< Storie (Tacito)
Questo testo è incompleto.
Publio Cornelio Tacito - Storie (II secolo)
Traduzione dal latino di Bernardo Davanzati (1822)
V
IV

Tito dal padre scelto a domar Giudea. Sua truppa s’ accampa presso a Gerosolima. — • II. Origine dei Giudei. —. III. Religioni e leggi. — VI. Paese e confini , balsamo , Libano , Giordano , lago bituminoso , campi di foco , frutta che vanno in cenere, fiume Belo. — VIII. Gerosolima capitale : tempio in immenso ricco. Giudei in fiore sotto gli Assirj, Medi, Persi, Macedoni e sotto il lor proprio scettro. — IX. Varia lor sorte sotto ai Romani. — X. Guerra Giudaica nata sotto il procurator Gessio Floro. Cestio Gallo, di Soria Legato, spesso vinto. In un punto tutto occupa Vespasiano fuor che Gerosolima XI- Caccia Tito tra le mura i Giudei uscitine , e la città assale. Fortificazioni di questa. — XII. Duci de’ Giudei. — XIII. Prodigi anzi l’ assedio. —- XIV. Civile , rinnovato l’ esercito per la Germania , riapre la guerra. — XV. Varie pugne or a Civile, or a Cenale fortunate. — XIX. Va Civile a un isola de’ Botavi. «— XX. 1 Romani presidj invade. — XXI. Sorvien Ceriale e cangia sorte. — XXII. Per poca accortezza è quasi oppresso. —— XXlll. Fa mostra Civile della naval oste. E li Ceriale : corre nuovo rischio pel Reno che innonda. —. XXIV. Legioni in periglio: Ceriale e Civili trattan di pace. .—- XXVI. 1 Batavi presi in protezione , Germania in pace. — XXVll. 1 Lingoni occupano il favor di Vomiziano. Ucciso Fonteio ^grippa , ì Sarmati saccheggian la Mesia: poi rotti da Bubrio Gallo. XXVll 1. Assedio a Gerosolima ; cade il primo muro. — XXIX. Stentasi molto a rovesciar V altro. — XXX. Peivicacia de Giudei. — XXXI. Tito in tre dì cinge di muro la città. Espugnata e demolita la torre Antonia. — XXA IP. Fame e peste in Gerosolima. — XXXV. Tenta indarno il Romano d’ invadere il tempio. — XXXVI. Ordina Tito s"incendino le porte , si salvi il tempio. — XXXVII. Sconsigliata sortita de Giudei ciechi alla lor rovina contro i Romani. — XXXf- IH. Incendio del tempio : alzate quivi le bandiere , Tito è salutato lmperadore. — XL. Ultimi orrori di quella guerra. Gerosolima in fiamme. — XLll. Tito entrato nella rovinata città a Dio la vittoria ascrive. — XL111. Indi va a Cesarea per visitar V Oriente. Lucilio Basso espugna il resto della Giudea. —* XLIP. Intanto Vespasiano, d’Alessandria reso a Roma, coll’ esempio V opere infervora del Tempio Capitolino. —- XLVl. Tito a" Oriente torna a Gerosolima e ne compiagne l’eccidio: va a Menfi, e . con diadema in capo assiste alla consecrazion d Api, onde materia d’indignazione a Roma. — XL VII. Vespasiano alla Spagna accorda il diritto del Lazio : s’applica al governo. — XLVHI. Sua vita. — XL1X. Cura dei figli. Tito a Roma. — L. Decretasi trionfo a /Vespasiano e Tito: Pompa del tri-1 ónfo. — LTl. Chiuso Giano Tempio della Pace eretto da Vespasiano : ivi sacrati gli avanzi di quel di Gerosolima. Unanimi Vespasiano e Tito la rifor-. ma tentano de’ costumi , stanca da" vizj Roma. CORSO DI DUE ANNI.

Anno di Roma Dcccxxiii. Di Cristo 70.

C. Flav. Vespas. Aug. la 2 volta, e Tito Vespas. Ces.

An. di Roma Dcccxxiv. Di Cristo 71. C. Flavio Vespasiano Aug. la 3, e M. Cocceio Nerva

I. , ]n"el principio di quest’anno Tito Cesare, eletto dal padre a domar la Giudea , famoso in guerra, quando arabi eran privati, e tanto più allora che gli eserciti e i vassalli F adoravano a gara, per ancor mostrarsi maggiore, compariva adorno e pronto nell’armi, affabile e attrattivo si mescolava tra’menomi a lavorare e marciare, mantenendo perà suo grado. R’ceveronlo in Giudea tre legioni, quinta, decima, quindicesima, antiche di Vespasiano. La Sorìa gli diè la dodicesima, e le venute d’ Alessandria ventiduesima e terza. Accampagnavanlo venti coorti d’ aiuti, otto bande di cavalli, Agrippa e boemo Re, gli aiuti d’Antioco e forte mano d’Arabi, a’Giudei nienici, come de’vicini è usanza. Molti di Roma e d’Italia, trassero al Principe, ancor non provisto, per guadagnarlosi. Con questa oste entrato nel paese nimico, in bella ordinanza, il tutto riconosciuto, presto a combattere, presso a Gerosolima s’accampò.

II. Ma dovendo noi narrar l’ultimo fine di sì famosa città, convien dirne il principio. Scrivono che i Giudei, fuggiti di Candia, si posero nell’ ultima parte della Libia quando Saturno fu da Giove cacciato del regno. Argumentaulo dal nome ; perchè chiamandosi gli abitatori d’Ida, famoso monte in Gandia, Idei, vogliono che poi con aggiunta barbara si dicessero Giudei- altri, che regnante Iside coperchiando in Egitto la moltitudine sotto Gerosolimo e Giuda , Capitani, sgorgò nvlle terre vicine; molti fanno i Giudei Etiopi ; forzati da odio e paura del He Cefeo a mutar paese ; altri, Assirj, per carestia di terreno impadronitisi di parte d’Egitto ; indi abitato città e paesi d’ Ebrei e confinanti a Soria altri danno loro origine molto chiara, che i Solimi, gente celebrata da Omero, edificarono Gerosolima c poserle il nome loro.

III. Convengono i più, che essendo nato per l’Egitto una lebbra che guastava le corpora, l’ oracolo d’Ammone comandò al Re Boccori, chiedente rimedio , che nettasse il regno e cacciasse in altre terre questa genìa, odiosa alli Iddii : così furon tutti trovati , messi insieme e lasciati ne’ deserti ; e non facendo che piangere, Moisè solo disse loro : Non aspettasson più aiuto da Iddii nè da uomini, poichè da tutti erano abbandonati : credesson a lui, dato loro dal cielo, col cui aiuto aveano scampate le prime miserie. Con tal fede, senza saper dove, cominciano a camminare. Pativano sopra tutto d’ acqua , e già moribondi stramazzavano in terra per tutto : eccoti un gregge d asini salvatichi satolli entrare in una caverna d’ombroso bosco. Moisè vedendovi erboso il terreno , li seguitò, e trovò grosse polle d’acqua che li ricriò; e camminarono sei giorni continui ; il settimo , cacciati gli abitatori, si impadronirono di quelle terre, e fecervi città e’l tempio.

IV. Moisè, per comandar quella gente in futuro, trovò nuovi ordini a tutti altri contrari. Quivi è profano ciocchè a noi sagro ; lecito, lo abbonito. Consagrò in luogo ricondito una testa dell’ animale che mostrò il cammino, e spense la sete" e un montone sagrificò. quasi in dispregio di Giove Ammone. Sagrificano anche il bue , che è lo Iddio Api delli Egizj. Non mangiano porco, per memoria di quella scabbia che gl’ infettò, onde questo animale è difettoso. Confessano col molto ancor digiunare la lunga fame patita, e le rubate biade , col pane loro azzimo. Stannosi ogni settimo dì, perchè in quello finirono lor fatiche; e allettati dall’infingardaggine, le dedicano ogni settimo anno ; altri dicono , a riverenza di Saturno ; o per essere uscita loro religione e gente da quelli Idei cacciati con Saturno ; o perchè Saturno de’ sette pianeti, che reggono i mortali, si dica lo più alto e possente ; e i più dei celesti ordini girino ed operino per settenarj.

