< Storia di una capinera
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XVII XIX


7 Gennaio, 1855.


Oggi è l’ultimo giorno che passeremo qui a Monte Ilice. Domattina partiremo per Catania. Se toccheremo Mascalucia ti rivedrò.

Se vedessi come tutto qui è triste! Il cielo nuvoloso, l’aria fredda, le valli che son velate di nebbia, i monti che son coperti di neve, gli alberi che non hanno le foglie, gli uccelletti che non hanno allegria, il sole ch’è pallido, quelle lunghe file nere di corvi che si aggirano gracidando per l’aria, que’ contadini rannicchiati attorno al fuoco.

I miei non ne potevano più di starsene qui, soli, nella cattiva stagione, e adesso che la paura del coléra è cessata, il babbo non vede l’ora di andarsene. Io me ne sto delle ore intiere a pensare a non so che cosa, appoggiata sul davanzale, quando il sole splende, o guardando tristamente il cielo attraverso i vetri.

Mio Dio! questa è la morte.... la morte della natura come la morte del cuore.... come la morte della povera rosa....

E pensare che questi luoghi erano tanto belli! che sono stata tanto felice qui!

Mi son riconciliata con Dio, colla mia vocazione. Ho visto che la pace, la quiete, la tranquillità non si trovano che laggiù, in quella cella, ai piedi di quel crocifisso; che tutte le gioie del mondo lasciano infine un senso di amarezza.... tutte!

Eppure mi pare di lasciare una parte del mio cuore in questi luoghi ove ho passato tante ore tristi e tanti giorni deliziosi. Ad ogni oggetto che ho visto, ho pensato: domani non lo rivedrò più! Questa sera ho fatto un’ultima passeggiata nel bosco; mi sono assisa un’ultima volta su quel muricciolo; ho contemplato quella capannuccia posta di faccia alla nostra porta, e stando alla finestra ho guardato con un senso inesplicabile di mestizia gli alberi, i monti, quei burroni, il cielo ove si spegneva il raggio del giorno.... e li ho salutati per l’ultima volta, ed ho salutato persino la pietra coperta di musco, sin la gronda che si stende sul mio capo. Tutte queste cose hanno una fisonomia particolare, la fisonomia malinconica degli oggetti che sembrano dirci addio.... Ed il mio addio sarà eterno. L’anno venturo, allorchè questi monti che adesso tacciono e sono tristi, saranno allegri di suoni, di luce e di fragranze, quando le villanelle canteranno per le vigne e la lodoletta pei cieli, i miei parenti torneranno qui.... Essi rivedranno questi luoghi deliziosi.... Io no! Io sarò lontana, chiusa in convento.... e per sempre.

Ho riveduto quella casetta.... Sembra che pianga, che abbia paura, sola, fredda, silenziosa, perduta in fondo alla valle. Ho chiuso un’ultima volta la mia finestra; ho visto il crepuscolo morire su quei vetri e le stelle accendersi ad una ad una nel firmamento; le pareti illuminate dalla candela dell’ultima sera hanno una fisionomia particolare; quel lettuccio, quel crocifisso, quei mobili, tutte quelle piccole cose son diventate intelligenti, sono meste, mi hanno detto addio.... Anch’io son mesta.... Ho pianto, e mi son sentito alleggerire il cuore.



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