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NOVELLA XVIII
- La Prezzemolina
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
C'era una volta una donnetta, contadina con un po' di terra e a male brighe ci ricavava il campamento; e lei tieneva a fargli le su' faccende un garzone. Si sa; le donne, quand'ènno sole accanto all'omo, finiscano tutte a un modo: quella donnetta e' garbò al garzone e lui a lei, sicché dunque nun potiedano stare tanto tempo a patire e conclusano lo sposalizio, e subbito la donna fu pregna. Ma nun si sentì ma' bene, perchene lei nun trovava nulla di bono da mangiare, e nun c'era versi che gli entrass'in bocca se no altro che prezzemolo. Ma sì! il prezzemolo dell'orto, ce ne fussi stato! 'gli era finito da un pezzo. E 'mperò la donna rimase insenza metter qualcosa nello stomaco da tre giorni 'n fila. Eran disperati lì per casa. Deccoti, comparisce un merciaio, di quelli che vanno con la pianera a zonzo per le campagne a vender ninnoli, spille, cotone alle massaie. Lui, a vedere que' dua mezzo allocchiti, dice: - Oh! ch'ate voi? Oh! che v'ène apparita la Versiera? Dice l'omo: - Eh! no. La mi' donna, poeraccia, 'gli ène pregna e nun pole mangiare che prezzemolo. Ma s'ène rifinito tutto quello dell'orto e 'n questi loghi nun se ne trova più; sicché lei da tre giorni 'gli è resta a denti asciutti. Dice 'l mercante: - Ve lo 'nsegno io addove del prezzemolo ci se ne trova a dovizia. A un cinque o se' miglia da qui un signore 'gli ha un orto tutto serrato con ugni ben di Dio dientro, e con tre prode di prezzemolo fitto e rigoglioso, che propio ène una meraviglia. Corrite là a bruzzolo, che del mangiare vo' n'arete a corbelli. [ 167] Il garzone nun intese a sordo, e la mattina, che il sole nun era nemmanco levo, pigliato un sacchetto con seco e un falciolo se n'andiede a ricercare l'orto, e cammina cammina ci arrivò; ma gli ci volse del bono a ripire su per il muro erto. Insomma, gli rinuscì d'entrarci. Nell'orto nun c'era anima viva, e il garzone lesto lesto segò mezza una proda di prezzemolo, n'empiette il su' sacchetto e via! a corsa a portarlo alla su' donna, che contentona e' n'ebbe da sfamarsi per una settimana, ficuratevi! Ora, bisogna sapere che quell'orto l'avea nel su' possesso l'Orco, e quando lui sortì da letto e vedde lo sciupinìo del prezzemolo, gli prese una gran passione e principiò a berciare alla su' moglie: - Scendi giù, Catèra! Vieni e vedi, che m'hanno rubbo il prezzemolo. Ladracci 'nfami! Almanco, se gli bisognava, me l'avessin chiesto! Ma rubbarmelo è stato da birboni. S'i' vi scopro!... S'i' vi scopro!... E da tornare vo' ci aete. Anzi lui in questa credenza rizzò lì 'n disparte un capanno ricoperto con delle frasche verdi, e ci si mettiede a far la guardia al su' prezzemolo. In capo a otto giorni il prezzemolo la donnetta pregna l'aveva bell'e finito, sicché dunque il garzone col su' sacchetto e il falciolo riviense di niscosto all'orto dell'Orco per farne un'altra provvista; ma a male brighe che lui principiò a segare, deccoti salta fora l'Orco e l'agguanta per il collo: - T'ho chiappo, malandrino! - scramò con una vociaccia da metter paura a un sacco di Madonne. - E ora nun c'è scampi, e tu me