V. Questi bene o male indotti ordini, concedansi all’antichi tade ; gli altri, sinistri e laidi, ha confermati la malizia. Perchè tutti i ribaldi, rinnegata la fede di lor patrie, portavan là tributi e doni, onde ì Giudei crebbero , oltre all’essere in lor fede ostinati e misericordiosi tra loro , ma degli altri nimici mortali , co’quali nè mangiar usano, nè dormire. Son gente libidinosissima: guardonsi dall’usar con donne straniere: tra loro nulla si vieta. Per contrassegnarsi dagli altri si circoncidono essi - e chi-Giudeo si fa, e la prima cosa che impara , è sprezzare gl’ Iddii , la patria rinnegare, padri, figliuoli e fratelli, per niente avere. Si ingegnano di moltiplicare • però abborriscono l ’ esporre o uccidere alcuna creatura : e le anime de’morii in guerra o per giustizia , tengone immortali ; quindi bramano il generare, e non curano il morire. I corpi non ardono ; ma ripongono , come gli Egizj ; così credono e stimano degl’ Iddii di ninferno: il contrario de’ celesti. Gli Egizj adorano molte bestie e figure formate; i Giudei un solo Iddio contemplano con la mente sola; e tengono profani quei che di materie mortali, a fogge di uo. mini, fanno le immagini degl’ Iddii ; il loro stimando sommo, eterno, non mutabile, non mortale. Però in loro città , non che ne’ tempj, non vedresti una statua : con queste non adulano Re, nè adorano Cesari. Ma perchè i loro sacerdoti sonavan Hauti e tamburi^ cinti d’ ellera, e nel tempio si trovò una vite d’ oro^ pensarono alcuni essi adorare il padre Bacco , che domò F Oriente ; ma non tornano le cirimonie di Bacco, gaie e liete, con le giudee, strane e schife.

VI. Confinano da Oriente con l’Arabia, da mezzodì con l’Egitto , da Ponente con la Fenicia e ’l mare, da Settentrione con la Sorìa per lungo tratto. Gli uomini vi son sani e da fatica : rare piogge, grasso terreno, biade come le nostre: hanno di più palmeti alti e vaghi, e’l balsamo, piccolo arbore; del quale venuto in succhio, se/ intacchi un ramo con ferro, le vene ghiacciano, con isverza d’ un •asso o coccio, versano liquore medicinale. Il monte Libano è il più alto, e sì ombroso, che a maraviglia in tanti ardori mantiene la neve ; e quindi n« scaturisce il fiume Giordano. Questo non mette, come gli altri in mare, ma fende due laghi , e rimami nel terzo ; di giro ampissimo , del colore del mare , peggior sapore : col puzzo ammorba i vicini : non mosso da vento, non mena pesci, non v’ alia uccello ; nè si sa la cagione : ciocchè vi si getta, co* me in sul suolo, regge: e chi non vi sa notare, come chi sa. A certa stagione dell’ anno sputa il bitume, liquor nero, che si raccoglie con aite, insegnala , come l’altre, da sper ienza. Spruzzandovi aceto sopra, si rappiglia, e per lo lago nuota. Con mano ne tirano in su la nave un capo , che vi corre poi da sè, e non ferma , se noi tagliano quando è ca* rica ; nè ferro, nè rame il taglia : fugge il sangue e panno mestruato. Così scrivono gli antichi; ma i pratichi del paese dicono, che il notante grassume con mano tirano in terra ; dal cui vapore e forza del Sole seccato, lo spezzano con accette o coni, come legni o sassi.

VII. Non lungi è pianura, dicono, già fertile e da grosse città popolata, poi per saette arsa : vedersene i vestigi : e la terra apparente riarsa aver perduto l’umore fruttificante; perciocchè, se nulla vi nasce è si semina, viene erba o sino al fiore; o vizzo, e come cenere, quel che pure si conducesse. Come io credo che fuoco da cielo ardesse queste città, così stimo che il puzzo del lago infetti la terra e l’ aria d’intorno ; e le biade e pomi d’ammorbata terra e aria ingenerati, marciscano. Nel mare della Giudea scende il fiume Belo, nella cui foce si cava rena , che mescolata con salnitro, si fonde in vetro: il greto è piccolo , la cava infinita.

Vili. Gran parte della Giudea consiste in borgora ; hanno qualche terra. Capo della gente è Gerosolima, con tre cerchi di mura; dopo il primo è il palagio; nel più intimo è un tempio di ricchezza infinita, a cui s’accostano solo i Giudei : alle porte v’entrano solo i sacerdoti. Mentre l’Oriente fu degli Assii), Persi e Medi , i Giudei furono i più vili fra tutti i Suddetti ; poscia che lo vinsero i Macedoni, il Re Antioco fece forza di levar via la superstizione, mettervi i costumi greci, e forbire la sozza gente; ma non potette per la guerra de’ Parti , essendosi gli Arsaci in quel tempo ribellati. I Giudei , allora che i Macedoni eran deboli, i Parti non ancor grandi, è i Romani discosto, da sè stessi s’imposero i Re ; i quali, dal volgo voltabile cacciati, ripresero il dominio eoa l’ armi : e attendendo a cacciar cittadini, rovinar città, uccider fratelli, mogli, padri e fare l’altre cose che sogliono i Re, nutrivano la superstizione, puntellando lor potenza con la reverenza del sacerdozio.

IX. Gneo Pompeo fu il primo Romano che gli domò ; e per ragion di vittoria, entrò nel tempio; e divolgossi che ne’ luoghi secreti non era nè divina immagine , nè altra cosa. Smantellò la città, salvò il tempio. Essendo poscia l’Oriente, per la guerra civile tra noi, toccato a Marcantonio , Pacoro Re de’ Parti si impadronì della Giudea. P. Ventidio l’uccise: e rincacciò i Parti oltre l’ Eufrate. C. Sosio soggiogò i Giudei : Erode ne fu fatto Re da Antonio , e da Augusto vincitore, confermato. Morto Erode, un Simone, senza aspettar ordine di Cesare, si chiamò Re. Quintilio Varo, che reggeva la Sorìa, il punì, e li figliuoli di Erode in terzo governarono quella gente già doma. Sotto Tiberìo quietarono. Comandati poi da C. Cesare di metter nel tempio la sua immagine, presero anco l’armi ; e per la morte di lui le posarono. Claudio , essendo i Re morti , o condotti al basso , diede la provincia di Giudea a governo di Gavalieri romani o liberti, tra quali Antonio Felice con ogni crudeltà e libidine esercitò la podestà reale, ma con animo servile, avendo presa per moglie Drusilla , nipote di Cleopatra e d’Antonio, di cui Felice veniva ad esserbisgenero e Claudio nipote.

X. Ebbero i Giudei pazienza sino a Gellio Floro procuratore. Sotto lui nacque guerra; e per sopirla, Cestio Gallo Legato in Soria fece varie battaglie e molte infelici. Venuta l’ ora sua , o per fastidio , mortosi, Vespasiano da Nerone mandatovi, con la fortuna, reputazione e gran ministri, in due state vinse e prese la campagna e tutte le città, eccetto Gerusalemme. Il terzo anno inteso alla guerra civile, lasciò stare i Giudei. Pacificata Italia, riprese i pensieri delle cose di fuori, non si potendo dar pace che i Giudei soli non gli avesser creduto ; e anche gli parve utile, per ogni caso, essendo principe nuovo, tener Tito all’ esercito.

