< Sessanta novelle popolari montalesi
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XIX. Il Figliolo del Mercante di Milano
XVIII XX



NOVELLA XIX


Il Figliuolo del Mercante di Milano (Raccontata da Ferdinando Giovannini sarto)


C'era una volta, in ne' tempi antichi, un mercante di Milano, che aveva moglie e du' figlioli: lui preferiva il maggiore, perché più grande e ormai capace d'aitarlo ne' su' traffichi; a quell'altro più piccolo il mercante nun gli voleva male, ma siccome era quasimente un bambinuccio, nun lo tieneva di par suo e lo lassava da parte insenza pensarci su dimolto. Questo mercante de' quattrini n'aveva a dovizia, e possessi, e però si trattava da signore, e nun badava agli 'nteressi minuti, bensì a de' negozi di guadagno smenso, pigliava degli accolli e cose simili da crescere il suo in un mumento: accosì ne' giorni che ora si raccontano, il mercante andeva in Francia per un lavoro di fabbriche e aveva fatto i su' calcoli a tavolino che la 'ntrapresa doveva portargli un frutto macicano. Dunque lui ammannì tutti i bauli, e' pensò di menare con seco il figliolo maggiore; ma anche il più piccino voleva in ugni mo' andare col su' babbo: - I' vo' vienire con voi, babbo. Vederete ch'i' sarò bono e mi sforzerò d'aitarvi pur io, babbo. Qui solo a Milano nun ci vo' rimanere. Ma nun ci fu versi: il mercante disse di no, e il bambino fu obbligato a chetarsi per nun ne buscare. Sicché arriva l'ora della partenza, caricorno i bauli in una carrozza di posta, perché a que' tempi non c'era 'l vapore, e il mercante col su' figliolo maggiore saliti dientro, allo stiocco della squerza e al sono del corno si mossano i cavalli, e via! al trotto. Ma in nel trambustìo de' postiglioni, e poi era anco buio, non s'accorgette nissuno che il bambino del mercante si fossi di [178] niscosto accoccolato dirieto in sulla pedana della carrozza per seguitare su' padre insino in Francia. Quando ebbano camminato un bel pezzo, la carrozza si fermò alla prima posta per lo scambio de' cavalli; e il bambino, per nun esser visto, saltò in terra e aspettò che il legno si movessi per arritornare in sulla pedana. Alla seconda posta però il sole principiava a spuntar fora, e il bambino, doppo sceso al solito, si dilontanò e si mettiede a una cantonata aspettando il passo della carrozza per rimontar su: ma, o che lui nun ci abbadassi, o che nun n'avessi il tempo, insomma non potiede più riacculattarsi nel su' posto, la carrozza fuggì via e lui rimanette lì dibandonato in sul lastrico. Dapprima si sentiede quel poero ragazzuccio morire il cuore; solo, insenza cognoscenze, insenza un becco d'un quattrino per le tasche, e l'appetito nun gli mancava; ma poi si fece un animo, chiese la limosina d'un tozzo di pane, e a male brighe che fu satollo nuscì fuori del caseggiato e camminava a caso traverso la campagna, e doppo camminato un bel pezzo nun sapendo in che parte voltarsi, deccoti, trova una donna vecchia sieduta in mezzo alla strada. Dice la donna: - Oh! addove te vai solingolo, che pari smarrito? - Eh! nonna, - gli arrispose lui, - pur troppo i' sono davvero smarrito, e nun so che posti ènno questi e, addove i' vo. E' m'ène succeduto, che la carrozza con mi' padre e il mi' fratello dientro nun l'ho possuta più raggiugnere, sicché son resto 'n terra e la via per arritornare a casa dalla mamma nun la cognosco. E poi, a casa nun mi ci garba a farci nulla, e piuttosto i' anderò per il mondo 'n cerca della fortuna, una volta che il babbo m'ène scappo a quel mo'. Ma, per nun esser bugiardo, prutesto tavìa che il mi' babbo nun se n'era mica avvisto di me in sulla pedana del legno; perchene i' mi c'ero accoccolato di niscosto per la manìa di viaggiare 'n Francia con seco. Scrama la donna: - Bravo, il mi' ragazzo! Te mi sie' vienuto sincero e però tu meriti ch'i' t'aiti. Se tu cerchi la tu' sorte, te ha' fatto capo per l'appunto a chi t'insegnerà addove tu po' trovarla, a patto che te abbi mitidio e accortezza. Dice il ragazzo: - Dicerto i' son giovane; ma i mi' quattordici anni i' credo d'avergli, e un po' di cervello nella mi' zucca i' ce lo sento. Dunque, nonna, nun vi sgomentate, e se aete questa bona [ 179] intenzione d'aitarmi, i' starò in tutto e per tutto a' vostri comandamenti. Quella vecchia, già è facile a ficurarselo, 'gli era una Fata, e sapeva ugni cosa nel mondo, sicché disse: - Sta' ben attento alle mi' 'struzioni, che del male non te ne vierrà. Il Re del Portogallo 'gli ha una figliola dottora, che 'ndovina qualunque più difficile 'ndovinello. 