l'ha' a pagare con la tu' pelle. E 'n quel dire lo strascica 'n casa e lì lo sbatacchia per le terre con idea di finirlo; e gridava: - Gnamo, corri, Catèra, s'ha da mangiar subbito. Il garzone a quegli strapazzi si credé morto, ma poi gli prese un animo, s'arrizzò 'n ginocchione e si diede a raccontare la su' storia all'Orco; e seppe lui accosì arraccontarla bene e con tante lagrime, che l'Orco si sentette intenerire e disse: - Ti perdono, via! ma a un patto. - Dite pure, - gli arrispose il garzone rinfranchito: - v'accordo ugni cosa, purché mi lassate arritornare dalla mi' poera donna. Dice l'Orco: - Quest'èn il patto. Piglia pure del prezzemolo nel mi' orto, quanto ti ce ne vole per mantiener la tu' moglie. Lei col prezzemolo fresco accosì parturirà una bella creatura fresca. Ma quando lei averà [168] parturito, io la creatura la vo' mezza per me, che m'ha da servire per culizione. - Guà! sia fatto il piacer vostro, - arrispose insenza pensarci il contadino, e poi, pienato il sacchetto col prezzemolo, più morto che vivo, reggendosi a mala pena in sulle gambe, ritornò alla su' casa. La moglie, quando lo vedde a quel modo sficurito, s'insospettì a bono, e volse sapere quel che gli era intravvienuto; e lui gli disse tutte le su' disgrazie che gli eran tocche. Scrama la donna: - Oh! sciaurato quel che tu ha 'mpromesso! Dunque la creatura bisognerà squartarla in du' pezzi? E il contadino: - Cattadeddina! I' volevo vedere, se te fussi stata lì e t'avessin volsuto stiaffare dientro a un caldaja per poi mangiarti lessa, quel che averessi tu fatto. Quand'e' siemo lontano da' pericoli én anco facile fare il brao; ma lì 'n que' ferri, anco e' brai s'attutano. 'Gnamo, via! nun si pensi tanto a male. Quando alle cose c'è del tempo, e' si pole anco mutar la fortuna. La donna a quel discorso si chetò; e poi nun c'era rimedio; e allora delibberorno di tirare 'nnanzi insenza isgomentarsi, sicché tutt'i giorni il garzone andeva dall'Orco a pigliare il prezzemolo fresco e la su' donna ingrossava accosì a vista d'occhio vispola e forzuta. - Eh! il tempo 'gli è galantomo! - dicevan que' dua a ugni po' po', con questo istando sulla speranza che tutto gli avess'a ire a bene. Viense il giorno del parto e la donna parturì una bambina grassa, co' capelli biondi, ch'era propio una gran bellezza a vederla con quegli occhini aperti e luccichenti. Deccoti, picchiano all'uscio. - Chi è? - Aprite, i' son l'Orco. Che ve ne siete scordi de' patti? Ficuratevi lo sgomento di que' du' genitori disperati! Ma l'Orco duro! Tira fora un segolo arrotato, poi agguanta la bambina per un piedi, dà quell'altro alla su' donna e poi alza 'l braccio col ferro per isquartare nel mezzo la creatura. A quella vista la mamma nun si poliede tienere; salta giù dal letto e si butta 'n ginocchione, e principia a urlare e piagnere come un'anima dannata: - Nun me la squartate! nun me la squartate! Piuttosto pigliatevela tutta, ché almanco nun la vedrò guasta accosì. Dice l'Orco: - I' accetto, la piglierò tutta per me; ma ora subbito no. I' ve la lasso a custodire e, anzi, vi pagherò tutti i mesi per l'incomido: poi, quando la bambina sarà grande, la menerò [ 169] con meco, e ci vo' fare una pietanza