XI. Accampatisi adunque sotto Gerusalemme, come dicemmo, presentò la battaglia : i Giudei si misero in ordinanza sotto le mura, per seguitar vittoria o avere ritirata. Affrontati da’ cavalli e fanti leggieri, dopo battaglia dubbia, cederono ; e fatte molte scaramucce ne’ seguenti giorni, sempre al disotto dinanzi alle porte, vi furon ripinti. I Romani deliberaron l’assalto, sdegnando averli per fame: e chiedevano i pericoli, chi per virtù, chi per ferocità o agonia di premj. A Tito stavano in su gli occhi Roma, la grandezza, i piaceri, tanto rattenutigliquanto si penava a pigliar la città, forte per lo sito, essendo in monte; e per le fortificazioni fattevi, bastevoli quando fusse in piano • avendovi due alti colli ripidissimi cinti di mura, con risalti da ferir di dentro per fianco gli scalatori ; e ne’ due ripidis simi colli etano torri ; le piantate in costa, di sessanta piedi; in fondo, di cento venti : in vista mirabile, che da lontano pareano eguali. Altre mura tntro cingono il palagio con la mirabile Torre Antonia, così detta da Erode iu onore di Marcantonio.

XII. Ev* il tempio a modo di rocca, con mura proprie di più fortezza e disegno , circondato di loggia , sua nobile difesa: fontana viva, monti forati ^ vivai , citerae ; tutte cose da reggere ad ogni lungo assedio, avendo li edificatori antiveduto guerre assai per li loro stravaganti costumi : e Pompeo spugnatore, mostrato, quanto dovean temere e provvedere; e Claudio avaro vendè loro la licenza del fortificarsi ; onde fecero in pace ripari da guerra; e wesciuti in gran genìa dalle rovine dell’altre città, e là rifuggitisi tutti i più protervi; perciò erano turbolenti. Tre Capitani erano di tre eserciti. Simone guardava le mura ampissime" Giovanni, detto Bargiora, il corpo della città ; Eleazaro, il tempio. Questi era forte di luogo ^ quei di numero e d’ armi ; ma tra essi seguivano zuffe, inganni, incendj : e arse gran quantità di grano. Giovanni mandò gente, sotto spezie di far sagrifizio, a uccidere Eleazaro e li suoi ; prese il tempio. Così la città fu divisa in due fazioni ; ma appressandosi i Romani, il timor di fuori gli unì.

XIII. Apparsero prodigi ( che quella gente, super-■ stiziosa, non religiosa, con orazioni o sagrificj non, purga), nel cielo eserciti combattenti; armi luccicanti; tutto il tempio di baleni allumò: le sue porte subito spalancò : udissi voce sopra umana dire : Fug-. girsi gl’Iddìi, e grande strepito di fuggenti. I quali segni più non faceano paura, persuasi da riscontro di antiche scritture, che in quel tempo risorgerebbe l’Oriente, e di Giudea verrebbero i padroni del Mon<ào che accennavano Vespasiano e Tito: ma il poTolazzo, secondo uman desio, a sè appropriava cosi. :4to destino: nè al vero gli voltavano le avversità. Jecentomila troviamo il numero d' ogni età e sesso degli assediati, armati i potenti e molti più, per pari ostinazione , di donne e uomini. E dovendo mutar luogo , più temevan del vivere che del morire. Contro a sì fatta città e gente, non valendo impeto « assalti , risolvette Tito Cesare osteggiare con Cavalieri e vinee. Alle legioni divise le cariche : e fermò il combattere, sì fosser presti quantunque ordigni mai trovaro antichi e moderni da prender città.

XIV. Ma Civile, dopo la rotta ne' Treviri, rifatto in Germania esercito ,"si fermò a Campovecchio, luogo sicuro, e da crescer animo a'Barbari per le passate prosperitadi. Cariale gli tenne dietro , rafforzato dalle legioni seconda, sedicesima e quattordicesima. I fanti e cavalli chiamati, dopo la vittoria sollecitarono. Nè F uno nè l' altro Capitano era tardo, ma gl' impediva la gran pianura acquidosa ; e Civile con certa pescaia fatta attraverso al Reno, vi volgeva l'acqua, e quelli allagava. Così era il luogo di guado non sicuro, e svantaggioso per noi ; perchè i Romani son gravi d' arme e nuotano con paura : i Germani armati leggieri , allevati in su l' acqua, alti di corpo.

XV. Punti adunque da' Batavi, i più feroci dei nostri attaccaron battaglia, e impauriro , affogando nell' alte paludi armi e cavalli. I Germani pratichi ne' fondi, a quelli assalivano non la fronte, ma 1 fianchi e le spalle; e combattevasi, non come a fM'edie alle mani, ma, come in nave, qua e là ondeggiando : e trovandosi luogo fermo s'aggrappavano con tutte le forze feriti con sani, chi notar sapea con chi non sapea, per affogarsi. Ma e"si fece più rumore che male *, perchè i Germani non s' ardirono a uscir dell' acqua, e tornaronsi alli al'oggiamenti. La riuscita di questa battaglia innauimì l'uno e l'altro Capitano a sollecitare l'ultima prova, per cagion diverse : Civile per seguitar la fortuna • Cerialc per iscancellar la vergogna. L'orgoglio nelle bonacce tirò i Germani; Y onore i Romani. La notte passarono i Barbari in canti e grida: i nostri con ira e minacce;

XVI. La dimane Ceriale ordina in fronte li cavalli e fanti d'aiuto; appresso le legioni, seco ritiene il fiore a tutti i bisogni. Civile si presenta non iti distesa ordinanza , ma in più punte ; i Batavi e Cugerni a destra , gli Oltrerenani a sinistra, lungo il fiume. I Capitani esortarono i soldati, non tutti in aringo; ma a qualunque s'avvenieno, ricordavano, Ceriale. l'antica gloria romana; le vecchie e nuove vittorie : » Spiantassono per sempre quel nimico perfido , poltrone, vinto : gastigo doverglisi, non battaglia. Pochi con molti, dianzi aver combattuto e sbaragliato il forte de'Germani Quello avanzaticcio portare fuga in cuore, ferite a tergo ». Spronava ciascuna legione coi suoi propri vanti, dicendo a'Quattordicesimani, domatori della Britannia; a'Sestani, elettori di Galba Imperadore; a' Secondani , futuri eonsagratori iu questa prima battaglia di nuove insegne e aquila. Passato allo esercito germano, lo pregava a man giunte, ricoverassono col sangue nimico la riva loro, il loro campo. Tutti levarono lieto grido." parte struggendosi, per la lunga pace, di battagliar*, parte, stracchi della guerra, disiando pace, premio e riposo.

XVII. Nè Civile schierò i suoi tacendo: » Quel luogo , diceva , esser testimonio di lor virtù : calcare i Germani e Batavi vestigie di lor gloria, ceneri e ossa di legioni ; ovunque volgasi il Romano , non vedere che sue catene , morti e orrori. Non si perder d'a*nimo per la dubbia giornata ne' Treviri ; la vittoria nocque ai Germani che , lasciate l’ armi, s' empieron le mani di preda : ogni cosa poi esser succeduta lor bene, e male a'nemici. Avere egli, quanto accorto Capitano poteva, provveduto : condottili a combattere in paludi, ove son pratichi, a'nimici contrarie.' nel cospetto e col favore del Reno e delli Iddii germani. Ricordassersi di lor patria, padri "e famiglie. Sarebbe quel giorno o glorioso intra gli antichi o vituperoso nelli avvenire ». Approvato , col percuotersi l'arme e danzare ( cosi usano ), il suo detto , incominciano la battaglia con sassi e palle , e altri tiri, per attrarre nelle paludi i soldati nostri; e quei lo schifavano.

