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Questo testo fa parte della raccolta L'Utopia e La città del Sole



STORIA

DEL REAME DEGLI ORSI




Non v’ha cosa più vera della storia, più necessaria, più utile. Vera, perchè per lo più chi la scrive, nasce cinque o seicent’anni dappoi che i fatti che si vogliono trattare sono accaduti, o s’è creduto che siano accaduti; laonde è assai facil cosa rivangare monumenti da un capo all’altro del mondo, spogliare archivi che più non esistono, e saper le cose de’ morti con chiarezza e precisione, quando non sarebbe possibile sapere quelle de’ vivi. Poichè a dire la verità altro è il Mondo volgare, altro è il Politico, altro è il Morale. Spieghiamoci a vantaggio degl’ignoranti ed a confusione dei dotti; chè non sarebbe gran male se molti rimanessero confusi, che non s’udirebbero qua e là tante castronerie che fanno che n’abbia vergogna grande la stessa ragione. Se nasce dunque qualche gran novità sopra la nostra terra, come di un principe morto prigione, di un generale vittorioso in battaglia, di un trattato di commercio stabilito fra varie nazioni; ecco che odonsi per le conversazioni, per le botteghe di caffè, per le piazze migliaia di politici, che sanno tutto, intendono il perchè di tutto, e vi aggiungono del loro il miracolo, le cannonate, il calcolo, la profezia, secondo la differenza de’ casi. Chi poi ha ricevuto lettere da’ suoi amici, chi ha parlato con la staffetta, e chi una cosa e chi l’altra; tanto che tutti sono più che arcicertissimi di quanto fanno grazia di dire. Si raccolgano poi quelle infinite opinioni, e saranno appunto infinite quando il fatto è uno solo; ed oh mirabile fondamento per trarre da tutto ciò una verità che sia storica! Questo ardisco chiamare Mondo volgare. Passiamo al Politico. Quale mezzo può far iscoprire ad occhio mortale le ragioni economiche, per le quali si muovono le corti, i gabinetti, i grandi della terra a stabilire piuttosto un patto di guerra che di pace, piuttosto un negoziato che un altro? In oltre, chi oserà penetrare nel cuore di coloro ch’entrano nel maneggio degl’interessi dei re e degl’imperatori con fini propri e particolari? Di maniera che spesso a tutt’altro fine riesce un affare ed altre conseguenze ha da quelle in fuori che un parlamento od un principe si sono immaginati di ottenere? Di più: che sappiamo noi quanta influenza possano avere l’orgoglio, l’invidia, la malignità e le altre infinite passioni del cuore umano sugli affari di grande importanza? Questi son tutti fili, dirò così, occulti all’occhio dello storico; e ve ne sono degli altri ancora. E qua passiamo alla Morale, per la quale molte cose dirette al bene hanno un esito sfortunato senza saperne il perchè. Le imprese e le azioni rilevanti non possono essere eseguite da un solo, mentre occorrono la buona fede, il capo e le mani di molti uomini. Chi può assicurare lo scrittore di storia che tutti abbiano fatto il loro dovere con rettitudine, con onestà, con buona intenzione, senza che niuno abbia da rimproverarsi in coscienza d’un qualche erroruzzo? Il desiderio del guadagno è grande sul globo terracqueo, e l’oro è una gran tentazione per gl’infelici mortali che hanno tanti onorati e disonorati desiderj sotto al pericardio. E quando s’ha a dire la verità, chi può giurare che le belle e graziose donne non abbiano in ogni tempo contribuito nelle ore notturne a fare che il giorno manchino gli uomini al proprio dovere? Se io amassi davvero un’amabile tiranna non so quello che mi farei per vederla contenta. S’arroge che lo storico scrive talvolta alla cieca, e dirà che Dario ebbe la peggio con Alessandro, perchè i soldati di Alessandro erano veterani e bravi, quando sarà accaduto che Dario perdette a cagione de’ suoi generali che l’aveano provveduto di seicento soldati in iscambio di seicento mila, il rimanente di quel denaro che doveva servire per una ben corredata truppa avendo essi voluto giuocarselo a’ dadi. Vedete da che può dipendere l’esito d’una cosa! e come può indovinarla uno storico? V’ha di più, ch’io ho scoperto che tutti gli storici miei colleghi, da’ quali ho tratto molti lumi per questa maravigliosa storia, hanno usato l’utile artifizio di tacere quelle verità che poteano essere di qualche pericolo per essi; ed anche ho rilevato in moltissimi, che senz’accorgersene divengono partigiani piuttosto di un’opinione che dell’altra, e sono mossi dall’amore di patria a sostenere con stravaganti ragioni l’onore e la fama del loro paese in quelle cose che non è possibile il farlo. Ecco con quanta chiarezza e certezza si possono asserire gli storici fatti; ed ecco come la storia diviene la madre della vita, lo specchio della verità e la guida della ragione!