'Nsino a qui nun rinuscì a le persone più sperte di vincerla e farla rimanere a bocca aperta. E sì che il Re gli ha imprumesso di sposarla con quello che pole rappresentargli uno 'ndovinello 'impossibile a spiegarsi da lei. Dunque anco te, il mi' ragazzo, devi andar là e far la tu' prova, e se vinci, la tu' sorte ène bell'e assicurata. Dice il ragazzo: - Ma come volete voi ch'i' sia capace a mettere assieme uno 'ndovinello di tanta difficilezza per una ragazza col cervello fino accosì? In queste cose i' son troppo 'gnorante e i' nun ho dello studiato. - Oh! - arrispose la vecchia, - i' ti metto in sulla via, e il resto 'ngégnati di farlo da te. I' ti regalo questo cane, e il su' propio nome, tienilo a mente, 'gli ène Bello, e Bello sarà che ti 'mpara a comporre uno 'ndovinello a modo per la figliola del Re del Portogallo. Piglialo dunque e menalo con teco. - Guà! come vi garba. E 'ntanto i' vi ringrazierò, se nun fuss'altro, del bon volere, - disse il ragazzo, che 'n fondo nun ci credeva dimolto alle parole della vecchia. Nunistante prendette il cane per la fune, e seguitò il su' viaggio. Menichino, si chiamava per battesimo accosì il figliolo più piccolo del mercante di Milano, con quel cane nun fece che camminare sempre tutto il giorno, e finalmente stracco e affamato in sulla sera viense a una casa di contadini, e con l'idea di riposarsi un po' e che gli dessano per carità qualcosa da sdigiunarsi picchiò all'uscio. C'era la massaia che impastava il pane, e quando vedde quel ragazzo lei subbito gli domandò che voleva. Dice lui: - Un boccon di pane e da dormire; anco sal balco 'gli è la medesima. Dice la donna: - Magari! Ma com'accade che te giri solo con coresto cane e tanto giovane? Oh! che il babbo e la mamma t'èn morti? Allora Menichino gli arraccontò a quella donna tutta la su' vita per insino a lì, e quella donna, che era una birbona, n'ebbe aschero nel sentire che Menichino avea la protezione [180] della Fata per trovar la su' sorte, sicché delibberò d'ammazzarlo col veleno e rubbargli 'l cane. Dice: - Bada! Il mi' omo 'gli è fora e lui nun so se è contento ch'i' alberghi de' forastieri, e però sarà meglio che te vadia nel bosco a dormire dientro la capanna. Ma prima aspetta ch'i' ti faccia un bel cofaccino a mi' modo, e con quello la fame tu te la cavi per un bel pezzo. E difatto la donna si mettiede a opera con la pasta e accomidò un cofaccino grande con della robba, che lei disse si chiamava pizzio, bona per dargli un sapore delicato, ma che 'n verità nun era altro che veleno; e quando il cofaccino fu cotto, lei lo porge a Menichino, perché l'andess'a mangiarselo nella capanna. Menichino dunque ringraziò la donna e s'arrivolse 'n verso il bosco, addove a mala pena che fu arrivo sbreccò il cofaccino e ne buttò un cantuccio al cane. Ma il cane, subbito che l'ebbe 'ngollo, giù, ruzzola a gambe all'eria per le terre, e lì a tessere co' piedi, e da ultimo si distese quant'era lungo e moritte. In nel vedere questo brutto successo Menichino stiede lì mezzo sbalordito; poi tutt'a un tratto però si riscotette e scramò: - Eppure questo 'gli ène il principio dello 'ndovinello! 'Gli avea ragione la mi' vecchia. Deccolo:

Pizzio ammazzò Bello, E Bello salvò me.

E' mi rimane da ritrovare il seguito. Quando Menichino si fu riposato la notte nella capanna, si mosse a bruzzolo, e doppo camminato delle miglia, lunghe come quelle che fa 'l lupo a digiuno, arriva a un fiume, addove si vedeva una gran cascata d'acqua che picchiava sur un masso 'n fondo, e dal tanto picchiare il masso era forato parte parte nel mezzo. Scrama Menichino: - Deccolo un altro pezzo d'indovinello.

Molle passò Duro.

Ora, 'gnamo 'nnanzi, ché il fine vierrà da sé, come disse la mi' vecchia. E traversato di repente il fiume in su delle passaiole, 'gli entrò in una macchia, e quando fu a uno spulito vedde un ciuco morto che sopra gli stavano tre corvacci a divorargli le budella, sicché quasimente da sé gli viense scramato:

E Morto porta tre!

[181] Dunque lo 'ndovinello i' l'ho a modo, e se la figliola del Re del Portogallo ci leva un numero, 'gli è davvero più che brava e saputa. Tutt'allegro e svelto Menichino badava a ire 'nnanzi e almanaccava per la via la sorte che gli poteva toccare, sicché sovrappensieri accosì nun gli parse punto lunga la spasseggiata, abbeneché la gli durasse dimolti giorni: ma finalmente si trovò nel Portogallo, e propio dientro la città reale. Lui nun stiede a pulirsi nemmanco dal sudiciume e dal polveraccio che aveva in su' panni sbrindolenti, e subbito s'appresentò al palazzo e chiese l'udienza; e quando il Re sentiede che c'era uno con uno 'ndovinello per la su' figliola, nun gli fece difficultà: la Principessa però in nel vedere un ragazzaccio a quel mo' sudicio e straccione nun potiede fracchienere le risa, e lo sbeffeggiava a più nun posso. Dice: - Te mi pari un bello sfacciato, che t'ha' uto l'ardimento d'appettarti con meco, quando tanti cavaglieri e signori e persone 'struite d'ugni lato èn rimasi scorbacchiati a mettessi al mi' paragone. Un pitocco dunque di stirpe 'gnota protende sapere tanto da vincer me e diventare il mi' legittimo sposo! Ma che ti pensi tene? Arrisponde Menichino con voce umile: - Senta lei, Principessa, fors'anco lei 'gli ha ragione, ma 'nnanzi bisogna in ugni mo' stare a ascoltarmi, e sentenziar doppo in sulla mi' bravura. E poi, se i' son vienuto qui col mi' 'ndovinello, 'gli ène perché il decreto del Re su' padre nun fa scelta delle persone; lo 'nvito ène scritto per tutti, s'i' nun ho sbagliato. Dice la Principessa: - Sì, sì, te ha' chiacchierato bene. Ma nusciamone, ch'i' mi son bell'e vienuta a noia: e bada, tu sie' sempre a tempo a ritirarti dallo 'mpegno: e t'avvertisco, s'i' t'indovino, te e te ne va' via pesto dalle legnate. Con questo guadagno alle viste Menichino, un po' di sospetto e' gli nascette nel core; ma oramai c'era nello 'mbroglio, e poi s'arrammentava della 'mprumessa della vecchia Fata, epperò con arditezza disse: - Il mi' 'ndovinello 'gli è questo che qui:

Pizzio ammazzò Bello E Bello salvò me; Molle passò Duro E Morto porta tre.

