< Storia di una capinera
Questo testo è stato riletto e controllato.
XIII XV

20 Dicembre.


Sono stata malata, amica mia, molto malata, ecco perchè non ti ho scritto. Ci furono dei giorni in cui tutti piangevano, ed io ringraziavo Iddio che mi dava la pace dello sfinimento. Ho visto tutti quei volti pallidi intorno al mio letto, tutte quelle lagrime che si dissimulavano con un sorriso ancora più doloroso... ed i miei occhi vedevano come in sogno e guardavano tranquillamente... ho visto tutti i miei cari, tutti... lui solo no!... gli avranno proibito di venire; eppure, colla squisita sensibilità degli infermi, io sentivo ch’egli era lì, dietro quella finestra, a piangere, a pregare... ed i miei occhi stanchi della vita si affissavano su quei vetri da dove un raggio di sole invernale veniva a posarsi sul mio letto. Non saprei esprimerti quello che provavo dentro di me; mi sentivo più calma, più leggera, in un’atmosfera di pace e di serenità; pensavo sempre a lui, ma con tale tranquilla dolcezza che mi pareva essere fra gli angeli, ed uno di questi che si chiamava Nino mi avesse preso per mano, mi chiamasse per nome, e guardassimo entrambi le stelle come in quella notte.

Fa freddo, piove, sai com’è triste il rumore di quella pioggia che batte sui vetri della finestra! Gli uccelletti vengono tremando a cercar rifugio sotto la gronda; il vento sibila nel castagneto; all’infuori di quel rumore, ch’è malinconico, tutto è silenzio. Stamattina mi son levata da letto per la prima volta, barcollante, rifinita di forze. Se vedessi come ti scrivo appoggiata ad un monte di guanciali, arrestandomi ogni momento per riprender lena, per asciugare il sudore della mia fronte... eppure fa freddo, vedi! La testa mi pesa, la mano mi trema, il pensiero è confuso, vacillante. Mi hanno detto che sei venuta a trovarmi... Non me ne rammento, Marianna mia! sarà stato in uno di quei giorni che non avevo coscienza di quello che si faceva vicino a me. Questo piccolo stanzino ove ho tanto sofferto, quel lettuccio, quel crocifisso, quei mobili mi pare che sieno diventati parte di me. Ho passato tante lunghe ore nella malinconica inerzia della convalescenza fantasticando non so che, a guardare tutti gli oggetti della mia cameretta; chè la forma dei mobili, e la fisionomia, direi, delle pareti mi son care. Ora i medici dicono che sto meglio, Dio sia lodato! Poichè bisogna sempre lodarlo in quello che Egli fa, il buon Dio!... Mio padre, Giuditta, Gigi, tu e Annetta ne sarete tutti contenti... e lui! anche lui...

Com’è dolce ritornare alla vita dopo essere stati sul punto di abbandonarla! Non fosse altro che per vedere tutti quei volti ridenti, per ricevere tutte quelle carezze, per sentirsi amati, per guardare il cielo, per sentire il vento, la pioggia, il pigolare degli uccelletti che hanno freddo. Tutto sembra nuovo e bello; sembra che la mente stanca si risvegli, e a misura che il pensiero corre ad una cosa cara si prova una grata sorpresa di trovarla più viva. Si ama tutto, si benedice Iddio! Tutti mi prendono la mano che è scarna e pallida, la stringono, la baciano.... lui solo no! lui solo!...

Mi sono alzata vacillante, appoggiandomi ai mobili, ed ho aperto la finestra. Mio Dio! com’è incantevole tutto quello che veggo, malgrado che faccia freddo, e il suolo sia coperto di neve e gli alberi non abbiano foglie, e il cielo sia nero! Ho veduto laggiù quella casetta, dopo tanto tempo! quella vite quel davanzale, quella porta.... il gelsomino non c’è più, la vite è sfrondata, le porte sono chiuse, tutto ha un’aria di tristezza, eppure mi è parso il paradiso... Mi è sembrato veder socchiudere la finestra... Mio Dio!... ho gli occhi così deboli!... Ho veduto un’ombra nel vano delle imposte... Lui!... lui! è lui! mi ha veduta!... mi attendeva! Oh! Dio Dio! è lui, Marianna! non lo vedi? è lui!

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.