
In van torbida risuona,
Or l’Italia ci fa sicura,
Poscia umil Saluzzo inchina
Di Torin l’alta Corona.
Freme invidia, e morde il freno,
Irta i crin, viperea i guardi,
Arma l’arco, e la faretra;
Ma s’agghiaccia, e sì vien meno
Ascoltando il suon de’ dardi
Sulle corde della cetra.
Frale usbergo al buon Vulcano.
Per amar l’orribil figlio
Chiedea Tetide marina;
Se ’l gran Cieco di sua mano,
Per lui trar d’ogni periglio.
Non apriva altra fucina.