[182] Alé! alé! indovinate quel che 'gli è, se siete brava come vo' dite, sora Principessa! La figliola del Re a male brighe che gli ebbe sentuto la proposta, scramò: - Ci vol' poco: Pizzio era un tu' fratello, che per salvarti dalle mane di Bello tu' nemico l'ammazzò in qualche modo, e te arzigogoli accosì che Bello, perché ti salvò colla su' morte, nun ti potiede far più del male. Molle... Molle... Ma nun gli vieniva alla Principessa la spiegazione del resto, sicché si mettiede la testa tra le mane giù china in su le ginocchia, e si grattava la cicollottola con le dita, e nunistante il bandolo a andare 'nnanzi nun gli rinusciva trovarlo. Finalmente, doppo un bel pezzo di meditazione, disse: - Mi do per vinta. Questo tu' 'ndovinello m'è 'mpossibile 'ndovinarlo. Spiega te il su' misterio. Allora Menichino arraccontò per filo e per segno tutta la su' storia, e che lo 'ndovinello l'aveva composto per istrada aitato dalla virtù d'una Fata, sicché concluse col voler mantienuta la 'mprumessa dell'editto reale. - Guà! i' nun posso rifiutarmi assoluto, - disse la Principessa, - abbeneché nun mi garbi diventare la tu' sposa. Te nun sie' di mi' pari. In ugni mo' son pronta al comando del Re mi' babbo, quando te e lui non siete contenti d'un accomidamento di mi' idea. Arrisponde Menichino: - Oh! Se c'ène il mi' 'nteresso, per me son d'accordo. Soltanto arricordate ch'i' son partito da casa per fare la mi' sorte; e per mutare quella d'esser principe con un'altra, quest'altra bisogna che almanco ci stia al paragone. Dice la Principessa: - Sicuro, che al paragone ci sta: 'gli è anzi da più. Perché se te mi lassi libbera, i' t'offerisco una ricchezza 'nfinita e ugni contentezza nel mondo, meglio che una Principessa come me per moglie, sempre scontenta e disperata d'averti per marito contro su' genio. I' ti dò in scambio il Segreto del Mago della Montagna del Fiore, e quando questo Segreto è nel tu' possesso, chiedi pure, ché nulla ti mancherà. - Ma questo Segreto addov'è? - domandò Menichino. Dice la Principessa: - E l'ha con seco il Mago in sulla Montagna del Fiore, e chi lo vole deve andar da sé a chiederglielo 'n persona. Se ti garba, ti metterò per istrada. Menichino stiede dapprima a ripensare un po', se doppo trova la prima sorte gli convieniva lassarsela scappar di mano [ 183] per cercarne un'altra. Ma pur troppo gli parse che questo partito era meglio, perché chi sa che vita mai arebbe condutto sposo d'una Principessa insenza punto amore per lui e che lo pigliava quasimente per forza; sicché disse risoluto: - I' accetto 'l patto, con questo tavìa; che se il Segreto nun mi tocca, i' vi tiengo allora sempre legata a me con la 'mprumessa dell'editto regio. Mettetemi per istrada. Dice la Principessa: - Il Segreto ti tocca di certo, purché te abbi del giudizio e core. Te pàrtiti da qui di bon'ora, e quando te sara' al piè della Montagna, lì ci sta un Vecchio che ti farà delle domande. Vagli sincero e nun ti dubitare, che lui t'insegna per l'appunto come si fa per essere alla presenzia del Mago. In ugni mo', se il Segreto nun ti tocca, torna pure al palazzo, ch'i' son pronta a ricompensarti col diventare tu' legittima sposa, parola di Principessa. Dunque Menichino la mattina che viense s'avviò in verso la Montagna del Fiore e lì al su' piedi s'imbatté nel Vecchio, che subbito gli addomandò, chi lui era e addove se n'andeva. Dice Menichino: - I' vo' a pigliare il Segreto dal Mago che sta di casa lassù 'n vetta, e mi ci ha mando la figliola del Re del Portogallo. Scrama il Vecchio: - Che! 'gli è una 'mpossibilità. Te sie' fora di cervello. Quello 'gli è un Mago barbaro e nun cognosce pruteziorte. Te vai, poero disgraziato, a morte sicura. Arrisponde Menichino: - 'Gli accada pure di me quel che è destinato, ma i' vo' ire dal Mago e chiedergli in regalo il su' Segreto. Ho prenduto questo 'inpegno e non posso tornare addietro insenza ch'i' mi provi se rinusco. E per farvi capace delle mi' bone ragioni e' vi racconterò tutta la mi' storia. Difatto Menichino per insin dal primo principio gli disse chi lui era, il viaggio suo, che aveva 'ncontrato la vecchia Fata, e 'nsomma ugni cosa che gli era intravvienuta; sicché il Vecchio cognosciutolo sincero gli disse: - Il mi' consiglio sarebbe quello che te andessi via 'nsenza provarti a vedere 'l Mago. È un gran risico che te disfidi, e de' più toghi e 'sperti di te ci han lasso la vita nella 'ntrapresa. Ma pure, se questa ène la tu' ferma volontà, deccoti i mi' 'nsegnamenti. Salisci 'n vetta alla Montagna; te trovera' un palazzo e devi picchiare all'uscio: ma bada di nun t'impaurire di quelli che t'aprano; [184] faccia tosta e addimanda che ti presentino al Mago; a lui poi 'n persona fagli la richiesta del Segreto. Forti, veh! Se te anco un zinzino tentenni, la tu'ciccia gli serve di culizione al Mago. Gli 