Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
SOMMARIO
DELLE COSE DELLA CITTA’ DI LUCCA
COMPOSTO PER
NICCOLÓ MACHIAVELLI.
La città di Lucca è divisa in tre parti, delle quali l’una è nominata da S. Martino, l’altra da S. Paolino, e la terza da S. Salvadore. Il primo e supremo magistrato che sia in essa, sono nove cittadini eletti tre in ciascuna di dette parti, i quali insieme con un altro, il quale infra loro è capo, che nominano Gonfaloniere di giustizia, si chiamano la Signoria, ovvero volendogli nominare per uno antico nome si chiamano Anziani. Hanno appresso a questo un consiglio di trentasei cittadini, il quale è nomato dal numero, hanno di più un confsiglio di setttantadue cittadini, il quale chiamano il consiglio generale. Sopra questi tre membri si gira tutto il pondo del loro stato, aggiunte quelle circostanze che particolarmente nel ragionare di queste membra si diranno. L’autorità della Signoria sopra il contado loro è amplissima, sopra i cittadini è nulla; ma solo dentro la città raguna i consigli, propone in quelli le cose che si hanno a deliberare, scrive agli ambasciatori e riceve lettere, raguna le pratiche, che loro chiamano colloquj di loro più savj cittadini, il che fa scala alla deliberazione che si ha a fare ne’ consigli, vigila le cose, ricordale, ed in fatti è come un primo motore di tutte le azioni che si fanno nel governo della città. Siede questa Signoria due mesi, e chi siede ha divieto due anni. Il consiglio de’ trentasei con la Signoria distribuiscono tutti gli onori, e gli utili dello stato, e perchè e’ vogliono che sempre mai a distribuire si trovino trentasei cittadini a sedere almeno, oltre alla Signoria, ogni Signore in ogni ragunata di consiglio può chiamare due arroti, i quali seggono con quella medesima autorità che i trentasei. Il modo del distribuire è questo: eglino imborsano ogni due anni tutti quelli Signori, e Gonfalonieri che nelli due anni futuri debbono sedere, e per fare questo ragunati che fono i Signori con il consiglio de’ trentasei in una stanza a questo ordinata, mettono in un’altra stanza propinqua a quella i segretarj de’ partiti con un frate, ed un’altro frate sta in sull’uscio che è infra le due stanze. L’ordine è, che ciascuno che siede nomina uno il quale gli pare. Comincia adunque il Gonfaloniere a levarsi da sedere, e va e dice nell’orecchio a quel frate che è in su quell’uscio che entra ai segretarj quello, a chi e’ rende il partito, ed a chi e’ vuole che gli altri lo rendino. Dipoi ne va innanzi ai segretarj, e mette una ballotta nel bossolo; tornato che è il Gonfaloniere a sedere va uno de’ Signori di più tempo, poi vanno gli altri di mano in mano, dopo i Signori va tutto il consiglio, e ciascuno quando giugne al frate domanda chi è stato nominato ed a chi egli debbe rendere il partito e non prima, talchè non ha tempo a deliberarsi, se non quel tempo che pena a ire dal frate ai segretarj. Renduto che ciascuno ha il partito, e’ si vota il bossolo, e se gli ha tre quarti del favore egli è scritto per uno dei Signori, se non lo ha è lasciato ire fra i perduti. Ito che è coslui, il più vecchio de’ Signori va e nomina un’altro nell’ orecchio al frate. Di poi ciascuno va a rendergli il partito, e così di mano in mano ciascuno nomina uno, ed il più delle volte torna loro fatta la Signoria in tre tornate di consiglio; e ad avere il pieno loro conviene che gli abbino centotto Signori vinti, e dodici Gonfalonieri, il che come hanno, squittinano infra di loro gli assortitori, i quali assortiscono, che quequesti siano i tali mesi, e quelli i tali, e così assortiti ogni due mesi si pubblicano. Nella distribuzione degli altri uffizi e’ tengono diverso modo da questo. Fanno lo squittino di essi una volta l’anno, in modo che a quell’uffizio che sta sei mesi, e fanno in ogni squittino due uffiziali. Tengono nello squittinare quest’ordine: mandano prima un bando, che avendosi a fare gli uffiziali dell’anno futuro, chi vuole uffizi si vada a fare scrivere. Qualunque adunque vuole ire a partito va a farsi scrivere al cancelliere, e quello mette tutte le polizze de’ nomi di quelli che si fono fatti scrivere in una borsa. Dipoi ragunato che è il consiglio per fare gli uffizi, il cancelliere comincia a trarre da quella bosfa un nome, se colui che è tratto è presente, dice io voglio ire a partito per il tale officio, e così va il partito, se si vince per tre quarti quell’ufficio è fatto, e mettesi da canto, e per quell’ufficio non ne va a partito più, se non è vinto la polizza si straccia, e non può più ire a partito, e trassi