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Atto quinto

Scena seconda
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Ippodamia, Atreo

 
Ippodamìa in atto di gettarsi a’piedi di Atreo.

Atreo

E perchè, madre? Sorgi.

Ippodamia

L’ultime voci di tua madre intendi:
Se tuo fratello ei non è più, Tïeste
È figliuol mio; grande è per te sua colpa;
15Nulla è per me: se tu nol salvi, io vengo
A’ piedi tuoi prima spirar: decidi.

Atreo

Parole parli di furor, di cieca
Disperazion; e non t’avvedi quanto
Strazio al mio core strazïato aggiungi.
20Oh! non foss’ei fratello mio, non fora
Misto il mio pianto al sangue suo: – pur deggio
Sopprimer tutto, rammentar ch’io sono
Re, cui s’addice castigar delitti.
Placato è mio furor, ma non placato
25È della legge il dritto.

Ippodamia

E chi t’astringe,
Chi il tuo poter ti toglie!

Atreo

Altri, che Atreo,
In Argo avvi signor! – Pure tremendo
È sino ai re della giustizia il grido.
Chi del sovrano suo tentò la vita,
30Pera. Così tuonan le leggi; ed io
Deggio loro ubbidir. Ma a gemer teco
Quindi, madre, verrò: tuo cor sommetti,
Qual anch’io lo sommetto, al giusto, al sommo
Rigor del Cielo.

Ippodamia

35Così molti e grandi
Son gl’infortunj miei, ch’omai ricuso
Di sofferirne più. Tu che tant’hai
Coraggio di sommetterti, tuo labbro
A tuo fratel dia morte: io per me, il dissi,
40Prima perir, poi tanta a’ piedi miei
Carnificina avvenga: il so, di sangue
Hai sete tu: dissetati del mio;
Egli tuoi scorni lavi. A che t’arretri?
A me quel brando, a me: sazierott’io
45Smania tanta di sangue, e più fia caro
A te, ch’egli è congiunto, ed è di madre.
Ma almen meco svanisca ogni altro orrore
Dalla reggia di Pelope: dai numi
Chiedesi innocua vittima; la porgo,
50O re, in me stessa; se obbriar prometti
Di Tïeste le offese e alla dolente
Erope rendi il pargoletto, io m’offro
Contenta all’ara degl’iddii sdegnati.

Atreo

Madre, a che vuoi tu trarmi? io di tuo sangue
55Bramoso!... e ’l crederesti? E di Tïeste
Forse in me vedi l’esecrabil alma?

Ippodamia

Rimbrotta sì d’un’infelice madre
L’amor, ma solo di tuo cor feroce
Quest’è rimbrotto. Al par di te, nol nego,
60L’amo; figli mi siete...

Atreo

Egli tuo figlio!
Ei che tramò di pur rapirten’uno?

Ippodamia

Vedi tu questo mio braccio tremante?
Ei vendicava un figlio, ove Tïeste
65T’avesse ucciso: ora tu vivi, e regni;
Nè egli fia spento anzi di me.

Atreo

Tïeste
Morrà: tu meco viverai regnando.
Fiati più caro il tuo lungo dolore
Diviso meco, che il perpetuo nostro
70Mortal periglio. Non sarem securi,
Fin che il fratello vive.

Ippodamia

Alta, inumana
Crudeltà spiran tuoi tiranni detti!
Io morrò; e ratto: chè pugnale acuto
75A tant’uopo mi serbo. Io funestarti
Vo’ tua vendetta col morir mio prima;
Se pur funesta a te sarà mia morte.
In atto di partire.

Atreo

Or dove corri?

Ippodamia

Ad abbracciar morendo
80Il figlio mio. – Di filïal pietade
Dà questo segno almeno; unico forse,
Ed estremo ei sarà. Sin che la luce
Del dì rifulse, d’Erope e Tïeste
Intorno all’atre carceri piangendo,
85Io tutta notte errai: temea che crudo
Tuo manigoldo gl’immolasse entrambi.
Il giorno aprissi, e qui men venni. Indarno
Priegai; ciò non rileva: or sol ti prego,
Fa che il carcer si schiuda, ivi concesso
90L’entrare a madre sia. Stretta a mio figlio
Perdere io voglio l’estremo sospiro.

Atreo

A pietà tu mi sforzi: a tue materne
Lagrime calde chi resister puote?
Qui dunque fia che tu l’abbracci. –
Alla Guardia
Emneo,
95A me Tïeste ed Erope.
La Guardia parte.
Ti calma;
Ove Tïeste il voglia, io ti prometto...
Forse... perdono.

Ippodamia

Bada, Atreo, che fero
100Più della pena il tuo perdon non sia.
Se infami patti tu proponi, infame
Vita Tïeste non accetta mai.
Quindi io di te più temo...

Atreo

Generoso
105Fia più d’Atreo Tïeste?

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