XVIII. Consumati i tiri, e rinfocata la zuffa , i nimici più furiosi, con loro alte persone e lunghe aste fediscono da discosto i barcollanti soldati, sdrucciolanti : e una frotta di Brutteri dalla detta pescaia del Reno venne a nuoto e scompigliò e rompeva le genti d'aiuto, ma le legioni sostennero la carica: la ferocità de' nemici calò , e s' agguagliò la battaglia. Un Batavo fuggitosi a Ceriale, li mostrò che ei romperebbe alle spalle il nimico , mandando cavalli al fine della palude, ove il terreno è sodo, con mala guardia de'Cugerni. Due bande mandatevi col fugI gito gli cinsero sprovveduti. Udito il grido, le legioni caricaron la fronte e fuggivano i Germani al Reno ; e vincevasi la guerra quel dì , se le navi romane eran sollecite a seguitarli. Fermò anche i cavalli una gran pioggia e la sopraggiunta notte.

XIX. L'altro di si mandò la quattordicesima legione nella provincia di sopra a AnnioGallo;e Ceriale rifornì l' esercito con la decima venuta di Spagna. A Civile vennero aiuti dai Cauci; non per tanto ardì difender con l' armi la città de' Batavi. Sgombrò quanto potè; il resto arse, e rith-ossi nell'isola; sapendo non v' esser navi da far ponte : in altra maniera non esser per entrarvi i Romani ; anzi rovinò l'argine fatto da Druso Germanico; e levò al Reno gl'impedimenti al suo rovinoso corso in Gallia; e così Io letto del quasi secco fiume faceva parere terra ferma , che appiccasse l'isola con la Germania. Passarono il Reno anche Tutore e Classico, e cento tredici senatori treviri, tra' quali fu Alpino Montano, mandato, come dicemmo, da Antonio Primo in Gallia con D. Alpino suo fratello ; e altri, che con presenti e compassione, ragionavano aiuti di quelle genti arrischievoli.

XX. E rimasevi tanto da guerreggiare , che Civile assaltò i presidj nostri , spartiti in quattro borghi ; cioè , la legion decima in Arenaco ; la seconda in Batavoduro ; e i fanti e cavalli in Grinne e Vada : e a sè , a Verace (nato di sua sorella), a Classico e a Tutore, assegnò a ciascuno la sua schiera, con isperanza, non che tutto gli riuscisse , ma perchè , nel tentar molte cose , ne verrebbe ben fatta qualcuna ; e potrebbe Ceriale, non troppo cauto, pai." ▼ari avvisi qua e là scorrazzante, dar loro nelle mani. I deputati contro alla decima legione , tenendo pei* difficile assaltare gli alloggiamenti , scompigliarono li usciti a far legne ; ucciso il Maestro del campo, cinque ottimi Centurioni e pochi soldati ; gli altri si difesero ne'ripari. Intanto una mano di Germani in Batavoduro brigava di tagliare un ponte cominciato con dubbia battaglia : la divise la notte.

XXI. Con più pericolo assalirono, Civile Vada, e Classico Grinne; nè si potea resistere, essendovi morti i migliori: tra gli altri Brigantico , Capitano di cavalli, fedele, come dicemmo, a'Romani e nimico a Civile , materno zio. Ceriale con buona mano di cavalli soccorse, e rivoltò la fortuna. I Germani si gittaron nel fiume. Civile, nel rattenerli, fu conosciuto e saettato ; lasciò il cavallo, e passò a nuoto : e così si salvarono gli altri Germani. Tutore e Classico, in barchette. Nè anche allora l'armata romana si trovò , come fu comandata , in quella fazione , per codardia, e aver in altro la ciurma sparsa. Veramente Ceriale era subito nel risolvere , e non dava tempo all' eseguire, ma dove l' arte mancava * lo faceva con li eventi risplendere la fortuna. Però egli e l' esercito facevano a fidanza con li ordini della milizia. E pochi giorni appresso, d' esser preso portò pericolo e biasimo

XXII. Tornando per nave da riveder il campo che si faceva a Novesio e Bonna, per {svernarvi le legioni senza alcuna ordinanza nè sentinella, accortisene i Germani, gli tesero insidie: una notte scura giù per lo fiume calarono nello steccato senza ostacolo. Uccisi i primi, tagliaron con astuzia le funi alle tende: e in quelle pelli impastoiati li stoccheggiavano. Altri scompigliaron l' armata, gittavano ram pi coni, tiravan le poppe ; prima cheti per far l'inganno, poi di grida rintronavano il cielo, per atterrire. Svegliati i Romani a suon di ferite, cercano dell' armi : corrono per le vie ; pochi in corazza ; molti spada e cappa. Il Capitano sonnacchioso e mezzo ignudo, si salvò per errore de' nimici, che presero la capitana col grande stendale, credendo lui essere. Ma Ceriale quella notte era giaciuto ( così si crede ) con Claudia Sacrata Ubiese. Le guardie scusavano loro cattìvitade con vergogna del Capitano, quasi avesse imposto silenzio per non esser desto ; perciò, tralasciati i cenni e le voci, anch' essi essersi addormentati. A dì alto, i nimici se n' andaro per la Luppia con le prese navi 5 facendo della capitana offerta a Velleda.

XXIII. Civile s' invanì di far anch' egli mostra di sue navi : armò quante barche vi erano a un remo o due : provide forza di battelli, armamento per trenta o quaranta fuste: le barchette prese ; vele fatte di sopravveste scriziate di bei colori, a veder vaghe. Per luogo scelse quella largura come un mare, ove il Reno con la Mosa in corpo si tuffa nell' Oceano. Ordinò quest' armata, oltre alla vanità naturale di quella gente, per impedir con tale spauracchio le vettovaglie che venieno di Gallia. Ceriale più tosto maravigliandosi che temendone, mise in battaglia la suaminore di numero, ma di remeggio, governo e grandezza di navi, superiore. Venute ad incontrarsi questa a seconda, quella a vela, si fiutarono co'primi tiri, e Civile non ardì altro, e ritirossi oltre Reno. Ceriale saccheggiò e guastò l'isola de' Batavi, e salvò (con arte nota de'Capitani) i beni di Civile. Il fiume uello scorcio dell' autunno d'assai piogge ingrossato, coperse la bassa e paludosa isola informa di stagno. Navi non v era, nè. da vivere ; e giù per la corrente del fiume se ne andavano gli alloggiamenti.

XXIV. Civile si vantò poi, clie potendosi allora (e i Germani il volevano) disfare le legioni, egli con inganno ne gli distolse. Riscontro n' è, ch' ei s' arrese pochi dì poi, avendo Cenale per segreti messaggi offerto a'Baiavi pace, a Civile perdono ; e confortato Velleda e suoi divoti, a scambiare a grande uopo loro la fortuna della guerra, per tante rovine contraria, ad un bel merito col popolo romano: » A oagion di Civile essere stati ammazzati i Treviri, accesi gli Ubj, spatriati i fiatavi : e trattone che ? ferite, fughe, pianti. Lui essere scacciato, sbandito; grave a chiunque il raccetta. Avere i Germani peccato d' avanzo a passare il Reno tante volte. Non armeggiassero più ; perchè loro essere e colpe , troverieno lddii e vendetta ».

XXV. Mescolava con minacce promesse. E già balenando la fede delli Oltrerenani, dicevano tra loro i Batavi del popolo : » Non doversi cercare maggior rovina; non potere una sola nazione trarre di servitù tutto il Mondo. Le uccise legioni, e arse, che aver fatto se non chiamarne più e più forti? Se essi avevano guerreggiato per Vespasiano, ecco ch'ei dominava il tutto. Se la voleano col popolo romano, quanta parte dell'uman genere esser i Batavi ? Dare i Reti, i Norici, e altri raccomandati, tanti tributi ; essi non altro che virtù e uomini : poco meno che godere libertà: e dovendo patir padroni , esser pure più onorevoli i romani Imperadori che le femmine de' Germani. « I Grandi diceano. » La rabbia di Civile aver loro indossate l'armi ; fatto riparo alle sciagure di casa sua la rovina di questa gente. Allora essersi crucciati gl' Iddii co' Batavi, che s'assediavano le legioni, s' ammazzavano i Legati, si pigliava guerra necessaria a uno, pestifera a tutti. Essere spacciati, non cominciando ad aprir gli occhi . e col punire il reo capo , mostrar pentimento.