'mprutnesse Menichino intiera ubbidienza al Vecchio e, doppo averlo salutato con cento ringraziamenti, principiò a montare la salita, e in un' ora 'gli era 'n vetta di quella Montagna faticosa; lì ci si vedeva un palazzone smenso, fatto per incanto, con de' giardini d'attorno, e bello e ricco da nun si potere descrivere. Insenza 'ndugio Menichino picchia al portone, e decco che gli aprano un mucchio di figuracce tra omini e donne, ma brutte orrende da metter paura anco alla Paura medesima: nunistaate Menichino fece lo 'ntrepido e disse che lo menassino alla presenzia del Mago. Viense innanzi a quelle parole un gigantaccio feroce, che pareva un mostro e era il maggiordomo del Mago. Dice: - Il mi' ragazzo! Dell'ardimento te n'hai a dovizia, ché nun ti periti a voler vedere il mi' padrone. Bada, degli altri quassù c'enno arrivi, ma 'ndietro non ci son più ritorni. Dammi retta; vattene a gambe: te il mi' padrone nun lo cognosci e il mi' consiglio è quello che tu nun cerchi di farla una simile cognoscenza. Arrisponde Menichino: - I' viensi fin quassù a traverso a cento difficilezze e risichi per esser presentato al Mago, e via nun vo' nemmanco con gli spintoni 'nsenza prima averlo visto. Sicché dunque annunziatemi a lui e nun pensate a altro. In nel sentirlo risoluto accosì il maggiordomo corse a dare l'avviso al Mago, che un ragazzo ardito bramava fargli una visita, sicché il Mago gli comandò che lassasseno passar Menichino alla su' presenzia. Lui tra di sé pensava: - Decco stamattina un bon boccone di carne fresca di Cristiano! A male brighe poi che Menichino 'gli entrò dientro nella cammera, addove il padrone steva in panciolle su de' ricchi tappeti, subbito con una vociaccia che parse un tono sbergolò il Mago: - Chi siei te? E da me che vo' tu? Arrisponde franco Menichino: - Nun abba sospetto lei, sor Mago, i' nun viensi qui 'n casa sua per nulla di male. I' sono un poero ragazzo sciaurato che cerco la mi' sorte, e m'hanno 'ndirizzo a Vossignoria lustrissima, perché lei è persona cognosciuta per la su' carità e che fa del bene agli sfortunati. Figuratevi se q uel [185] Mago, che mangiava gli omini vivi per su' gusto, nun rise a questo discorso di Menichino! Sgretolò du' fila di denti, ché la gramola fa meno chiasso in nel trinciar la canapa o il lino. Dice lui doppo: - Ma qui chi ti ci ha mando e a che fare? Allora Menichino pure al Mago gli spiattellò insenza lassare nemmanco un punto tutta la su' solita storia. - Bravo il mi' ragazzo! - scrama il Mago, e 'n quel mentre s'arrizza in sul gomito per veder meglio Menichino: - Te ha' uto del coraggio e mi garbi: te sie' stato sincero e ti lodo. E bada, sie' te 'l primo a rompere questo 'ncantesimo, epperò te meriti il premio. Dunque ti concedo la grazia del mi' Segreto e ti lasserò sortire dal mi' palazzo sano e salvo, perché te l'addoperi a tu' piacimento e divienghi omo ricco e affortunato. S'intende, a patto che nun ti manchi mai 'l giudizio, e 'nnanzi tutto che te nun dibandoni il mi' Segreto, sicché o vadia sparso o te lo rubbino. In questo caso, colpa tua, se l'acquistato nun ti fa bon pro' e in un momento ti sparisce di fra le mane. To', deccoti qui questa verga fatata dalla mi' potenzia. Ugni volta che la sbatterai per le terre, chiedi, e quel che brami l'averai. Ora t'ha' capito, tientelo a mente e vattene addove meglio ti torna. Menichino allungò pronto la mano e prendette la verga, e poi con una rifitta di riverenzie e ringraziamenti se ne partì dalla presenzia del Mago, sortì dal palazzo e, scesa la Montagna del Fiore, camminava per la strada insenza sapere per che verso. Doppo camminato accosì per un po' di tempo a caso, Menichino principiò a pensare: - Oh! che nun sarebbe meglio s'i' ritornassi a casa mia in ficura di signore, vedere se tutti èn vivi e se me e' m'hanno smenticato? 'Gnamo, questa sarà la prima prova della verga che il Mago m'ha regalo. Detto fatto, picchia la verga 'n terra, e subbito sente Menichino una voce: - Comandi! Arrisponde lui: - Comando la carrozza con tiro a quattro, servitori, e staffieri e vestuari da gran signore. E di repente apparisce tutto quello che lui bramava; sicché monta 'n carrozza, i servitori gli dan di braccio, lo rivestano alla moda, e po' via! a galoppo serrato per insino alla città di Milano insenza fermarsi. Guà! i cavalli gli eran fatati e la strada la fecian'a volo. Arrivo che fu a Milano, i sua nel solito palazzo non ci stevan più; su' padre 'nvece di [186] guadagnare nell' accollo di Francia s'era lasso mettere 'n mezzo da degl'imbroglioni più furbi di lui e aveva quasimente perso tutta la su' ricchezza, e gli era manco il credito; sicché lui con la famiglia fu ubbligato per forza a andare a pigione in una casaccia 'n disparte, e lì camparsene alla meglio. Menichino l'andette a cercare, e ognuno rimané della fortuna