ghiotta. Dunque, addio e siamo 'ntesi. Arrivedersi. L'Orco e la su' donna tornorno a casa e mantiensano la parola, perché tutti i mesi mandavano a' genitori della bambina una bella somma di quattrini, e robbe di vestuario, e cose bone e trascelte per mangiare. Ma quando la bambina ebbe cinq'anni, l'Orco viense a prenderla e fu tutto inutile, ché la volse con seco in ugni mo'; e quando l'ebbe porta a casa sua, la rinchiuse in una stanza dientro una torre, addove nun c'era per montarci su punte scale, e poi disse alla Catèra: - Custodiscila, ché nun gli manchi nulla, e bada che nissun la vegga e che lei nun iscappi quand'i' son fora per i fatti mia. E per poterla chiamare, lui gli diede nome Prezzemolina. Dunque la Prezzemolina, lassù serrata in quella torre, cresceva sempre più bella, e siccome chi la custodiva era la Catèra, la gli diceva mamma; e quando la Catèra voleva salire su in nella stanza a tienergli compagnia, chiamava dal fondo: "Prezzemolina, Prezzemolina! butta giù le trecce e tira su tu' madre." E la Prezzemolina gli ciondolava le trecce da una finestra e la tirava 'n vetta. Un giorno la Catèra dice: - Pettinami, Prezzemolina. Subbito la Prezzemolina prendette un pettine e si mettiede a scraticchiare i capelli della Catèra. Dice in quel mentre la Catèra: - Che ci trovi te, Prezzemolina? - Guà! che volete voi? Ci trovo dimolti pidocchi. - Brava, Prezzemolina! Sai quel che tu ha' da fare? - dice la Catèra. - Pigliagli questi pidocchi e mettigli dientro a un cannone di canna. Ti poterebbano abbisognare qualche giorno, perché a soffiarci nel cannone loro si spargano e nasce subbito una gran siepe addove cascano. E la Prezzemolina fece come voleva la su' mamma. Un'altra volta la Catèra urla dal pian terreno della torre: - Prezzemolina, Prezzemolina! butta giù le trecce e tira su tu' madre. E quando l'ebbe tirata su, la Catèra gli disse: - Ma s'i' avessi bisogno di star fora del tempo, che te saperessi fartelo da mangiare? - Io no, - gli arrispose la Prezzemolina: - e poi, addove sono le robbe da mangiare e le legne per cocerle? Dice la Catèra: - A tutto c'è rimedio. Piglia qui; ti do questa bacchetta fatata e chiedi pure a tu' piacimento, ché in ugni cosa sarà' subbito [170] contentata. Poi gli diede l'addio, e andette via di casa per istar fora del tempo a fare e' su' 'nteressi. Una mattina, tutt'a un tratto, la Prezzemolina sentiede che la chiamavano di fondo alla torre: - Prezzemolina, Prezzemolina! butta giù le treccie e tira su tu' madre. Lei si pensò che fusse la Catèra; ma quando 'gli ebbe tirato su con le trecce, lei s'avvedde invece che era un bel giovanotto, un figliolo di Re. Guà! l'esca accanto al foco! S'innamorò in nel mumento e restorno assieme anco la notte. Il giorno doppo eccoti la Catèra: - Prezzemolina, Prezzemolina! butta giù le trecce e tira su tu' madre. Ficurarsi, che sconfondimento per que' du' poeri giovani 'nnamorati! Come si fa? come si fa? Perché se la Catèra gli trovava assieme, chi sa mai come gli andeva a loro!
- Niente paura! che ci ho il rimedio, - dice la Prezzemolina, e pigliata la bacchetta dello 'ncanto, il figliolo del Re lo fece diventare un fascino di legne: doppo calò le trecce e tirò su la su' mamma.
