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XXXV
PER FERDINANDO I
GRAN DUCA DI TOSCANA.
Su Pindo eccelso delle Muse albergo,
Non già di gemme e d’oro,
Ma di lodi ha raccolto ampio tesoro
Febo, che immortal arco appende al tergo;
5E quando io posi su quei gioghi il piede,
Dell’alte Chiavi egli onorò mia fede.
Dunque oggi lieto, e più che mai giojoso,
Con larga man ne spando
A forte celebrar, gran Ferdinando,
10Tuo nome, grande in adoprar pietoso,
E grande in sostener d’Astrea beata
L’alme bilancie con la man scettrata.
Lume, a cui molti non drizzaro il viso,
E fur famosi in terra;
15Bene i gorghi di Senna, orribil guerra,
Fe’ torbidi gonfiar di sangue anciso.
E tonar seppe in più crudel battaglia
Cesare armato, e funestar Tessaglia.
Ma che Roma affliggesse un duolo indegno,
20Empio occupollo oblío;
L’altro, che di più mondi ebbe desío,
Fe’ servo all’altrui voglie il patrio regno,
Cupido di mirar fiaccate e basse
L’altere corna al soggiogato Arasse.
25Sì folta usa addensarsi, ed orrid’ombra
Intorno al guardo umano,
Che nostro studio in contrastarla è vano,
Se celeste favor non la disgombra;
Ed egli empie di luce il real ciglio,
30E fa nuov’Argo del gran Cosmo il figlio.
Quinci pace immortal cinta d’oliva,
E Cerere granosa,
E Bacco, e di Vertunno aurea la Sposa
Ei ferma d’Arno in sulla nobil riva,
35Onde i crin di bei fior le grazie sparte,
E la bella Acidalia unqua non parte.
Poscia nel grembo all’oceáno atroce
Vara boschi spalmati,
Carchi di duci, che su’ petti armati
40Fanno in oro vibrar purpurea Croce,
Ver cui mirando gli Ottomani arcieri,
Colmano di spavento occhi, e pensieri.
O Febo, o Sagittario almo di Delo,
Forniscimi di piume,
45Ma di veloci oltre l’uman costume,
Ma di possenti a sollevarmi al cielo;
Non mai di precipizj orror mi prese,
Servendo a’ veri onor d’Eroe cortese.
Qual è dal negro Eusino al mar d’Atlante
50Inespugnabil mole?
O qual ne i gorghi, onde risorge il Sole,
Tiranno forte a non cangiar sembiante,
S’ei mira a volo su i Nettunii regni
Gir minacciosi di Toscana i legni?
55Oh come risuonar forti catene
Sentesi ognora! oh come
E ripercoter petti, e stracciar chiome,
E con pianti inondar scogli ed arene
E chiamando Maoma, ululi e gridi
60Scotere il cielo, e di Livorno i lidi!
Ma tutto intento a’ sacrosanti altari
Il vincitor sospira.
Chi pugnando quaggiù palme desira,
Il Rege eterno ad adorare impari.
65A’ cenni suoi non è contrasto; ei tuona
Sul rubellante, egli il Fedel corona.