che disse aver 'uta ne' su' viaggi; ma della verga nun ne tiense parola; sibbene volse che tutti di casa sua abitasseno con seco in un gran palazzo che lui aveva fatto apparire per virtù d'incanto, e diede a intendere che di su' ordine fosse stato fabbricato da de' manifattori dimolto 'sperti nel mestieri: e dientro ugni cosa stramoggiava; la dovizia era smensa; robbe, vestuari, mobiglie, cavalli, servitori e cammeriere di tutti i generi, e quattrini a monti. Si pole dire che la contentezza doveva consolare per sempre la famiglia di Menichino, se la contentezza si trova pure 'n questo mondo. Difatto c'era 'l fratello di Menichino, che l'aschero lo rodeva dalla mattina alla sera. Lui nun si poteva dar pace di vedere Menichino tanto affortunato, e lui, che era il cucco di su' padre, messo in un canto e mantienuto da Menichino: gli pareva un vilume questa su' vita quasimente di sottoposto e con nulla di suo, e che il più piccino fuss'il padrone spotico in nella casa. In ugni mo', nun s'ardiva di palesarlo all'aperto questo su' animo cattivo, e fingeva un gran bene al su' fratello, e d'ubbidirlo ne' su' comandi; ma di niscosto cercava sempre di scoprire d'addove vieniva la gran ricchezza di Menichino, con che mezzi lui otteneva tutte le su' brame, e che ci fusse qualche 'ncanto gli nascette in nel pensieri. Con quest'idea spesso si metteva al buio a spiare dal buco della chiave la cammera di Menichino quando lui c'era dientro, e vedde pur troppo che Menichino almanaccava e ragionava con quella verga regalatagli dal Mago in sulla Montagna del Fiore; sicché delibberò di portargliela via a ugni patto e accosì servirsene lui, e Menichino raddurlo a poero come prima. Un giorno dunque che Menichino se n'andiede a far delle visite e aveva lasso per ismemorataggine la su' cammera aperta e la verga fatata dientro 'l cassettone, il su' fratello insenza tanti discorsi gli rubbò alla svelta la verga, e corse subbito doppo nel su' appartamento per provarne la virtù: [ 187] ma fu tutto inutile, perchè la verga nelle su' mane nun contava più nulla. Dice: - I' arò sbagliato. Dicerto nun è questa la verga degli 'ncanti. Ma 'n quel mentre che lui si preparava a tornar nella cammera di Menichino per rifrucolarla daccapo e meglio, deccoti Menichino di ritorno. A queall'apparita improvvisa il fratello 'gli ebbe paura d'essere scoperto, sicché 'n furia spezza 'n mezzo la verga e la scaraventa fora della finestra dientro al giardino. Del rubbamento della su' verga Menichino nun se n'accorgette subbito, perché lui tutti i giorni nun l'addoperava, ma quando gliene viense il bisogno, cerca di qua, cerca di là, nun fu possibile che lui la trovassi la su' verga. Figuratevi se 'gli era disperato e sgomento Menichino! Com'aveva da fare insenzaia verga? Tutto ito 'n fumo per la su'scapataggine, e finito quel che c'era, mancava il mezzo a riempire i vòti. Scende mezzo for di sé in nel giardino Menichino e spasseggiava per i viali com'un matto, nun sapendo a che santi raccomandarsi per rimediare alla su' disgrazia. Chi fusse stato l'autore del malestro nun l'immaginava, perché de' sospetti su quegli di casa nun n'aveva punti per allora; ma 'n quel mentre deccoti a un tratto alza 'l capo, e vede su' rami d'una pianta come una mazzetta stroncata 'n dua. A quella vista a Menechino gli sobbalzò il cere: lesto allunga le mane, scote la pianta e que' pezzi cascan giù, e diviato ricognosce che sono la su' verga, ma rotta a quel mo' chi sa mai se la verga serba la su virtù! Dice Menichino infra di sé: - Proviamo. Batte dunque i pezzi della verga in terra, e deccoti la solita voce scrama: - Comandi! Oh! tu sie' sempre tei La tu'virtù non l'ha'spersa. Tanto meglio! - disse Menichino, - e dell'avvertenza i' saprò profittarne. Se c'è stato dello 'nganno, i' vierrò a capo di scoprirlo. In questo tempo successe che il Re di Spagna mandò un bando da per tutti i paesi, che lui aveva una figliola unica da maritare, e chi la voleva bisognava che vincessi alla giostra per tre giorni di fila. Dunque mandava 'nvito a' più bravi cavaglieri d'ugni parte, che vienissen pure alla su' Corte a combattere sul campo, e il vincitore per via dello sposalizio sarebbe divento anco l'erede di tutto il regno. Menichino in nel sentire questo bando lui pure pensò subbito d'andarsene in Spagna e vedere [188] se gli rinusciva la vittoria, e accosì essere trascelto a Principe della Corona e erede di Sua Maestà. Picchia la verga con quest'idea e fa comparire cavalli, scudieri, armi splendenti e un traino da gran signore, e doppo lassato a su' parenti munete e robbe da camparci per dimolti mesi 'nsenza mancamento di nulla, se ne partiede e in pochi giorni 'gli arrivò alla città del Re di Spagna; ma nun volse che lo cognoscessano, e albergò in una locanda remota, e là aspettava che fusse aperta la giostra. Deccoti