un’altra polizza, e quello che è tratto se egli è presente dice a che uffizio e’ vuole ire a partito, e se non è presente ha ordinato chi lo dica per lui, e così si seguita di fare, tanto che siano fatti tutti gli uffizi dell’anno futuro, facendone, come io dissi, due per ognuno di quegli uffizi che stanno sei mesi. E da notare pertanto la differenza di questi modi dallo squittinare dei Fiorentini, e gli altri, perchè nello squittino della Signoria chi squittina va a trovare il bossolo, ed altrove si usa che il bossolo va a trovare chi squittina. Nello squittino degli uffizi altrove si propone quale uffizio si ha a squittinare, e dipoi si traggono gli uomini che vi hanno ad ire a partito, e vogliono che molti vi concorrino, ed ancora che molti vinchino, sia dato a chi ha più favore. Ma i Lucchesi fanno il contrario traggono prima l'uomo, e poi dichiarano a quale uffizio egli abbia ad ire, e vogliono che tal dichiarazione stia a colui che è tratto, e chi è tratto misura le forze sue, e secondo quelle elegge l’uffizio. E se gli elegge male e’ si ha il danno, e perde per quell’anno la facoltà di andare più a partito, e se vince egli è suo, nè vogliono che ne vadi a partito un altro per darlo a chi ha più favore, perchè parrebbe loro che fosse ingiuria, che un altro gli potesse torre quello che una volta gli è stato dato. Quale pertanto sia migliore di questi due modi, o il Lucchese, o il vostro, o quello de Veneziani, ne lascierò giudicare ad altri. Il consiglio generale, come io dissi, sono settantadue cittadini, i quali con la Signoria si ragunano, e di più ciascuno de’ Signori può nominare tre cittadini, i quali ragunandosi con loro hanno la medesima autorità di loro. Sta questo consiglio un anno, quello del trentasei sei mesi, ed hanno solamente questo divieto che non possono esser rifatti del nuovo quelli che sono del vecchio. Il consiglio de’ trentasei rifa se medesimo; il generale è fatto dalla Signoria, e da dodici cittadini squittinati dai trentasei. E’ questo consiglio generale il principe della città, perchè fa legge, e disfalle, fa triegue, amicizie, confina, ammazza cittadini, ed infine non ha appello, nè alcuna cosa che lo freni, purchè una cosa sia vinta per i tre quarti di esso. Hanno oltre i soprascritti ordini tre secretari, i quali stanno sei mesi. L’offizio di questi è, come diremmo noi, spie o con più onesto nome guardie dello stato, questi possono un forestiero senza altra consulta cacciarlo, o ucciderlo, vegghiano le cose della città, se intendono cosa che sia per offendere lo stato, e che riguardi i cittadini, e’ la riferiscono al Gonfaloniere, alla Signoria, ai colloqui, acciocchè la sia esaminata e corretta. Hanno oltre a questo tre altri cittadini che stanno sei mesi, i quali chiamano condottieri che hanno autorità di soldare fanti, ed altri soldati. Hanno un Potestà Fiorentino che ha autorità nelle cose civili e criminali sopra i cittadini, e sopra ciascuno. Hanno dipoi magistrati sopra i mercatanti, sopra le arti, sopra le vie ed edificj pubblici, come hanno tutte le altre città; con i quali sono vivuti fino ad ora, e infra tanti potenti nemici si sono mantenuti. Né si può dall’effetto se non generalmente lodargli; pure io voglio che noi consideriamo quello che in quello governo è di buono o di tristo. Il non avere la Signoria autorità sopra i cittadini è benissimo ordinato, perchè così hanno osservato le buone Repubbliche, i Consoli Romani, il Doge e la Signoria di Venezia, non avevano e non hanno autorità alcuna sopra i loro cittadini, perchè egli è tanto per se stesso riputato il primo segno di una Repubblica, che se tu gli aggiungi l’autorità, conviene che in brevissimi tempi faccia mali effetti. Sta bene male un capo di Repubblica senza maestà, come sta in Lucca, perchè stando duoi mesi, ed avendo i divieti lunghi, di necessità vi siede uomini non reputati, il quale ordine non è buono, perchè quella maestà e quella prudenza che non è nel pubblico, si cerca a casa il privato. Di qui nasce che eglino hanno bisogno di fare i colloqui de’ cittadini, che non sono né nei magistrati, né nei consigli, il che nelle Repubbliche bene ordinate non si usa. E se si confiderà chi siede dei Signori a Venezia, o chi era Consolo a Roma, vedrà che i capi dello stato loro se non hanno autorità, hanno maestà, perchè come egli è bene che manchino dell’una, così è male che manchino dell’altra. Il modo come e’ distribuiscono la Signoria e gli officj è buono, civile e ben considerato. Vero è che devia dall’ordine delle passate Repubbliche, perchè in quelle il numero maggiore ha