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XI.
Il giorno dopo, al declinare del sole, il bastimento attraversava lo stretto di Gibilterra.
Ora, guardando quel punto sul mappamondo, mi par tanto vicino a casa mia, da non dover esitare un momento, quando me ne saltasse il ghiribizzo e non vi si opponesse il mio bilancio domestico, a far la valigia e a correre a Genova per andar a godere un'altra volta il bellissimo colpo d'occhio dei due continenti. Ma allora mi parve di essere tanto lontano, che avendo scritto una lettera a mia madre, sul parapetto del bastimento, coll'intenzione di darla ad impostare a uno dei passeggieri che scendevano a Gibilterra, nell'atto che scrivevo l'indirizzo, risi della mia buona fede, come se fosse quasi impossibile che la lettera arrivasse a Torino. Di qui! — pensai; — dalle colonne d'Ercole! — e dicevo colonne d'Ercole come avrei detto Capo di Buona Speranza o Giappone.
«..... Sono nel bastimento Guadaira — ho alle spalle l'Oceano e dinanzi il Mediterraneo, a sinistra l'Europa e a destra l'Affrica. Vedo di là il capo di Tarifa e a destra le montagne della costa affricana, che appaiono un po' in confuso come una nuvola grigia; vedo Ceuta, vedo un po' più là, come una macchia bianca, Tangeri; e in dirittura del bastimento lo scoglio di Gibilterra. Il mare è quieto come un lago e il cielo color di rosa e d'oro. Tutto è sereno, bello e magnifico, e io mi sento nella mente una inesplicabile e dolcissima confusione di grandi idee, che se potessero esser tradotte in parole, mi pare che riuscirebbero in una gioiosa preghiera cominciata e chiusa col tuo nome.....»
Il bastimento si fermò nel golfo di Algesira: tutta la compagnia dei cantanti scese in una gran barca venuta di Gibilterra, e s'allontanò agitando ventagli e fazzoletti in atto di saluto. Quando il bastimento ripartì, imbruniva. Allora potei misurar per ogni verso collo sguardo la mole enorme dello scoglio di Gibilterra. Da principio mi pareva che in pochi minuti ce lo saremmo lasciato alle spalle; ma furon ore. Via via che ci avvicinavamo, ingigantiva, e ogni momento presentava un nuovo aspetto; ora il profilo d'un mostro smisurato, ora l'immagine d'una scala immensa, ora la forma d'un castello fantastico, ora un ammasso informe come d'un mostruoso aereolito caduto da un mondo spezzato in una battaglia di mondi; e presentava via via dietro una punta alta come una piramide egizia, un rigonfiamento grande come una montagna, e scoscendimenti e rupi a picco e curve lunghissime che si perdevan nel piano. Era notte; lo scoglio disegnava i suoi foschi contorni così netti e recisi sul cielo rischiarato dalla luna, come un ritaglio di carta nera sur una lastra di vetro. Si vedevan le finestre illuminate delle caserme inglesi, i casotti delle sentinelle sulla sommità delle bricche aeree, e qualche incerto contorno d'albero che appariva appena come cespo d'erba sulle rupi più vicine. Per lungo tempo ci parve che il bastimento non muovesse; o che lo scoglio ci seguisse, tanto era sempre vicino e imminente; poi a poco a poco cominciò a rimpicciolire; ma i nostri occhi si stancarono di guardare prima che lo scoglio di minacciarci colle sue fantastiche trasfigurazioni. A mezzanotte mandai un ultimo saluto a quella formidabile sentinella morta d'Europa, e andai a ficcarmi nel mio nascondiglio.
Mi svegliai allo spuntar dell'alba a poche miglia dal porto di Malaga.
La città di Malaga, vista dal porto, presenta un aspetto gradevole, e non privo di maestà. A destra un alto monte roccioso, sulla cui cima e giù per l'un dei fianchi sino al piano, nereggiano le gigantesche rovine del castello di Gibralfaro, famoso per la disperata resistenza opposta dagli Arabi all'esercito di Ferdinando e d'Isabella la Cattolica; e alle falde del monte la cattedrale, che s'innalza maestosamente su tutti gli edifizi circostanti, lanciando al cielo, come direbbe un poeta ardito, due belle torri e un altissimo campanile. Tra il castello e la chiesa e dinanzi al monte e ai lati, una moltitudine, una canaglia, per dirla alla Vittor Ugo, di casuccie affumicate, e poste le une sulle altre, alla rinfusa, come se fossero state buttate giù dall'alto, a modo di macigni. A sinistra della cattedrale, lungo la spiaggia, una fila di case color cinerino, violaceo, giallognolo, con un contorno bianco alle finestre e alle porte, che rammenta i villaggi della riviera ligure. Al di là una corona di colline verdi e rossastre, che chiudon la città come le mura d'un anfiteatro; a destra e a sinistra, lungo la riva del mare, altri monti e colline e roccie a perdita d'occhio. Il porto quasi deserto, la spiaggia quieta, il cielo purissimo.
Prima di scendere a terra, mi congedai dal capitano che doveva proseguire il suo viaggio per Marsiglia, salutai il nostromo e i passeggieri, dicendo a tutti che sarei arrivato a Valenza proprio il giorno che ci doveva arrivare il bastimento, e che perciò mi sarei imbarcato di nuovo con loro per andare a Barcellona e a Marsiglia; e il capitano mi disse: — L'aspettiamo, — e il cameriere mi promise che m'avrebbe serbato il posto. Quante volte, in seguito ricordai le ultime parole di quella povera gente!