finalmente che il giorno della giostra viense, e la gente s'affollava nello 'impalancato per godersi questo bello spettacolo. C'erano in sulle scalinate signore e signori di tutte le sorte, e dientro un dificio ricoperto col baldacchino di tela d'oro e di velluto ci si vedevano il Re con la Principessa e co' più gran Baroni del Regno, chi sieduto e chi 'n piedi a ragionare de' loro 'nteressi. Di repente sonano le trombe e nentrano in piazza una fila di cavaglieri con le lance ammannite per la battaglia, sicché al segnale cominciorno a picchiarsi, e chi le buscava gli eran le sua; ma pareva che fussan tutti dell'istessa forza, e per le terre nun ne cascava nissuno. Quando a un tratto a carriera serrata comparisce di fora un altro cavaglieri con la visiera giù 'n sugli occhi, e disfida ognuno a contrastar con seco, e in men che nun si dice manda a gamb'all'eria quanti si provorno a appettarlo; poi insenza aspettare risvolta addietro il su' cavallo e fugge via più lesto d'una saetta. Rimanettano sbalorditi a quell'assarto d'uno 'gnoto tanto il Re che gli altri, e facevano più almanacchi di Barbanera per 'ndovinare chi lui era; ma fu tutto inutile, perché nun trovorno un'anima che potessi rammentarsi d'averlo ma' visto. Per nun allungarla, sappiate che anco il secondo giorno della giostra 'gli accadé il medesimo gioco, sicché Sua Maestà, un po' curioso di scoprire il cavaglieri e un po' impermalito de' su' modi, diede ordine assoluto, che se lui si presentava il terzo giorno l'arrestassino con le bone o con le cattive, e a questo effetto messano guardie doppie nello 'mpalancato e a' cancelli dell'entrata. Come ci si pole figurare, anco nell'ultima giostra apparse quel cavaglieri e scaraventò fora di sella tutti i combattitori, e siccome nel correr via viense a rasentare il palco regio, la Principessa gli buttò la su' pezzola ricamata in segno di contentezza, o lui la prendette a volo insenza fermarsi; [ 189] ma al cancellato nun lo lassorno passar libbero: le guardie volsano arrestarlo con le bone. Al cavaglieri però nun gli garbeggiò punto di farsi ricognoscere in quel momento, sicché tirata la su' spada dalla fodera, si mettiede a picchiar giù di santa ragione e gli rinuscì sgattaiolarsela, ma con una ferita dientro una coscia. Il Re nun sapeva quel che si pensare di questa ostinatezza del cavaglieri, e perché lui nun voleva appalesarsi quand'era vincitore; diede dunque ordine che lo cercassino da per tutto, che fussan sbarrate le porte della città, e che glielo menassino alla su' presenzia. Guà! s'arrabattorno tanto i Ministri reali, rinfrustorno tanto per ugni casa e per ugni locanda, che finalmente gli rinuscì trovarlo il cavaglieri in quell'albergo dappoco, e lui steva a letto per via della ferita toccatagli dalle guardie. In sul primo dubitavano per insino se proprio era il cavaglieri 'gnoto della giostra, perché nun potevano capacitarsi che un signore a quel mo' volessi rimanere niscosto in un albergo da gente povera; ma lui gli fece vedere la su' ferita, e che se l'era fasciata con la pezzola della Principessa, sicché insenza tanti discorsi lo presano e lo condussan dal Re. Dice il Re: - Oh! che idea v'è egli trapassa per il capo di nun si far cognoscere almanco doppo la vittoria? Che misteri ènno questi? Arrispose Menichino, giacché quel cavaglieri, vo' ve ne sarete accorti, gli era lui 'n persona: - Che vole, Sacra Corona! Ognuno ha le su' idee, e anco io ho le mia. - Ma 'nsomma, - disse il Re, - ora 'gli è il tempo d'appalesare l'essere vostro e la vostra stirpe. D'addove vienite? Come vincitore della giostra in tutti e tre i giorni vo' dovete sposare la mi' figliola e diventare l'erede del Regno, quando nun ci sieno de' taccoli in contrario. - Decco, - Menichino gli arrepricò, - de' taccoli di birbante faccio giuro di nun portarne punti addosso. In ugni mo', stia lei, la Principessa e la Corte a sentire la mi' storia, e poi giudichino s'i' son degno di questa bella fortuna. E subbito Menichino sieduto sopra un panchetto disse tutte le su' avventure, ma nel medesimo momento s'accorgette che dimolti in nell'ascoltare rastiavan la gola o stropicciavano 'l solaio co' piedi. Dice il Re, doppo che Menichino 'gli ebbe finito il su' discorso: - Dunque, vo' nun siete cavaglieri di nascimento, [190] ma figliolo d'un mercante di Milano, e ugni bene vi cade per prutezione d'incanto. E se lo 'ncanto si sperde, che ne sarà di voi e delle vostre ricchezze? Anco la Principessa scramò: - Badi, signor padre, in che risico lei m'ha messo col su' editto per la giostra! E i Baroni all'intorno protestavano che un da meno di loro per Sovrano nun intendevano d'accettarlo: e siccome principiava un gran brusio per la sala, il Re comandò che stessano zitti, perché credeva d'aver trovo un rimedio da contentarsene ognuno, e però s'arrivolse