XXVI. IN"on fu nascosta a Civile questa disposizione 3 e pensò prevenirla, stracco di tanti affanni : e anco sperando salvar la vita, ove gli animi grandi si perdono molte volte. Domandò abboccamento. Tagliossi il ponte a Vaale: i Capitani vennero alle teste, e Civile così cominciò: » Se io mi scusassi con esso il Legato di Vitellio, non meriterei nè perdono del fatto mio, nè fede alle parole: trattammo da uimici tutte le cose tra noi: ei cominciò, io rinforzai. Vespasiano ho io sempre osservato : e quando egli era privato noi eravamo detti amici, Antonio Primo il sa, che mi chiamò per lettere a tener, che le germaniche legioni e la gioventù gallica non passassero l' Alpi. In Germania quelle armi mossi, che egli lontano e Ordeonio Flacco presente, mi ordinarono. Le stesse parti tenni che Muoiano in'Soria, Aponio in Mesia, Flaviano in Pannoni a (*), Tiberio Alessandro in Egitto. Con pari studio Batavi, Canninefati, le veterane coorti, a indotta di Vespasiano, misi in campo. Se vi fu poi ostilità, non so se a ragione Q a torto. Vorrei i torbidi tempi anzi imputarne, che dubbia colpa. Molte v'ha certo riprove, nè obliate, che nelle stesse guerre inclinai sempre alla pace e

(*) Qui entia Brotier a supplire il resto del V libro dulie Storie. favorii i Romani. Nè mancherà da me che tra Romani e Batavi, ferma e fedel alleanza si rinovi. Esortai un dì al giuramento : ora esser compiaciomi conciliator di pace ». Così d'accordo furon tolti in amicizia i Batavi , resa pace a Germania.

XXVII. I Lingonì stretti in società con Civile, il favor di Domiziano occupato aveano, soggettatigli settantamila armati. $' inasprì la pugna ex/ Sarmati. Fonteio Agrippa, Prefetto, come dissi, della Mesia, non reggendo al lor numero, morì da forte in zuffa. Tutto indi in scorrerie e saccheggi. Saputone Vespasiano, mandò Rubrio Gallo , che saldò la piaga; e in più rotte cacciò di là dal Danubio i Barbari ; e perchè non tentassero ritorno, i Romani presidj di gran forti crebbe.

XXVIII. Guerra di maggior peso era in Giudea. Tutto in concio ad espugnar Gerosolima : dentro già a primavera, posevi mano Tito, d'indugi schivo. Di pari ardore si combattè. Ebber buono da prima i Giudei, per natura de'siti ; e pe'tanti, che d'ogni terra, anco di là d' Eufrate, venuti erano dal periglio punti e da pietà di lor gente: e per sotterranei scavi rovinavan macchine , uocidean soldati, che a cercar acqua e materiali ivano sparsi. Una pur delle tre torri da Tito alzata a cinquanta cubiti, rovinò a caso una notte; a spavento e ritardo delli assedian ti. Ma prevalse in fin Roma per sua arte e valore, aitata dal rischio di Tito, colto d'un sasso all' omero manco. Al duce ferito adizzate le legioni, fan Y ultime prove : e rovesciato il muro, la prima parte occupano della città da bora, senza cader Giudeo; ritiratisi indentro tutti.

XXIX. Addoppiò fortuna il rischio; star dovendo in più stretti siti: e più che riconcentrate più valide fortificazioni incontrando e doppia resistenza. Immensa armeria pur v'era: oltre l'usate macchine e l'inventate al lor uopo da' Giudei, ostentavansi le romane, sulle prime zuffe prese nello storpio di Cestio Gallo di Siria Legato. Tentò poi Tito piegar gli animi accaniti coll' impunità; ma interpretando sua clemenza a paura, dileggiati i messi, crebbero d'ardire. Indi più sdegno nelle legioni, accese all' indegnità della villania, e determinate a tutto osare, per più pronta ed acre vendetta. Affrettansi l'opere: si accostan le macchine a'muri: le guaste da'sassi e fuochi nemici, tosto - riparansi. Anela ' all' assalto il soldato, più animoso più che in rischio. Dato il segno, i più arditi, tra dardi e sassi, rotta parte dell' altro muro, apron la breccia. Ma, tra ch' era stretta, e Tito per usar anzi clemenza che del dritto di guerra, iva lento a far guasto, abusò l'indulgenza il Giudeo a perfidia; e diè a'pochi Romani, dietro Tito avanzatisi, tal fiancata, che li cacciò fuori. Qui si fe' da vero : e per tre dì pugnossi a quel varco, cui i Giudei colle lor vite faceano schermo. Al quarto in fine vinti e rinculando, alla torre Antonia si venne.

XXX. Sendo essa piantata in alto, fu d'uopo, a batterla, di terrapieni. Or a fiaccar col terrore il giudaico orgoglio, per quattro dì fu in mostra l'armata romana; data in pubblico la vittuaria; e dai merli a bacìo del tempio, vedean l'assediati il grand'oro ed argento, e la terribil oste, d'armi e baudiere, sfolgorante. Mandossi di più Gioseffo, che sovra accennai, a persuader la resa, a speme di perdono, di libertà, di fortune. IN è questo, nè l'aspetto delle forze nemiche, nè l'orrenda fame, che già incrudelia, i feroci animi piegò. E i fuggiaschi stessi dal clemente Tito nel suo campo accolti, cieche trame ordiano, sgozzando cui incontravan solo de' Romani o turando o infettando i fonti: irreparabil male! Molti in pena di tal perfidia, e a terror dei compatriotti, in vista alla città furon fitti in croce, o monchi, rimandati a'suoi. Supplizj, che più negli odj li accanirono: e con nuova rovina macchinava Giovanni vendetta ; chè minando sotto a' terrapieni, e arsi i legni su cui questi poggiavano, furono ad istante ingoiati; fracassaronsi le macchine, e dal foco che sboccò, furon arse a un tratto. Più rio giuoco non v'era stato in quella guerra : pure in due dì circa, fu replicato ; chè a sommossa di Simone tre giovani de' più audaci, Tefteo, Megassaro, Cagira(anco i barbari nomi, per opra insigne, meritan fama) di città usciti, con faci a mano, tra mezzo a' nemici, a dardi, a spade, ad arder si fero ed arsero le macchine su' nuovi bastioni erette: nè spegnarsi potè la fiamma, pe'Giudei che da' muri, e con una sortita , menavan le mani da disperati.

XXXI. Non crollò pel sinistro la fermezza di Tito; ma 'l fe' servire all' eccidio della città; cui in tre dì con incredibil lavoro, di muro e torri per trentanove stadj fasciò sì, che scampo non v' era agli assediati. In tai strette preser molti Giudei la fuga, con non miglior sorte fra'Romani che fra loro. Poichè di lunga fame languenti, da gran satolle di cibi, perian molti. Altri, per l'avarizia della nazione, saputo aver ingoiate lor gemme anzi la fuga, dagli Arabi e Siri furono sparati, nè da tal barbarie fur netti affatto i Romani. Così dumila Giudei n' andarono, con jsdegno di Tito, che mtimò morte a reo di tanta sceleranza. I rimasti poi in città nulla brigavansi di salvezza. Sol ne'Duci regnava furore; Giovanni, tutto a spogliar il tempio ; Simone a destrurre i suoi, sì a slascio, che sciogliendo ' anco i Romani l'assedio finia Gerosolima pel hrutal odio de'figli.