A male brighe che la Catèra 'gli entrò nella stanza, diviato e' vedde quel fascino. Dice: - Oh! questo che è qui a che serv'egli? - To', a che serv'egli? A cocere da desinare, - gli arrispose la Prezzemolina. - Oh! che nun ve n'arricordate, che m'avete dato la bacchetta per sopperire a mi' comodi quando vo' nun ci siete? Dice la Catèra: - Sì, sì, t'ha' ragione. Brava, la mi' bambina! Dunque fa' le cose a modo, perch'i' torno via, e bisogna ch'i' stia fora de' giorni. Addio, addio. E se ne va per istar fora del tempo a fare i su' 'nteressi. Doppo tre o quattro mattine, deccoti che riviene la Catèra: - Prezzemolina, Prezzemolina! butta giù le trecce e tira su tu' madre. Ma la Prezzemolina, prima di tirarla su, fece diventare un porcellino il figliolo del Re. Dice la Catèra: - Oh! che bel porcellino! Chi te l'ha egli dato quest'animale? - La vostra bacchetta, - arrispose la Prezzemolina. - Oh! che nun ve n'arricordate de' vostri 'nsegnamenti? I' lo tiengo qui per mi' compagnia, per non istar solingola quando vo' nun ci siete. Dice la Catèra: - Brava, la mi' bambina! Portati sempre bene accosì, sai. Ma bisogna ch'i' ti lassi, perché nun l'ho anco finite fora le mi' faccende. Addio, addio. E se ne va fora a fare i su' 'nteressi. [ 171] Quando poi la Catèra fu andata via, la Prezzemolina fece ritornare omo il porcellino e fissorno tra di loro di scappare assieme; ma la Prezzemolina avea paura che gli facessan la spia gli arnesi della cammera, perché erano tutti fatati, e lei però si mettiede in capo d'abbonirgli. Subbito disse alla bacchetta: - Voglio una bella caldaia piena di maccheroni; - e quando i maccheroni apparirne in nella stanza, la Prezzemolina ne diede una romaiolata a ugni cosa: una romaiolata al letto, una alle seggiole, una allo specchio, insomma, a tutto; ma della cassetta della spazzatura lei se ne scordò. Doppo, presa la meglio robba, la Prezzemolina e il giovanotto si calorno dalla finestra e via a gambe a traverso i campi. E lassamogli pur corrire a quel mo' e torniamo alla Catèra. Rivieniva la Catèra di fora con l'Orco su' marito, e quando fu 'n casa, urla come al solito: - Prezzemolina, Prezzemolina! butta giù le trecce e tira su tu' madre. Arrisponde il letto: - Nun posso, i' sono a letto. Dice la Catèra: - Oh! che ha' tu stamani, che sie' tanto pighera? Spicciati! gnamo. Arrisponde la seggiola: - Nun posso, i' son sulla seggiola che mi metto le calze. Sbergola istizzita la Catèra: - Famola finita e spìcciati; nun mi fare aspettare. Arrisponde lo specchio: - I' mi guardo allo specchio per ravviarmi le trecce. Ingomma, a uno per volta tutti gli aggeggi e gli attrazzi e i serrami della cammera trovavano delle billere per nun iscoprire la Prezzemolina scappata via col su' giovanotto; soltanto la cassetta della spazzatura principiò a sbraidare: - Nun è vero, nun è vero! La Prezzemolina nun c'è più. 'Gli è pe' campi con il su' damo, che la porta con seco. A questo discorso la Catèra e l'Orco ficuratevi come rimasano! Dice la Catèra: - Corri, mi' omo, corri; con le tu' gambacce tu l'arriverai in du' salti. Oh! birboni, me l'hanno fatta! E in quel mentre che l'Orco deva rieto a que' du' sciaurati, la cassetta della spazzatura badava a sberciare: - Poera padrona! L'avete visto il fascino? L'avete visto il maialino? 'Gli era lui, il su' damo, e vo' nun l'avete cognosciuto. E' maccheroni sono tocchi a tutti per dir le bugie e a me niente; ma io le bugìe nun ve le dico. E la Catèra a sentirsi arraccontare com'era ita via la Prezzemolina si [172] strappava i cernecchi d'in su la crocchia, e nun si poteva racchetare, non si poteva. Infrattanto l'Orco a corsa 'gli era arrivo a vedergli da lontano la Prezzemolina col su' giovanotto, e s'arrapinava per raggiugnergli e acchiappargli. Dice la Prezzemolina: - Giannino! i' sento fresco alle rene. - Mettiti lo sciallo, - dice lui. Dice la Prezzemolina: - Che! 