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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1843
SENTITE CHE GGNACCHERA
Io me ne vado dunque in Dataria.
Me presento a un abbate: “Abbia pascenza„,
Dico, “vorìa du’ righe de liscenza
Pe’ sposà mmi’ cuggina Annamaria.„
Disce: “Fijjolo, si chiama dispenza.„
“Basta„, dico, “sia un po’ cquer che sse sia....„
Disce: “E ir zuo nome?.„ Dico: “Er mio? Tobbia.„
“E ir casato com’è?„ “Schiatti, Eccellenza.„
“Ggià llei„, disce, “lo sa: ppe’ li cuggini
Ci vò sseiscentonovantotto scudi,
Quarantasei bbajocchi e ttre cquadrini.„
Figuret’io come me fesce in faccia!
Io credevo tre ggiuli iggnud’e ccrudi
Com’er permesso p’er fuscil da caccia.
6 agosto 1843
Note
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