XXXIf. Stanco di soffrire, temente di peggio, il Prefetto della torre Antonia a nome Giuda, con dicci de' più fidi, trattò di tradigione; iva già Tito a occupar la torre, quando Simone, scoperto il disegno, sorprese i traditori, e scannatili su gli occhi de' Romani, squartolli, e li gittò a' corbi. Ma al tradimento supplì fortuna e virtù pe'Romani; chè all'appressar le macchine, la parte di muro da Giovanni, com'additai, minata, repente diè giù. Di qua s'entrò; ma altro muro sorgea, da Giovanni eretto, per diffidenza del primo caso. Sabino dal periglio e dalla gloria incoraggito, sceltisi altri undici, fra tempesta di dardi e sassi, guadagna il muro. Coraggio , che sì i Giudei sbalordì, che si ruppero in fuga. Ma urtando col piè in un sasso, stramazzò a gran fracasso dell' armi ; gli son sopra i Giudei volti in dietro: ei sul ginocchio riparasi bravamente collo scudo, ferisce chi s'accosta, sin che da frecce d' ogni parte crivellato, spirò, con tre che seco eran usciti sul muro ; gli altri mal conci si resero a stento a quartiere. L' esempio di valore i Romani accese : e il sesto dì dell' assalto , fu presa la torre Antonia y che spianar fe' Tito, e tastar di nuovo i Giudei se volesser rendersi ; promettendo non toccar il tempio, c servar in venerazione un luogo, ove non potrebbero i Romani por piede.

XXXIII. Per incalliti a' mali più non v'era sano partito. Si costruiron dunque i terrapieni, e fu approcciato al tempio. Credendo Tito occuparlo di sorpresa, manda Sesto Cereale ad invaderlo a notte con iscelta truppa. Andaro alle sei della sera; ma erano all'erta i Giudei, nè dati a sonno, come speravasi. Si pugnò alla gagliarda, con minor perdita pei Romani , che sperti a guerra intendeansi tra loro al motto; e attestatisi insieme cogli scudi ben serrati, non eran sì sposti a colpi. Ma i Giudei, mossi da impeto, nè distinguendosi al buio, più sè stessi che 'l nemico stmggeano: pure eran molti: nè finì notte l'attacco. A giorno crebbe col periglio l' ardore: nè si cessò pria delle cinque della mattina, e con dubbio esito. Tito all' ora la costruzion de' terrapieni tolse a petto, per finirla col tempio. Viva fu da prima la resistenza ne' Giudei, che sboccarono all' Oliveto; ma li respinsero e ruppero i Romani, nè'l vano sforzo fe'che crescer ira.

XXXIV.. Di dì in dì peggiorava la città: incrudelia la fame: e s'udì di bamboli uccisi, e che madre (orrido caso e nuovo ) mangiò il suo ; inutil delitto, che per tal empietà serbandosi in vita, ivasi contro" a rio contagio, socio di fame. Peggior di quello il fatale stremo: pressati da fame, o timor d'essa, penetran molti le case in busca se vi s'asconda cibo, e F empion d'assassinj e sangue. Vinto a tanti mali il popolo, al fin chiedea pace, se dal salutar consiglio noi distoglieano i Duci, da lor rea coscienza furenti: e tanti fanatici profeti, che spacciavano, nel maggior periglio, più pronta e patente, doversi vedere da Dio aita. Ma tra timor e speme, eran dagli anzidetti diri presagi turbati gli animi, e da atroci di eccidio minacce. Poichè un tal Gesù, uom plebeo, quattr'anni pria della guerra, orrende cose contro popolo, città e tempio, di e notte vociferato avea, per minacce e colpi, dal feral metro non mai fina lido. Cominciato l' assedio, come avverati i presagi, mesto e' n pensier neri assorto, per le mura spasseggiando, guai! sclamava: » Guai, lo impeto, a città, tempio e popolo! » ciò replicando: » Ahi > » aimè ! «, gridò : e cadde morto da uno scocco di balestra. Fresco portento v’ ebbe di più tristo significato ; cessò il perenne sagrifizio.

XXXV. Quindi infieriti i Giudei, tra le loro stragi qua e là corrono ; con ferro, foco, rovine di tetti e mura, conquassi de’ bastioni, opprimer credendo i Romani, o dal tempio farli lungi. Fra tai guasti e fra i portici in fiamme, il magnifico apparve prospetto del tempio. Qual da religione attonito, ristette il roman esercito : vi volle ordine di Tito, d’ ir oltra : e per le sacre opere già da’Giudei profanate, il fio riscotere, col suo eccidio, da gente al cielo e al mondo in ira. S’ersero i terrapieni, giocarono i possenti ordegni; ma indarno, per l’immense moli di sassi. Posersi dunque le scale a’ portici ; nè fer mossa i Giudei, sin ch’ ebbero alla mano i soldati ; cui precipitarono in giù, uccidendo i più vicini, squassando le scale, molti rovesciandone , trafiggendo i già scesi ne’ portici. Pugnaron da bravi gli Alfieri ; ma dalla sena oppressi, furon fatti in pezzi, e prese Je bandiere romane.

XXXVI. Provando Tito, per la sua indulgenza col tempio pericolar de’suoi il valore, crescer la temerità ne’ Giudei, comandò ne s’ ardesser le porte. Dato all’ accolte materie foco, appiccossi a’ legni delle porte, dopo molto lottato coll’ argento che le copria. Quelle rovesciate e inoltratesi le flamme, stordirono i Gindei: nè ebber pur lena a Fermar l’ incendio, che dì e notte fe’ guasto. Tito co’ Capi dell’ esercito consigliò sul tempio. Divisi «rano i pareri : chi volea, valesse il diritto di guerra; sarebber contumaci i Giudei fin che sussistea queli ’ edilìzio, ove correau essi da tutta la terra : il solo suo eccidio bastar alla pace: altri che serbassesi il tempio , se entrandovi le legioni bassavan l’ arme i Giudei ; se pugnavano, si rovinasse, come non più stanza di Dio, ma rocca di guerra: e tutta la reità non su i Romani , ma su i Giudei cadendone, ostinati a subbissarlo. Tito, all’opposto , protestò : Che , quando pur resistessero i Giudei , non fora per se mai che di lor pervicacia le pena cadesse sul tempio; non poter opra di magnificenza tanta senza scorno del popolo romano atterrarsi : gran trofeo dell’ Impero, e della vittoria essere il serbarlo. Furon con Tito, Frontone, Alessandro e Cereale : e dato alle legioni agio a riposare, scelsersi coorti, l’arsione a spegner del tempio, e aprir la via da passarvi agevoli le legioni.

XXXVII. Tal vegghiava sul tempio la romana clemenza ; ma correan dirotti a rovinarlo i Giudei, a grand’impeto per l’oriental porta difilatisi addosso a’ Romani , che n ell’anticorte facean l’ ascolta. Resser questi vigorosi all’ urto, ristretti tra loro , e collo scudo in guardia immoti e impenetrabili; ma cedeano al immero, se dalla torre Antonia mirando Tito la zuffa, pronto soccorso non porgeva di scelti cavalli. Non potendo contro Cesare i Giudei, e cacciati oltra , con subitane scaramucce indarno insultando , sempre vinti, fuggonsi al tempio.

XXXVIII. Qui Tito resosi alla torre Antonia pen sava d’assediare il di dopo il tempio con tutto l’ardor de’ suoi : ma più grave di Dio ira i Giudei premeva ; che , al lor supplizio correndo, i Romani assalgono , occupati a spegner il foco del tempio esteriore. A tal pervicacia sdegnato il Romano, quel confuso stormo battè sì, che fugatolo, sino al tempio l’incalzò; ove un Romano di suo avviso, anzi d’ un tal superiore impulso , tolto un tizzo, levato su da un altro, per la finestra aurea , che da bora dava nelle stanze attorno al tempio, lo gitta. Allo scoppiar le fiamme , levaron urli i Giudei più che da vicini a perire. Tosto avvisatone Tito , che riposava , salta del padiglione, accorre a frenar l’ incendio; i Duci van seco : è lì tutto l’ esercito dal campo : schiamazzi e grida assordan l’ aria. Tito a vocp e a mano accenna si ripari l’incendio ; ma chi vede o ode? Vincitori e vinti, pari impeto guida: quelli di sfogar ardono l’antica ira contro l’odiata gente, accesi anco a vedere il tant’ oro, onde il tempio riluce , e persuasi che maggior ve n’ è dentro ; i vinti non più per vita e roba, ma pel tempio, per Dio , alteramente sfidan morte : più che all’ estremità ridotti, più da speme animati di celeste braccio. Dunque cadaveri a monti di Giudei e Romani : sangue a fiumi nell’atrio del tempio: strage e poi strage circa l’altare e gli scaglioni.