'gli è mi' padre di sicuro. Se ci piglia, poeri noi! Ma ora l'accomido io. E in nel parlare accosì, cava di seno il cannone co' pidocchi e gli soffia in verso l'Orco, sicché in un mumento deccoti che nasce un siepone alto e largo smisurato, che pareva un bosco di spini; e quando l'Orco ci fu arrivo, lui nun vedde più niente e non lo potiede passare, e gli toccò a ritornare arrieto. Dice la Catèra: - Oh! dunque, mi' omo? Dice l'Orco: - Quand'i' ero lì per acchiappargli tutti e dua, mi sono spariti, perché i' ho trovo un siepone di spini che serrava tutte le strade, e nun c'era valico per andar oltre. Scrama la Catèra: - Oh! me sciaurata! Son io che gli bo 'nsegne le malizie alla Prezzemolina. Sono i mi' pidocchi del cannone. Corri, corri, mi' omo! Tu sie' sempre a tempo a arrivargli. E l'Orco via. E doppo un bel pezzo deccoti che rivede la Prezzemolina col su' damo, che camminavano. Dice la Prezzemolina: - Giannino! i' sento fresco alle rene. - Copriti meglio, - dice lui. - Che! 'gli è mi' padre, 'gli è l'Orco che ci dà rieto, - arrispose la Prezzemolina; - ma ci ho anco il rimedio. E con la bacchetta fatata, lei si trasmutò in una chiesa, e 'l su' giovanotto era il prete che si parava 'n sagrestìa per dire la Messa; e po' fece apparire un ragazzino, che badava le pecore in sul prato dinanzi alla chiesa. Deccoti, arriva l'Orco e domanda subbito a quel guarda-pecore: - Di' su, bambino! Che gli ha' tu visti dua, che erano assieme, un giovanotto con una ragazza? E il guarda-pecore: - Galantomo! 'gli entra la Messa e i' nun ho tempo da perdere. Se volete sentirla anco voi, vienite 'n chiesa. Dice l'Orco: - I' ti domando, se te ha' visto passare dua assieme per di qui, un giovanotto con una ragazza a braccetto? Dice il guarda-pecore: - Avete sentuto? 'Gli è sonato il cenno. Ecco il prete che monta all'altare. Se volete vienire anco voi 'n chiesa, sbrigatevi. I' ci vo' e [ 173] addio. A farla corta, all'Orco nun gli rinuscì raccapezzar nulla, e pensò meglio d'arritornare a casa sua. Guà! nun era malizioso lui. Quando la Catèra vedde il su' marito insenza nessuno e che lui gli arraccontò della chiesa, del prete e del ragazzo che guardava le pecore in sul prato, tutta imbizzita scramò: - Oh! mammalucco d'omo! Nun te ne sie' accorto, che la chiesa era la Prezzemolina e 'l prete il su' giovanotto? Lei ha fatto quella trasficurazione con la mi' bacchetta fatata, che da grulla i' gli regalai. Corri, mi' omo, corri; raggiugnigli e nun ti far vincer dagl'inganni. A quelle parole della su' donna l'Orco si mettiede a correre daccapo dreto alla Prezzemolina; e doppo camminato dimolte miglia e' la vedde sempre assieme col su' damo andare per la strada. Dice la Prezzemolina: - Giannino! i' sento fresco alle rene. Dicerto 'gli è l'Orco al solito! e poeri noi, se lui ci acciuffa. Oh! presto, presto, niscondiamoci accosì. E in quel mentre lei con la bacchetta fatata fece comparire un lago e tutti e dua ci s'attuffano dientro, sicché la Prezzemolina diventò una lasca e Giannino figliolo del Re an bel luccio, e loro navicavano nell'acqua a più non posso. In du' salti l'Orco viense in sulle sponde del lago. Dice: - Questa volta nun mi scappate. V'ho cognosciuto! - e per acchiappargli meglio con le su' manacce, si buttò diviato nel lago. Ma fu tutto inutile: lui pigliava il luccio e il luccio via, gli sguisciava d'intra le dita: pigliava la lasca e quella il medesimo. Si sa, i pesci sono a quel mo' tutti moccicosi, e in nelle mane nun ci stanno. Sicché dunque l'Orco impermalito sortì fora dall'acqua, e poi disse a que' pesci: - Vi maladico. E te, che t'avevo rileva come figliola, ti maladico per la prima. Sie' maladetta da me. E lui, il tu' damo,
A un'osteria ti lasserà, E quando su' madre lo bacerà Di te si scorderà.