Non è stato mio capriccio il voler fare un’immensa fatica di schiena, e studiare tutte le lingue tanto antiche che moderne, e fino la cofta in cui si scrive a forza di code di lodola, e ci vuole grande studio a rilevare la differenza della coda A, dalla coda B, C, ecc., ed in oltre il leggere tanti manoscritti e quaderni che formerebbono dodici buone librerie di Tolomeo: e copiare tanti passi, molti e sentenze quante metafore hanno i popoli dell’Oriente, quanti proverbi hanno gli Spagnuoli, e quanti galimatias hanno quelli della Gallia comata! Taccio i sudori di morte che ho sparsi per istabilire l’epoche e i punti di cronologia per non cadere in anacronismi. Ho avuto tanto diletto in queste perquisizioni che ho arrischiato di morir etico dieci volte; ma ora sono diventato il piacere delle conversazioni, divertendo, tutti le due o tre ore, parlando di calcolo astronomico, di rivoluzioni di popoli, di sbagli presi da Tze Tze arabo, e da Isacco Newton. E tutto ciò non fec’io per capriccio, ma per l’amore grande che nutro al genere umano. Era necessaria una compiuta Storia del reame degli Orsi, popoli che dominarono un tempo quasi tutta la terra, e da’ quali sono uscite tante e sì varie nazioni. Molti autori ne hanno parlato, ma niuno ha saputo stabilirne l’origine, svilupparne i progressi, e scoprire le ragioni della loro ampliazione e decadenza. Io solo ho avuto l’ardire di lacerare le nubi dell’antichità, e di scorgere un barlume di verità nell’oscura fuliggine de’ consumati secoli, per poi ridurre tutte le mie nobili e singolari notizie a sistema, e formare piuttosto un trattato politico-morale-filosofico che una storia; nel quale si scoprirà per mezzo delle azioni orsacchine quanto sia utile la semplicità de’ costumi, e quella delle leggi che sieno tratte dal fondo della natura, della giustizia e della ragione; si potrà quindi comprendere quanto sieno dannosi il lusso e la più picciola alterazione de’ costumi aborigeni, ed in oltre quanto possa essere di vantaggio o di danno un genio grande che nasca in un regno di quando in quando, il quale abbia nell’animo o buone o triste inclinazioni. Noteransi ancora le cerimonie del loro culto e le foggie dei loro vestiti e adornamenti, poichè dalle più leggere notizie si conosce il carattere delle più famose nazioni, come da’ convulsionarj e dal taglio lungo della giubba gl’Inglesi, dalla derisione e da’ bijoux i Francesi, e dall’imitazione or d’una cosa or dell’altra i nostri Italiani. Si rifletterà in oltre al genere di studj ch’era alla moda piuttosto in uno che nell’altro secolo, e ciò pure spargerà lume splendidissimo nell’istoria nostra. Vedrassi, come dimostreremo ad evidenza con un diluvio di riflessioni politiche e metafisiche, che nel tempo che correva il gusto della grammatica tutta la nazione era zotica, rozza e villana; nel tempo della rettorica era leggera e puerile; in quello della teologia era sanguinaria e crudele, come pure per un’altra ragione era fiera e barbara in quello della giurisprudenza e del gius feudale. Saranno inoltre posti in mostra i vantaggi grandi della filosofia finchè ebbe la bontà di stare attaccata al buon senso, alla semplicità ed alla rettitudine, ma poi scoprirannosi i danni grandissimi ed irreparabili dello spirito accademico, della rilassatezza delle opinioni, e di quello che dicevano i Greci fare d’ogni erba fascio. A dire la verità se non m’avessero pregato gli amici, supplicato principi e gran soggetti, ed esortato tutte le accademie di Londra, di Parigi, di Portogallo e di Spagna (nelle quali quella di Arcadia non c’entra), io non avrei dato alle stampe questa grand’opera; poichè per quanto io vaglia a conoscermi, io sono il più vergognoso, prudente e modesto di quanti autori m’abbia mai conosciuto e sia per conoscere.