XXXIX. Dilatan le fiamme intanto i Romani ., pur non anco il tempio ardea. Desioso di vederlo Tito, a stento si fa largo tra’combattenti, e passatili coi Duci, entra, va nel penetrale , spia tutto : e ’l trova maggior della fama ; sperando ancora che salvar si possa il tempio, calmata con mutue offese l’ira; ma un soldato che ’l seguì , avea soppiatto dato foco ai cardini. Al levarsi le fiamme sulle porte e nel tempio , restan di sasso i Giudei : indi i Duci e i faziosi, ripreso animo, scappan via d’onde si esce alla città superiore : il resto, volta la costernazion in furore, e risoluti perir col tempio, va da sè contro a morte . altri ad infilzarsi a precipizio nelle spade romane: altri di lor mano ad uccidersi per non cader da ferro profano : molti con farsi vittime nelle sante fiamme ( sì superstiziosa è la nazione ! ) del tempio, di tal morte più di qualunque prodezza esaltano. In tanto lor furore, tutta di Tito la briga era, non si riducesse a tanti cadaveri la vittoria ; e facea di tutto per indurli a vivere e aversi riguardo. Indarno: per tutto fiamme, sin del tempio su’ tetti, che ne riverbera quant’ è vasto il monte. Inorridito e mesto va Tito. Restan suoi soldati accaniti al sangue , anelanti al sacco : e tra ’l confuso gridar de’ Romani e ulular de’ Giudei, va in fumo il tempio. Tal eccidio, ultimo della nazione, il dì proprio avvenne, che dicesi, da’ Babilonesi arso già altra volta lo stesso tempio, assai più ricco e famoso. Tra quegli ardenti avanzi piantaronsi le romane insegne ; e compiuti i sacrifizj, fu Tito gridato Imperadore. Tant’ oro poi insaccò la soldatesca, che valse la metà meno in Siria.

XL. Nè qui stero gli orrori di quella guerra. Al vincitore, a salvar quei resti di nazione inteso , chieder osò la vita la vil turba de’sacerdoti : ebbesi Tito a male che sopravvivesser al tempio, e a vergognosa morte dannolli. Il rifiuto della vita, agli altri tutti offerta, fatto da’Duci Giovanni e Simone, stizzì il vincitore e fe’ l’ eccidio della città. Furon date alle fiamme le già prese fabbriche, come pur le case, fatte cimiteri pe’ cadaveri de’ morti da fame. Le pene all’ ostinazion dovute scansarono di Izate Re i figli e’ fratelli, e la nobiltà, che la pietà di Tito avea di concerto implorata. Furono poi in piedi i bastioni contro la città superiore detta Sion, dall’ altezza del sito e da fortissime torri difesa: ma, come fosse destino per Gerosolima perir anzi d’interne discordie che di man nemica, nè pur nell’ultimo frangente regnò concordia, per contesa tra Idumei e Giudei. Da innata clemenza e per l’ usata arte de’ Generali, la zizzania Tito addoppiò , gl’ Idumei ricevendo a speme di resa.

XLI. In tal bollor d’odio tra’ Giudei, rinovossi l’ assedio. Lor Duci di senno vanilasciate indifese le torri, unico, inespugnabil riparo: la parte più, forte della città fu presa senza stilla di roman sangue. Tanto suo brobbrio el e vecchie colpe, con universal clade espi ossi ; le case da mutui furori pria sozzate, di nuove stragi profanansi : seguì poi fiamma , che l’esecrandi tetti divorò, al notturno buio fatta più sensibile. Il dì due settembre fu l’ ultimo dell’incendio di Gerosolima, che così perì; e che dopo aver con somma gloria fiorito duemila censettantasette anni in Oriente, or di sè stessa è tomba.

XLII. Nella rovinata città entrato, e le gran torri inespugnabili ammirando Tito, confessò, sè esser dell’ esercito il Duce, ma Iddio autor della vittoria. Ordinò cessassero dal macello i soldati, che n’erano stanchi ; se pur non era chi resistesse : si cercassero pe’ nascondigli i Duci ; i giovani di bell’ aspetto c personale si serbassero al trionfo: i più in età si mandassero in Egitto a’ metalli. Scelsersi pur molti per le fiere in teatro. I minori d’anni diciassette furon venduti schiavi. E’tradizione pei Giudei, che novantasettemila furo i presi in quell’ assedio ; un milione e centomila, gli uccisi. Non lasciossi della città che tre torri, membranza della vittoria. Serbossi anco parte del muro a Ponente, postavi guarnigione, e comandante Terenzio Rufo. Il resto, campagna rasa, passata dall’ aratro.

XLIII. Or Tito, lodato in parlamento il valor dei soldati, d’encomj e premj colmò chi più si distinse. Le vittoriose legioni poi distribuì, lasciando in Giudea la decima, la dodecima inviando a Malatia, la quinta e quindicesima a suo cenno, sinchè gisse in Egitto. Parti indi per Cesarea a visitar l’ Oriente. A debellar il resto di Giudea mandossi Lucilio Basso. Presa Masera, altra piazza d’ arme, fu venduto tutto il paese, e condannati i Giudei a pagar due danari all’ anno a Giove Capitolino. Ma fu tratta colonia in Cesarea, fedele a Roma; c pria, rimesso il censo personale, poi anco fatto immune il suolo. Emmaus , in perenne testimonio della vittoria, fu detta Nicopoli.

XLIV. Vespasiano intanto uscito era d’Alessandria con altro nome che v’ entrò. Doleasi il popolo, la liberalità non esser sua virtù; ritornar le prime gravezze, mettersene di nuove; vendersi ad incanto i regj monumenti; le stesse cose sacre usurparsi dal fìsco. Pria tra pochi, poi in pubblico con motti e pasquinate, tai fatti proverbiava la critica loquace gente, osa anco dir Vespasiano, Cibiosatte. Ei non avvezzo ad onte, e facile, come principe, ad ira, punì con tributo i sarcasmi ; e v’ era di peggio se non calmava Tito il padre.

XLV. Perdonandole pur, con Alessandria corrucciato , partì per Roma, fatto pria segnalato dono alla repubblica, di rinascente libertà augurio, assolvendo quanti restavan de’ rei di maestà per sevizia di Nerone e oppression dei successori; rendendo anco ai morti la fama; giusto in là pur della vita. Di tanta luce, olire le vittorie, adorno, toccò Brindisi; ove da Muciano, e da’primi baroni, tra’pubblici plausi è accolto. Passato a Benevento, trova Domiziano ; che fingendo il bergolo e ’l soro, scusa i vizj di dissolutezza , assente il padre. Del male al pari, che del rimedio, questi sollecito, la domestica rancura tenne, per buon riguardo a sè, a non mostrare di preferir al pubblico il privato ; e lieto, tra ’I concorso dei popoli ch’ escian d’ ovunque a vedere ed inchinare, il nuovo sì sospirato Principe, va a Roma. Giuntovi, cominciò dal cielo, del Campidoglio l’edifizj visitando ’, e per accalorir l’opere, entrò in lavoro ei stesso, sul dosso recandosi i rottami; tutti a gara, giusta la propria dignità e grado, i più distinti, il sovrano esempio emulando.