E se n'andette doppo insenza voltarsi né in qua, né in là. Quando la Prezzemolina e il figliolo del Re furno ritornati nelle su' persone di prima e che erano a male brighe lontani cinque miglia dalla città reale, disse il giovanotto: - Senti, Prezzemolina! Io a questo modo nun ti ci posso menare al [174] palazzo del mi' babbo. Bisogna che lo faccia sapere alla Corte che ho trovo la sposa, e che poi ti vienga a prendere con la carrozza e le guardie in ficura di Principessa, e tu si' vestita da signora. Dunque, ti lasserò qui a questo albergo, e fra tre giorni al più i' sarò di ritorno, com'i' ho detto. Dice la Prezzemolina: - Fate la pace vostra, che io sto a quel che voi comandate. Ma arricordatevi che la mamma non vi baci, perché l'Orco, lo sapete, ci ha dato quel brutto avviso e ci maledisse. - Che, che! nun aver temenza, Prezzemolina, - gli arrispose Giannino: - la mamma nun lasserò che mi baci, Doppo averla raccomandata all'oste, il figliolo del Re si partiede per la su' città. Alla Corte, quando Giannino rientrò nel palazzo, nacque un chiasso e una festa, che la gente corse tutta a vedere quel che era stato. - Ben arrivato! ben arrivato! 'Gli era tant'anni, che non si sapeva più addove Lei era; se era morto, oppuramente vivo. Si steva in pena, sa. Anco il su' babbo e la sua mamma. Questi discorsi gliegli facevano lì in quel mentre che lui saliva le scale del palazzo; e sul pianerottolo gli viensano incontro il Re e la Regina con le lagrime agli occhi: ma lui nun ci fu versi che si lassasse baciare da su' madre; e lei 'gli era mezzo disperata e nun si poteva capacitare che il su' figliolo fussi tanto insenza core. Lui però gli disse, per rabbonirla, che ce l'aveva una ragione e che gli perdonassi, perché poi a su' tempo si sarebbe lassato baciare a su' piacimento. Insomma, finiti i complimenti, si messano a cena, e in quel mentre che mangiavano Giannino arraccontò la su' vita, e che aveva trovo una bella sposa, e che sarebbe andato a pigliarla nell'osteria assieme a tutta la Corte e con la carrozza e i cavalli del Re; e doppo, quando fu tardi, ché stiedano dimolto a tavola, i servitori gli accompagnorno ognuno alla sua cammera per dormire. A male brighe che il sole spuntò, la Regina, che nun aveva possuto serrare un occhio 'n tutta la notte dalla pena che il su' figliolo nun s'era lasso baciare da lei, sguisciò dal letto, e in peduli se n'andiede in cammera di Giannino, che dormiva tavìa come un loppo; e insenza nemmanco risvegliarlo, gli saltò al collo e lo baciò quanto volse. A tutto quel tramestìo [ 175] Giannino si riscoté, vedde su' madre, gli rendette i baci, e 'ntanto della su' sposa Prezzemolina se n'era bell'e scordo. E accosì passorno tre giorni, passorno tre mesi, insenza che lui pensassi mai alle su' promesse e a quella poera dibandonata, che l'aspettava nell'osteria. Infrattanto la Regina pensò di dargli moglie, e fu trova per Giannino una figliola di Re; e s'era già incomincio a fare l'apparecchio delle feste per le nozze, e i bandi gli appiccicorno 'n tutti i paesi del Regno. Torniamo ora alla Prezzemolina