Sono discordi d’opinione gli autori di tutte le effemeridi, se fosse in una valle della Scandinavia, o sulla vetta d’un monte, che viene dal latino Vertex e dal greco ζροβιοζ, nella Groelandia, oppure se sur un larghissimo scoglio nel mare Magellanico; sono incerti, dico, gli uomini dotti in quale di questi tre siti nascesse e dimorasse la stirpe, il reame ed il governo degli Orsi. Io però, sapendo che ogni nazione vuol assolutamente aver il piacere di fondare su principj certi la sua origine, non ho voluto defraudare il pubblico di questa importante notizia; e per quanto ho potuto rilevare da un vecchio e affumicato volume, che sta tra i membranacei della biblioteca del principe Tempo, discendente da madama Oscurità e da quel notissimo filosofo Obblio, sono di parere che sieno scaturiti dalla terra quello stesso giorno che incominciò il zodiaco ad essere calpestato da’ pianeti, e l’acqua del mare agitata dal nuoto delle balene e de’ capi d’oglio. Questi, appena usciti alla luce del giorno dalla parte d’Oriente (poichè la prima cosa a cui badarono fu il Sole) si trovarono robusti, con orribili denti ed ugne che mettevan terrore, e con una fame divoratrice, per la quale non si facevano carico di coscienza di mangiarsi l’un l’altro. E la faccenda sarebbe ita tant'oltre che sarebbonsi distrutti affatto da lì a quindici giorni se non fossero venuti a parlamento tra di loro per vedere di riparare a tanto grave disordine. Ragunati dunque in una larga campagna, dispiacevole a vedersi per bronchi e spini e ortiche che vi germogliavano, ivi fu la prima volta che s’intese fra essi il nome di Società, la quale, benchè alcuni filosofi credano non convenirsi agli Orsi, pure in essi era cosa naturalissima, mentre erano forzati o a morire o a porre in qualche sistema gli affari loro se non voleano perire miseramente. Uno di loro, il più debole di fibra, ma quello che avea pensato più d’ogni altro sulle loro circostanze, poich’era il più esposto degli altri al pericolo della vita, così allora parlò. (E qua noti il benigno lettore che tutti i ragionamenti che troveranno sparsi qua e là sono quelli stessi che facevano i miei eroi, e ch’io non vi aggiungo del mio una sillaba, come hanno usato di fare Tito Livio, Tacito, Rollino, e gli altri ch’io non ho mai saputo chi loro li riferisse). Ma sentiamo che sapesse dire quell’Orso: Non fa di mestieri, o compagni, di lunghi discorsi: la vita è un gran bene, ognuno il comprende da sè senza ch’io studi a persuadervene. Perchè vogliamo togliercela da per noi? possibile che la natura ci abbia fatti nascere perchè ci distruggiamo? Non so dirvi il perchè, ma quest’idea mi fa orrore; pensiamo un poco se v’ha maniera da vivere quanti siamo tranquillamente, e adoperiamo il cervello ed il cuore piuttosto che le zampe e la bestialità nostra. La moltitudine applaudì, ed alcuni pochi, che non parevano persuasi, furono scacciati di quel luogo come irragionevoli e bestiali, e da quelli poi che allora andarono dispersi per la terra discesero certe razze d’Orsi inumani che ancora si trovano per le boscaglie, e si veggono delineati sui libri. Fu così possente dunque quel discorso, e più l’angustia nella quale si trovavano gli Orsi, che subitamente si diedero delle mani in dosso, e non passarono due settimane che, eretto un altissimo tempio, il dedicarono ad una potentissima Dea, ch’essi appellavano Necessita’. E poi a poco a poco ebbero un re, che non era infine che l’economo delle volontà e forze comuni, ch’egli andava equilibrando a seconda del bisogno di tutti in generale e di ognuno in particolare. Videsi ben presto un’orribile e diserta campagna farsi tutta coltivata, e da essa trarre quel felice popolo quanto può essere necessario alla vita. Tutto era bene e consolazione, ed il nome di legge non conosceasi poichè niuno avea che desiderare d’ingiusto. Ma ben presto piombarono quei miserabili in un mare di calamità insoffribili. Alcuni de’ più vivaci incominciarono a combinar nuove idee, ed a ragionare: E perchè, diceano, lavoreremo la terra, se avendo alcuni popoli nostri vicini, possiamo colla forza ridurli in ischiavitù, e far ch’essi affatichino per noi, ed insieme acquistando le terre loro ampliare il dominio vostro? Così va bene. E qua si videro trattati sparsi per la nazione intorno alla giustizia della guerra offensiva che infiammarono gli animi di tutti; e già si diede all’armi. L’esito fu fortunato, e ne venne che fattisi ricchi e potenti alcuni pochi, rimasero poi le migliaia d’Orsi oppressi e desolati. Allora entrò nel paese l’adulazione, il ruffianesimo, e l’insidia per tentar di spogliare i magnati de’ loro male acquistati averi; l’avarizia si vestì da amore, la ingordigia si coprì col manto dell’amicizia, e tutte queste maschere unite furono cagione di tradimenti, discordie e liti gravissime. Quando tutto era a soqquadro, i buoni e zelanti cittadini si ricordarono della Dea Necessita’, ed ebbero ricorso ad essa perchè mettesse un qualche riparo alle comuni sventure. Ma ricorrendo alla Dea scoprirono un altro disordine. Videro che i sacerdoti di essa aveano da lungo tempo imparato a farsi grassi a spese del popolo: vendeano il chiaro del sole e l’umido della pioggia, l’odore del marocchino per iscacciare le tarme da’ panni, li cerotti per le rotture di gamba, le polveri pel buon esito de’ parti, e le maledizioni per i sorci. Ben presto fu riparato a queste assurdità. Proseguirono la loro preghiera alla Dea, supplicandola ch’ell’avesse attenzione a’ suoi popoli e che non volesse abbandonarli quando più abbisognavano di lei, e che loro desse tanto lume di ragione da poter conoscere da quali principj pullulavano tante loro miserie. Tosto udirono rimbombare la vôlta del cielo di soavissima melodia, e raddoppiarsi videro il chiarore del giorno; e quindi scoprirsi ad un tratto il di sopra del tempio, e comparir loro un gran libro di lamine d’argento, formato e scritto in caratteri d’oro, sostenuto per l’aere da quattro mirabili e non più veduti animali, che appoggiavan le zampe sur una gran nuvola di diamante.