XLVI. L’ amore stesso per Tito in Egitto. Scorso l’ Oriente sino a Zeuma, e presa da Vologese la corona d’oro, era ei tornato a Gerosolima, ove compiantane la rovina, passò a Menfi. Popolo dato. a religione, cattivarsi suole per via di questa i principi. Come dunque co’ prodigj esaltato avea Vespasiano Alessandria, colla consecrazion d’Api ( ch’è quivi quanto v’ è di più sacro ) esaltar volle Menfi Tito. Dunque, al prisco rito, come i dì visse Api dalle leggi prescritti, fu nel sacro fonte tuffato. Un altro, che avea delle macchie i divini distintivi, con pubblico lutto, cerco e trovato, fu a gran pompa condotto a Menfi. Ivi, tutto in punto, attenta allo spettacolo la nazione, lunga pricission di sacerdoti aprì la consecrazione. Presedò Tito coronato di dia dema, all’ uso già de’ Re. Api consacrato al suo tempio, si menò a dar augurj a’popoli, responsi a’privati. Questo per l’Egitto prodigio di religione ; a Roma soggetto fu di scandolo ; e ne dirò a suo luogo l’altr’ anno.

XLVII. Cominciò l’anno sotto i fausti nomi dei Consoli Vespasiano Augusto la terza volta e CocceioNerva, che la fortuna dello Stato sembrò unire, onde quegli insegnasse a governare, questi imperasse. S’ accordò alla Spagna, esca alle prime mosse d’ armi, il dritto del Lazio, per ogni seme spegnere di discordia. Indi, dell’estere e civili guerre vincitore, si diè tutto al governo Vespasiano ; e la Repubblica gli si appresentò da lusso rovinata , nè più da spirito di patria , ma da amor proprio retta solo. Convinto, che da’ Principi i vizi eran iti al popolo, e vano e odioso essere tentar pubblica riforma vizioso Principe, da questo cominciò l’emenda, e reciso del principato il voluttuoso, dall’ uso passato in natura e in fregi della dignità, fe’ servir sovra tutto l’ autorità a farsi delle leggi colonna e modello.

XLVIII. Ond’esser popolare, rado era a palazzo, frequente agli Orti Sallustiani ; nè alle porte uscieri, ma a tutti aperte. Tolse via chi visitasse per armi, come sotto i predecessori e frai tumulti delle civili discordie. Di rimorsi scevro, rese altrui sicuro, abolito il crimenlese. In tal pubblica tranquillità prese le redini del governo. Presto sempre, e anzi luce levandosi, le lettere e i sommarj degli uffizj leggea: gli amici poi ammettea, e tra’ complimenti che gli faceano, si calzava e vestiva. Indi a consiglio in Senato, o a giudicar nel Foro. Preso un po’ di respiro , con garbo e bontà , in casa o fuori a cena con Senatori e altri ; dopo cui , vivacità e allegria ; e tal era sua vita.

XLIX. Pari e maggior anco mettea cura ai figli, per amore dello Stato e onor della casa. E ben davagli da pensar Domiziano, ferocissimo di natura e precipitoso in tutte voglie, che suo grado ispirava; cui in privato con riprensioni, in pubblico con onori, cercava correggere. Tito, delizia del padre, speme e sostegno dell’ Impero, eragli pure una spina ’ al cuore ; non che ne sospirasse ( niente in quell’ alma generosa allignando tal vizio ), ma per la memoria de’ recenti guai della repubblica , e pel cupo mormorio che di Tito la fede era equivoca ; che avea il favor delle legioni; per esplorar l’animi, non per religione, aver ei nel concorso di tutto Egitto alla funzion d’Api, bramoso com’era del trono, usato il regio diadema. Tito, pesandoli che sì di lui a gran torto pensasse Roma, vi tornò di volo. Invan pregaronlo a restar con loro, o a torlc seco, le legioni, che sotto lui presa avean Gerosolima, ei mandò la quinta in Mesia, la quintadecima in Pannonia. Sol in Argo sostò, a veder Apollonio, per sapienza famoso, e a formarsi co’ suoi precetti a virtù degne d’un figlio di Principe. Apollonio persuaso, non con passeggieri detti, ma a gran prova d’esempi e massime, formarsi i Principi, a sue dimande rispose: » Vinti in guerra i nemici, il padre vinci in virtù : attienti a Demetrio filosofo ». Con tal seme all’anima, di virtù fecondo, affrettò il passo, e al padre ch’escigli incontro , si presentò inaspettato : e salutandolo, alludendo alle ciarle. » Son qui, son qui padre,» disse; e corser ambi ad abbracciarsi, l’un più dell’ altro lieto per la provata fede. L. Roma, Italia tutta, impazzò di gioia al ritornar Tito. Doppio trionfo decretò il Senato al Principe e a Cesare; uno lor ne bastò, per non gravar di vane spese lo Stato. La prima volta qui fu che padre e figlio insieme trionfar vide Roma. Magnifica ne fu, come nuova, la decorazione. Il dì prevenendo, si squadronò la milizia al tempio d’ Iside, ove Tito e’l Padre fermatisi la notte, a’ primi albori con lauro al crine, e in porpora, avanzarono ver il portico d’Oì.tavia, accolti dal Senato, da’Capi dei magistrati, dagli Equestri. In tribunale assisi su eburnei seggi, i soldati laureati , e ’n vesti di seta, colle solite acclamazioni le virtù degl’ Imperadori esaltano. Indi fatto silenzio, Vespasiano, velato il capo, fa le usate preci, e con lui Tito : e dopo breve parlare agli astanti , manda air apprestato pranzo i soldati. Torna poi col figlio alla porta trionfale, ove preso lieve cibo, vestonsi da trionfo ; e scannate anzi agli Dei, siti alla porta, le vittime, cominciò la pompa colla maggior solennità.

LI. Poichè in quella pace d’ Impero, le ricchezze del soggiogato mondo, miracoli d’arte, rarità dinatura, misersi in mostra; come pur a carra, vesti di porpora e a ricamo babilonese, e gemme foggiate in corone e in simili fregi. Spiccavano dei Numi i simulacri di stupendo lavoro e grandezza, e animali al vivo effigiati. Tutto era oro, argento, avorio: sino a’ facchini, in vesti luceano di porpora e di oro: de’ prigioni stessi la deformità era da’ vari abbigliamenti corretta. Tra tante dovizie gran figura faceano le smisuraté moli a tre e quattro ordini; onde alla pubblica vista mostravansi tutti della giudaica guerra i traiti a maraviglia espressi: le pugne; il disertare; dei prigioni le torme ; assedi di città e castelli ; eccidj di case; incendio del tempio; fiumi, sovr’aride, non su verdi campagne, correnti; in ciascuna d’ esse vedeansi i Duci de’ Giudei nel proprio abito che furon presi ; portaronsi anco più navi. Venian poi del tempio le spoglie, tra le quali la mensa e ’l candelabro d’ oro ; da sezzo la legge. In lunga serie seguiano delle vittorie i titoli, poi i carri trionfali di Vespasiano e Tito, e presso loro a cavallo Domiziano Console. Pe’ teatri girò la pompa a soddisfar la plebe a torrenti affoltata. D’ ivi passò e fermossi al Campidoglio; ove il General Simone, con corda tratto pel clivo, ch’ è a cavalier del Foro, e con verghe frustato, è ucciso. Così espiata l’enormità, acclamati i vincitori, scannate le vittime, in seno a Giove Capitolino deposer gl’ lmperadori la laurea, ricusato il nome della vittoria. Tra ’l pubblico plauso si resero a palazzo, e’l resto del dì passò, in festa e bagordi, Roma.

LII. Dato qui posa a guerre, si chiuse Giano. Un monumento a lasciar di pace, qual da divo Augusto in poi non era più stata; della Pace il Tempio, opra la maggiore e più bella di Roma, erse Vespasiano: e tra gli altri arredi, le ricchezze, e’ vasi vi dedicò del distrutto tempio; la legge e’ veli in palazzo. Cosi soddisfatto a religione, si mise cura a riformar il costume, d’unanime voto del Principe e di Tito ; più Roma stessa alla soma de’ vizj non reggendo.

FINE DEL SECONDO ED ULTIMO VOLUME E DELLE STORIE.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.