a quel mo' solingola in una osteria, che si struggeva dalla pena. Poerina! lei diceva intra di sé: - Dicerto, Giannino s'è lassato baciare dalla su' mamma, epperò di me se n'è scordo. Oh! com'i' ho da fare? E ficuratevi poi se la pianse, poera sciaurata! quando sentette i bandi dello sposalizio del figliolo del Re! Ma pure gli viense 'n capo di provare la su' bacchetta fatata, e fece apparire du' be' piccioni, un mastio e una femmina, che tutti e dua parlavano come cristiani, e gli mandò a discorrire sulla finestra della cammera del su' giovanotto, quando lui era sempre a letto. Dunque i piccioni s'eran messi lì sul davanzale, e il mastio ficurava di nun gli voler dar retta alla su' sposa, e quella gli diceva: - Nun te n'arricordi, quando te volasti in su quella torre addove stevo serrata, e i' ti mettiedi nel mi' nido? E il mastio: - Sì, sì, ora me n'arricordo. E la femmina daccapo: - O di que' giorni che ti trasmutai in fascino di legne e poi in porcellino, perché la mi' mamma nun ti ricognoscessi, e di quando si feciano i maccheroni e si diedano a tutti, fora che alla cassetta della spazzatura, e che poi si scappò assieme, nun te n'arricordi più? E il mastio: - È vero, è vero, ora me n'arricordo. E la femmina a seguitare: - Che ti sie' scordo anco di quando s'era per la strada, e che l'Orco ci corse rieto per tre volte? E io da prima feci comparire una siepe di spini; poi ci si trasmutò in una chiesa con te dientro a dire la Messa e il ragazzo guarda-pecore in sul prato; e poi si diventò du' be' pesci in mezzo a un lago e che l'Orco ci maladisse? E il mastio: - No ve'! e' mi rivengono in mente queste cose. E la femmina: - E che l'Orco disse a me:
A un'osteria ti lasserà, E quando su' madre lo bacerà Di te si scorderà;
[176] e che te davvero mi lassasti a quell'osteria, con la 'mpromessa di tornare a pigliarmi fra tre giorni al più, nun l'arricordi, mi' sposo? Che dunque la tu' mamma t'ha baciato? In nel sentire questi ragionamenti de'du' piccioni, il poero Principe si sciorinò e si mettiede a ripensare alla su' vita passata, e finì col ricordarsi d'ugni cosa e della Prezzemolina, e che lei e' l'aspettava da tanto tempo in quell'osteria; sicché dunque, salta infurito dal letto, sona tutt'i campanelli e comincia a urlare, che vienghino i servitori e il su' babbo e la su' mamma. A quel buggianchio che lui faceva, coreano a vedere quel che era successo. E Giannino gli arraccontò i discorsi che aveva sentuto da' piccioni 'n sulla finestra, e che loro erano stati quelli che gli aveano fatto arrammentare la su' sposa Prezzemolina dibandonata all'osteria a motivo de' baci della su' mamma e della maladizione dell'Orco. - Presto, - dice, - si vadia con le carrozze a cercare la Prezzemolina. Insenza indugio attaccorno i cavalli, e tutta la Corte andette a pigliare la Prezzemolina e la portorno 'n trionfo al palazzo, addove si feciano le nozze con gran feste, giostre e desinari, e con invito a tutte le persone del Regno. E accosì finirno le pene della Prezzemolina, e lei stiede allegra e contenta col su' sposo insino a che campò.