< Storia di una capinera
Questo testo è stato riletto e controllato.
XVIII XX

Catania, 9 Gennaio.



Mia cara Marianna, tu mi avrai aspettato inutilmente. Non toccammo Mascalucia, perchè avremmo allungato di molto il nostro viaggio e il tempo era al cattivo: ma avrei desiderato tanto di vederti.... Adesso siamo qui da ieri a sera, e domani rientrerò in convento.

Siamo partiti da Monte Ilice verso le dieci, col tempo che minacciava pioggia. Tant’è, ogni cosa era disposta per la partenza e la mamma non avrebbe voluto disfare di nuovo i bauli e le valigie per tutto l’oro del mondo. Meglio così. A che rimanere a lungo lassù? Il cielo stesso sembrava scacciarci. Nondimeno allorchè oltrepassai la soglia di quella casa mi sentii un gruppo al cuore. Volli passare in rassegna un’ultima volta quelle stanzine, la spianata, la capannuccia del castaldo, il muricciuolo, quel bel castagno che stende i suoi rami sul tetto! Ho abbracciato le pareti, i mobili del mio camerino; ho aperto un’ultima volta la finestra per udire quello stridere dei gangheri che piangeva. Ho fatto il giro della casetta onde vedere a mia finestra dal di fuori com’egli l’avrà vista.... onde cercare d’indovinare il luogo dov’egli ha posto i piedi....

Tutti erano allegri, Giuditta, Gigi, anche il babbo e la mamma; Vigilante saltellava, poverino, come se non sapesse che l’abbandonavamo. La castalda ci dava il buon viaggio con tutti i suoi bimbi che le si aggrappavano alle vesti; un uccelletto tremante di freddo è venuto a posarsi su di un ramoscello senza foglie del castagno e si è messo a pigolare anche lui.

Siamo partiti a piedi; in fondo alla valle ci aspettavano gli asinelli per andare sino a Trecastagne, poichè tu sai che su questi monti non si può venire che a cavallo. Di tratto in tratto ci volgevamo a guardare un’ultima volta quei luoghi che abbandonavamo. Allo svoltar del viottolo, laggiù nella valle, siam passati vicino a quella casetta.... Il cuore non mi reggeva a guardarla, eppure le menome particolarità di essa mi son rimaste scolpite in mente. La finestra di lui ha le imposte verdi e un vetro è rotto; sul davanzale c’è un segno di umidità al posto dov’era il vaso di gelsomini; il vento ha strappato i tralci della vite che si stendevano sulla porta e li ha gettati a terra; sulla spianata, dinanzi alla porta, ci son ancora dei vetri rotti e alcuni brani di lettere e di giornali fradici dalla pioggia che il vento fa svolazzare di qua e di là; sul davanzale c’è ancora una pipa rotta. Tutte quelle cose parlano e dicono: Non c’è più! ci ha lasciato! siamo soli!

Quello era il viottolo pel quale egli veniva da noi. Quante volte ci sarà passato! Da quel punto doveva vedere la nostra casetta far capolino lassù attraverso i castagni. Quante volte l’avrà guardata!... E quante volte i suoi sguardi si saranno posati su queste pietre coperte di musco e vi si sarà seduto col suo bel cane disteso ai piedi!...

Marianna! non mi regge il cuore a tutte codeste memorie!

Siamo andati a cavallo sino a Trecastagne ove ci aspettava la carrozza. Il povero Vigilante ci faceva festa per invitarci a condurlo con noi. Che potevo io fare? L’ho accarezzato ed ho avuto quasi le lagrime agli occhi vedendolo allontanarsi per forza, strascinato dal castaldo che l’aveva legato al guinzaglio.

Rivolsi un ultimo sguardo sul mio caro Monte Ilice e non vidi più nè la casa, nè la capannuccia, nè la vigna. Vidi soltanto una massa bruna ch’è il castagneto e il resto confuso nella nebbia e biancheggiante di neve.

Montammo in carrozza e partimmo.

Quando siamo entrati in città, il cuore mi si è fatto leggero leggero. Guardava fuori lo sportello e mi pareva ravvisar lui in ogni persona che incontravo.... Mi avranno creduto una sfacciata!... quando vedevo un crocchio di gente non potevo frenarmi di mettere il capo fuori dello sportello; ero tutta sossopra come se fossi certa di vederlo in quel cerchio.... la carrozza passava oltre rapidamente e il cuore mi si stringeva come se non avessi avuto il tempo di ravvisarlo fra quella gente. Chi sa dove abitano i signori Valentini? Venti volte questa domanda mi è venuta sulle labbra, ma non ne ho avuto il coraggio. Catania è tanto vasta! Non è come quei nostri cari monti! Colà si sapeva sempre ove cercare una persona! Coteste immense vie mi son sembrate tetre; tutta cotesta gente mi è parsa triste. Siamo arrivati a casa, la casa di mia matrigna, ove mi son trovata come un’estranea in mezzo alla mia famiglia che ne baciava le pareti.

Chi sa se i signori Valentini sapranno del nostro arrivo? Chi sa se verranno? Chi sa se lo vedrò passare per la strada?... Mio Dio! la nostra strada è tanto deserta! Non si viene a passeggiare da queste parti.... ma che.... Ma egli potrebbe.... Chi sa dove egli sarà a passeggiare in questo momento? E poi se mi vedessero alla finestra!...

Mia matrigna mi ha detto che domani rientrerò in convento. Ha creduto certamente darmi una consolazione, e non sa che mi son sentita come agghiacciare di terrore....

Non ci pensava più.... Ma bisogna rassegnarsi.... Quella è la mia dimora. Dio mi perdonerà e metterà il balsamo in questo povero cuore che non avrebbe mai dovuto allontanarsi da Lui.

Rivedrò la mia celletta, il mio crocifisso, i miei fiori, la chiesa, le educande mie compagne.... te sola no! tu non verrai più in convento! sia fatta la volontà del Signore!... Qualche volta almeno tu verrai a trovare la tua povera amica che è tanto infelice.... Chi sa se potrò più scriverti e sfogarmi con te?...

Addio! Addio!



Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.