a Menichino con una proposta: - Nun c'è un dubbio; per le parole del mi' bando e per la vostra vincita la mi' figliola bisogna che sia vostra sposa e voi l'erede del Regno: ma i' ho paura che 'nvece di ricavarne un vantaggio e una sorte, si risichi tutti d'avere a ridosso di gran disgrazie. La mi' figliola nun ène contenta, i Baroni barbottano, il popolo chi sa come la 'ntende, sicché voi sarete un Principe mal accolto e mal trattato, e sempre 'n mezzo a letigi e ribillioni. I' vi propongo uno scambio di premio, se vi garba lassare 'n libertà la mi' figliola. - Sì, l'accordo volenchieri, - disse Menichino, - a patto nunistante ch'i' nun ci rimetta nello 'nteresso. Dice il Re: - La mi' idea sarebbe dunque di darvi in scambio della mi' figliola una pensione di mille lire all'anno 'nsino a che vo' campate. - Sta bene! Menichino gli arrispose, e doppo che gli ebban consegno una bona ubbligazione scritta per man di notaio, se n'andiede via e arritornò a Milano. A casa sua, quando lo riveddano e gli disse tutte le su' intraprese, Menichino l'accolsano con allegrezza, salvo il fratello maggiore, che la rabbia e l'aschero non gli eran per anco nusciti dal core, ma pur troppo cresciuti a dismisura, e si sconfondeva ogni dì a scoprire da che parte Menichino tirava la su' sorte, e qualche volta gli deva delle botte a traverso, e gli faceva de' dispetti. Infrattanto il vecchio mercante s'ammalò, e sentuto di dover morire, diede i su' consigli a' figlioli, e più di tutto s'arracomandò al più grande, che lui volessi bene a Menichino e lo rispettassi come quello che aveva tra le mane la fortuna della famiglia; poi, doppo poco, rendé l'anima a Dio, lassando la moglie vedova e que' da' fratelli assieme. Menichino per isvagar su' madre 'gli aveva nell'idea di mettersi 'n [ 191] viaggio a vedere il mondo; ma 'l fratello maggiore, che nun gli garbava d'essere ubbligato a Menichino del divertimento e della spesa, arzigogolò tanti protesti e tante scuse, sicché il viaggio 'gli andette in fumo; piuttosto macchinava nella su' testa di levarsi d'attorno quella puce, e diventare accosì il padrone spotico del palazzo e di tutto. Ora, siccome Menichino aveva per costume di fare visita a degli amichi in una villa fora delle porte di Milano, il su' fratello ascheroso delibberò d'ammazzarlo per istrada, e per questo si metté d'accordo con du' birbaccioni di sicari, perché loro gli facessano il tiro. Dissan quelli: - E quanto si guadagna? - I' vi regalerò cento zecchini a cose finite, - gli arrispose il fratel maggiore: - posteggiatelo al passo quando lui arritorna di notte, ché il colpo 'gli è più che sicuro. E acqua 'n bocca. E difatto un bel giorno Menichino disse che andeva a pranzo da' su' amichi 'n campagna; prendette con seco la verga fatata e montato a cavallo si partì da casa, e a male brighe che si trovò oltre la porta della città, con la verga picchia in terra e la voce disse: - Comandi! - Comando che 'l mi' cavallo corra quanto 'l pensiero, - e subbito quanto 'l pensiero corse l'animale, e in un battibaleno deccotelo a piè dello scalone della villa. Lì dunque fece il su' pranzo con grand'allegria, e doppo mangiato, per ispassarsi, scese a spasseggiare dientro al giardino, quando a una svoltata d'un viale gli si presentò dinanzi una Vecchia grinzosa e deforme, sicché Menichino n'ebbe quasimente paura. Dice la Vecchia: - Oh! che nun mi ricognosci? - Io no davvero. Nun m'arricordo d'avervi ma' vista, - arrispose Menichino. Dice la Vecchia: - Eppure i' son quella che te scontrasti la prima volta che nuscisti da casa tua e che ti regalò il cane per trovare lo 'ndovinello. - Oh! - scrama Menichino: - 'gli è passo tanto tempo da quel giorno, che vo' mi compatirete se subbito non v'ho ricognosciuto. La sorte la trovai, veh! - Eh! lo so anco io, - disse la vecchia: - ma ora tu risichi di perderla in un mumento, se ti manca il giudizio. Arricòrdati delle parole del Mago. Dice Menichino: - Nun vi dubitate, nonna, ch'i' le tiengo ben a mente. - Chi lo sa! - arrispose la vecchia. - In ugni mo' son vienuta qui per darti un [192] avviso. Se nun ti guardi, stanotte al tu' ritorno du' sicari compri dal tu' fratello ènno appostati per ammazzarti. Che nun te ne sie' accorto che il tu' fratello nun ti pole vedere? - Che dite voi, nonna? - scramò tutto impensierito Menichino. - Io al mi' fratello nun gli ho fatto che del bene. Se lui è ricco e nun gli manca nulla, lo deve tutto a me. - E per questo appunto che lui ti vol male, - disse la Vecchia; - e se del male gli rinusce di fartelo, va' franco, lui te lo farà. Dunque, sta' all'erta. - Che rimedio ci pol esser egli? - addimandò Menichino. Dice la Vecchia: - Per istanotte il rimedio è facile. Tornatene a casa come te sie' vienuto. Ma poi bàdati da te. Omo avvisato 'gli è mezzo salvato. E doppo queste parole la Vecchia