Era il primo di que’ misteriosi mostri tutto candido come latte, ed aveva il petto di cristallo tersissimo, al disotto del quale si vedeano e contavano i colpi del cuore tranquilli e ordinati, e ad ogni colpo che dava quell’organo vitale, sentiasi cantare da voci sconosciute, e volare per il puro etere una lettera dell’alfabeto, che arrivate al numero di cinque differenti, tornavano ad essere replicate sempre le stesse, e veniano a dire: Virtù. Era poi l’altro d’un colore cangiante, cosicchè la sua pelle era un prisma, ed avea certe gambe ora corte, ora lunghe, ora sottili, ora grosse, con un paio d’occhi di fuoco, la pupilla de’ quali stringendosi ed allargandosi formava alcune sillabe in questo modo: Industria. Il terzo parea scuoiato, e gli si vedea la carne viva e fresca come rosa, dalla quale usciva un sudore di sangue che gocciolando prendea consistenza prima di arrivare in terra, e divenia tante monete d’oro, e poi tante verghe dello stesso prezioso metallo, che avvicinandosi l’una all’altra formavano e descrivevano per ogni verso questo miracolo: Sensibilità. E l’ultimo avea un collo lungo fino alle nuvole, vestito di squame di bronzo, coi piedi di porfido, e con la coda d’un tronco d’alloro, le cui foglie sibilando parea che dicessero sotto voce: Eternità. Tutti quegli Orsi erano asciti di sentimento per maraviglia; pure rinvenuti alcuni, e immaginandosi che nel mistico libro stesse quella salvezza che tanto aveano chiesto e desiderato, tentarono di leggerlo, e videro che così stava scritto su quelle carte immortali: Orsi, tanto è fatale per voi altri una stupida e fiera salvatichezza, quanto una viziosa scostumata società, senza limiti di giustizia di modestia e di buona fede. Pericolosi sono gli effetti della forza del corpo, e micidiali sono se vanno congiunti colle malizie dello spirito. Profittate dei beni dell’una e dell’altro che vedete espressi in questi quattro viventi che mi sostengono, e passeranno i secoli senza che vi esca dagli occhi una lagrima; altrimenti maledirete la terra ch’è madre vostra, e vi si aprirà sotto a’ piedi come questa diamantina nube che mi serve di base, poichè fin il diamante va in polvere sotto a’ colpi bestiali. Appena finito il periodo ognuno si guardò in faccia tramortito; e chi spiegava in un modo e chi nell’altro la soprannaturale apparizione; ma tardi ne compresero il senso legittimo, poichè la moltitudine, ch’era fuori del tempio, non era più in istato d’intendere un tanto mistero. Laonde andò in breve in rovina quella nobile e famosa popolazione.


Se a questa Storia del reame degli Orsi mancano citazioni e note, diasi la colpa agli uomini di lettere che cedono sempre a’ tristi consigli de’ librai, i quali non pensano che ad ingannare il pubblico con frontespizj magnifici, e con ricercati prolegomeni, contenti di questi per poter prendere alla rete gli uccelli.



fine della storia del reame degli orsi.


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