distribuito, il mezzano consigliato, il minore eseguito; e a Roma il popolo distribuiva, il Senato consigliava, i Consoli, e gli altri minori magistrati eseguivano; a Venezia il Consiglio distribuisce, i Pregai consigliano, la Signoria eseguisce. In Lucca sono confusi questi ordini, perchè il numero di meno distribuisce il minore, ed il maggiore parte consiglia, e parte eseguisce; e benché nella Repubblica di Lucca e’ non torni male, nondimeno non deve uno che ordini una Repubblica imitarlo. La cagione perchè e’ non torna male è, perchè gli onori e gli utili in quella città sono cerchi con poca ambizione, perchè dall’un canto e’ sono deboli, dall’altro chi gli arebbe a cercare è ricco, e stima più le sue faccende che quelli, e per quello lì viene a curarli meno di chi gli amministri. Ancora il poco numero dei cittadini che vi sono, e non essere i consigli a vita ma per sei mesi, fa che ciascuno ne chiede, e spera essere; dipoi quella autorità che i Signori hanno di nominare in ogni consiglio due o tre per uno fa quietare di molti amici, perchè molti che non credono vincere i partiti, credono avere amicizia con uno che ve gli faccia ragunare, in modo che importa loro meno che distribuisca quel del trentasei o quel dei settantadue. Hanno ancora in ragunare quelli consigli un altro ordine che serve a satisfazione del popolo e ad abbreviare le faccende, che se quando e’ si raguna il consiglio e’ son parlati i termini, trai quali i consiglieri vi debbono essere, e ve ne manchi alcuno, la Signoria può mandare fuori i suoi sergenti, e i primi cittadini che trovano condurre in consiglio per riempire i descritti del numero. E’ ancora bene ordinato che il consiglio generale abbia autorità sopra i cittadini, perchè è un grande freno a gastigare quelli si facessino grandi. Ma non è già bene ordinato che non vi sia ancora un magistrato di pochi cittadini, come dire quattro o sei che possino gastigare, perchè qualunque l’uno di quelli duoi modi che manchi nella Repubblica fa disordine, il numero grande serve a gastigare i grandi, e l’ambizione de’ ricchi, i il numero piccolo serve a far paura agli ......... ed a frenare la insolenza de’ giovani; perchè ogni dì in quella città occorrono cose che il numero grosso non può correggere, di che nasce che i giovani pigliano audacia, la gioventù si corrompe, e corrotta può diventare finimento dell’ambizione. Lucca adunque mancando di quello grado che frenassi la gioventù, conobbe quella insolenza essere cresciuta, e causare cattivi effetti nella città, donde che per frenarla fece una legge molti anni sono, che si chiama legge de’ discoli, che vuole dire degli insolenti e male costumati, per la quale si provvide, che in consiglio generale ogni anno due volte di Settembre e di Marzo, tutti quelli che vi sono ragunati scrivino quale pare da confinare fuori del loro stato; leggonsi poi gli scritti, e qualunque è nominato dieci volte e più va a partito, e se il partito si vince per i tre quarti, e’ s’intende confinato per tre anni fuora del paese loro. Fu quella legge benissimo considerata, ed ha fatto un gran bene a quella Repubblica, perchè dall’un canto ella è gran freno agli uomini, dall’altro non può fare moltitudine di confinati, perchè dai primi tre anni che la fu fatta in fuori, tanto ragguagliato ne ritorna, quanti ne esce. Ma quella non basta, perchè i giovani che sono nobili, ricchi, e di gran parentado rispetto alla strettezza del partito non ne temono, e vedesi che in quelli tempi vi è stato una famiglia che si chiamano quelli di Poggio dalla quale nasce ogni dì esempli non buoni in una Repubblica buona, e per infino ad ora non ci hanno trovato rimedio. Parrà forse ad alcuno che sia disordine, che tutti i partiti de’ Lucchefì si abbino a vincere per i tre quarti, al che lì risponde che travagliandosi le cose nelle Repubbliche sempre da il sì al nò, è molto più pericoloso in quelli il sì che il nò, e più hanno da avvertire a coloro che vogliono che e’ si faccia, che a quelli che non vogliono che si faccia, e per quello si giudica meno male, che i pochi possino facilmente tenere che non si faccia un bene, che e’ possino facilmente fare un male; nondimeno se quella difficultà sta bene, la non sta bene generale, perchè sono di molte cose che farebbe bene facilitarle, e questa di gastigare i loro cittadini è una, perchè se la pena loro si avessi a dichiarare per i due terzi, i parentadi e le amicizie potrebbono con più difficultà impedirli. Questo è in effetto quanto si può dire del governo dentro di Lucca, e ciò che in esso sia di buono e di reo.