sparitte. A buio fitto, dunque, Menichino diede l'addio a su' amichi, e montato a cavallo ordinò alla verga che la bestia corrisse quanto 'l pensiero per rimenarlo a casa, sicché gli assassini che lo posteggiavano gli ebbano un bell'aspettare 'nvano; nun furno capaci di veder nulla; e la mattina quand'e' feciano il racconto d'esser resti con le mane vote al fratello maggiore, lui dapprima nun ci volse credere; ma poi scramò: - 'Gli è lo 'ncantesimo che ha addosso che l'ha salvato! Bisogna addoperarsi in un'altra maniera. Vienite stanotte al palazzo e vo' l'ammazzerete a letto quel superbioso. Accosì combinato, quando fu la mezzanotte deccoti i sicari che picchiano al portone, e il fratello maggiore andiede da sé a aprirgli e gli menò su all'uscio di cammera di Menichino. Menichino però che steva in sul sospetto 'gli aveva comandato alla verga, che il su' uscio nun si potess'in nissun modo spalancare, sicché i sicari s'arrabattorno inutile sopr'esso, perdettano il tempo e a levata di sole gli conviense fuggir via per nun essere scoperti. Il fratello maggiore propio si rodeva dalla rabbia per una simile scorbacchiatura; ma pur troppo fu Menichino medesimo che si buttò da per sé nel botro! Passate che furno diverse settimane, e 'gli era la stagione de' cacciatori, anco Menichino si volse prendere questo spasso di cacciare con lo stioppo, e 'nvasato da' preparativi e dall'idea di divertirsi, una mattina a bruzzolo sortì co' cani dal palazzo e si scordò della su' verga 'n cammera. Il fratello maggiore, che [ 193] steva sempre di sentinella per fargli del male, diviato nentra dientro la cammera e si mettiede a sconvolgere gli armadi, il letto, il cassettone, e fruca e rifruca gli viense tra mano la verga fatata in du' pezzi. Scrama: - Tò! propio 'gli è questo 'l Segreto della sorte di Menichino, altrimenti lui non l'arebbe raccatta dal giardino 'ndove i' la buttai. Ma ora poi lui non l'ha più da rivedere. Infurito e insenza pensare a quel che potessi succedere, corre giù 'n cucina con la verga tra le mane e la scaraventa in nella bracia accesa, sicché la verga in un attimo si raddusse in cendere e l'incanto viense distrutto con lei. Addio palazzo, addio cavalli, addio tutto! ugni cosa sparito insenza rimedio e la famiglia del mercante più poera e strucia di prima. Se n'accorgette subbito Menichino della disgrazia, perché pur lui rimanette a un tratto nudo e bruco, sparito lo stioppo, spariti i cani, e dal dispiacere cascò per le terre come morto. Ma fu inutile il piangere: la colpa 'gli era sua e lo striderci su era 'nvano; sicché doppo un bel pezzetto risolvé di nun ci tornare a Milano, e piuttosto avviarsi 'n verso la Spagna per campar lì con quella pensione di mille lire all'anno assegnatagli dal Re. Dunque con questo pensieri lui s'arrizza, e bandellon bandolloni principia il su' viaggio, e ugni po' po' sospirava la bella sorte persa per la su' buerìa. Troppo tardi, poer'allocco! Cammina cammina, Menichino quando fu al passo d'un fiume ci riscontrò un omo, che alla vista pareva un mercante di bestie. Come 'gli accade in simili circostanzie tra viaggiatori, dapprima si salutorno, poi assieme scesano nella barca per traversar l'acqua, e alla fine seguitando la strada si fecian delle domande uno con l'altro e dientro un'ora ognuno cognosceva per l'appieno tutti i casi del compagno. Quell'omo in nel sentire le disgrazie di Menichino s'intenerì e gli disse: - Che v'adatteressi a qualche lavoro? Arrisponde Menichino: - Nun mi parrebbe vero! 'Gli è quel che cerco nella mi' sciaura, ma purché non sia un lavoro di troppa fatica. Dice quell'omo: - Vienite a servir me, che nun si tratta con meco d'altro che di menare de' capi di bestiame di qua e di là addove c'c'ènno le richieste. Resti ben d'accordo, giunsano in quel mentre a un'osteria per riposarsi e mangiar qualcosa; [194] e doppo che furno satolli andiedano a letto. Ma in sulla mezzanotte deccoti un branco d'assassini, che buttato giù l'uscio si mettiedano a far sacco d'ugni robba che trovorno; e siccome l'oste e i forastieri pretesano d'opporsi, quegli assassini 'nsenza tanti discorsi ammazzorno tutti, e accosì 'gli ebbe fine la sorte di Menichino. Nemmanco però 'l fratello di Menichino rinuscì meglio la fortuna: vienuto poero 'n canna, tentò 'nvano d'arricchire con la mercatura, e da ultimo disperato andeva a rubbare assieme con de' ladri di mestieri. A' ladri, si sa, gliene vanno bene nove e alle dieci rimangan alla stiaccia; e anche a quel birbone di fratello gli toccò la pena secondo il su' merito: perché gli sbirri gli fecian la posta, lo chiapporno caldo caldo in sul delitto, e lo stiafforno incatenato in catorbia; d'addove nun sortì fora che col prete accanto per raccomandargli l'anima prima di morire con la testa tagliata.

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