Scesi a Malaga coll'intenzione di partire la sera stessa per Granata. L'interno della città non offre nulla di notevole. Fuor della parte nuova che occupa lo spazio anticamente coperto dal mare, ed è costrutta alla moderna, con vie larghe e diritte, e case grandi e nude; il rimanente della città è un labirinto di stradicciuole tortuose e un agglomeramento di case senza colore, senza patios, senza grazia. V'è qualche piazza spaziosa, con giardini e fontane; qualche colonna e qualche arco di edifizi arabi; nessun monumento moderno, molta immondizia e non grande frequenza di popolo. I dintorni son bellissimi e il clima più mite che a Siviglia.
A Malaga avevo un amico, andai a cercarlo, passammo la giornata insieme. Da lui ebbi una curiosa notizia. A Malaga è un'Accademia letteraria composta di più di ottocento soci, nella quale si celebrano gli anniversarii di tutti i grandi scrittori e si fa due volte la settimana una lettura pubblica sur un argomento di scienza o di letteratura. Quella sera stessa vi si doveva celebrare una festa solenne. Alcuni mesi prima l'Accademia aveva stabilito il premio di tre bei fiori d'oro, smaltati di varii colori, per i tre poeti che componessero la miglior ode al progresso, la miglior romanza sulla riconquista di Malaga, la miglior satira contro uno dei vizii più comuni della moderna società civile. Era stata fatta una convocatoria a tutti i poeti della Spagna, le poesie eran piovute a rifascio, un giurì le aveva segretamente giudicate, e quella sera stessa doveva profferire la sentenza. La cerimonia si faceva con gran pompa: vi avevano ad assistere il Vescovo, il Governatore, il Comandante di marina, i consoli, i personaggi più cospicui della città, con giubba, ciondoli e ciarpe, e un gran numero di signore vestite da ballo. Le tre più belle Muse della città dovevano presentarsi sur una specie di palco scenico inghirlandato e imbandierato, aprire ciascuna il plico che conteneva la poesia premiata, e proclamare tre volte il nome dell'autore; se l'autore rispondeva, invitarlo a leggere i suoi versi, e presentargli il fiore; se non rispondeva, leggerli esse medesime. In tutta la città non si parlava d'altro che dell'Accademia, si congetturavano i nomi dei vincitori, si predicevano meraviglie delle tre poesie, si magnificava l'apparatura della sala. Questa festa poetica, alla quale si dà il nome di juegos floreales, non si celebrava più da dieci anni. Altri giudichi se queste gare e queste pompe giovino o nuocciano alla poesia e ai poeti. Per me sia pur dubbia e sfuggevole la gloria letteraria che può largire la sentenza d'un giurì e l'omaggio d'un Vescovo e d'un governatore, credo che il ricevere in dono un fior d'oro dalla mano d'una bellissima donna, sotto gli sguardi di cinquecento andaluse, al suono d'una musica soave e in mezzo al profumo dei gelsomini e delle rose, sia una gioia anche più viva e più profonda di quella che viene dalla gloria vera e durevole. — No? — Ah! siamo sinceri!
Uno dei miei primi pensieri fu di assaggiare un po' di vero vin di Malaga, non per altro che per rifarmi dei molti dolori di capo e di stomaco cui andavo debitore allo scellerato intruglio che si spaccia in molte città d'Italia colla bugiarda raccomandazione di quel nome. Ma o ch'io non abbia saputo chiedere, o che non m'abbian voluto capire, il fatto è che il vino che mi fu dato all'albergo, mi bruciò le viscere e mi fece dar di volta al cervello. Potei nondimeno recarmi verticalmente fino alla cattedrale, e dalla cattedrale al castello di Gibralfaro, e in qualche altro luogo, e formarmi un'idea della bellezza delle malaghesi senza vederle doppie e tremole, come potrebbe supporre qualche maligno.
Strada facendo, il mio amico mi parlò di codesto repubblicanamente famoso popolo di Malaga, che ogni momento ne fa una delle sue. È un popolo ardentissimo; ma mutevole e docile, come tutti i popoli che senton molto e pensan poco, ed operano più per impulso di passione che per forza di convincimento. Per un nonnulla si raduna una folla immensa e si leva un tumulto da metter la città sossopra; ma il più delle volte basta un atto risoluto d'un uomo autorevole, un tratto di coraggio, un lampo di eloquenza per sedare il tumulto e disperdere la folla. L'indole del popolo, in fondo, è buona; ma la traviano la superstizione e la passione. E sopratutto la superstizione è forse più radicata a Malaga che in ogni altra città dell'Andalusia, a cagione della ignoranza maggiore. Tutto sommato, Malaga è la città meno andalusa ch'io m'abbia veduto, e v'è imbastardita persino la lingua, perchè vi si parla peggio che a Cadice, dove già vi si parla male.
Ero ancora a Malaga, ma la mia immaginazione s'aggirava già per le vie di Granata e nei giardini dell'Alhambra e del Generalife. Poche ore dopo il mezzogiorno, partii, e per dir la verità, fu quella la sola città di Spagna che lasciai senza mandare un sospiro. Quando il treno partì, invece di voltarmi a salutarla come avevo fatto a tutte le altre sue sorelle, mormorai i versi cantati da Giovanni Prati a Granata quando il duca d'Aosta partì per la Spagna:
«Non più Granata è sola |
ed ora, riscrivendoli, penso che la musica della banda della Guardia Nazionale di Torino ispira la letizia e la pace meglio delle cetre moresche, e che il lastrico dei portici di Po, contuttochè muto esso pure, è meglio connesso e più liscio che le pietre di Granata.