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Atto secondo

Scena quinta
Atto secondo - Scena quarta Atto terzo

 
Erope preceduta dalla Guardia che resta
nel fondo, Atreo, Ippodamia

 

Atreo

(ad Erope)
A che mi fuggi?
Fuggirti io sol dovrei: cagion non veggo
In me d’orrore, onde ribrezzo tanto
Atreo t’infonda: e tu m’abborri?

Erope

Abborro
Me stessa; abborro di mia vita i giorni
240Perseguitati. Or che vuoi tu? Qual cura
Me, rado, o mai chiamata, or mi ti chiama? –
A tutto presta io vengo; ordin di morte
Attendo; e a me più dolce fia, che starmi
Al tuo cospetto.

Atreo

E sì crudel sarommi,
245Che alla gentile un dì mia sposa, or d’altri,
Porger io voglia acerba morte? Eppure
L’avrei dovuto; ma se con Tïeste
Comune ho il sangue, non però comuni
Ho colpe ed alma.

Erope

Io ti recai di colpa
250Dote e di pianto; io le funeree furie
Al tuo letto invitai; ti posi in pugno
Ferro uccisor del padre mio. – Tïeste
A torto incolpi; ei non è reo; tu il festi;
E la cagione io sol ne fui: me dunque
255Danna al supplizio meritato, sola,
Me sola.

Atreo

Audaci nuovi detti ascolto,
Donna; dacchè più non ti vidi, oh come
Ratto di colpa la baldanza hai preso!
260Ma al tuo signor dinanti stai; raffrena
Dunque tuo dire; dall’oprar tuo forse
Esser dissimil puote? A garrir teco
Qui non ti chiesi: alto si dee rimbrotto
A te, ma il taccio; e mite oprando, mite
265Teco i’ favello; or tu rispondi. In Argo
Sai tu chi regna? sai ch’è il regio cenno
Santo? sai tu chi sei? – Taci? ben io
Dirollo. Il re son io. Tu... ma che dico
Che tu non sappia? Ove apprendesti dunque
270Te a frapporre a’ miei cenni? e il figlio torti
Contro il divieto mio? Qual mai t’indusse
Pensiero a ciò?

Erope

Tu il chiedi? A ciò m’indusse
Pensier di morte... O che dich’io! – Son madre:
E mia discolpa è questa.

Atreo

A vera e dritta
275Madre di prole non orribil, sacra
Questa fora discolpa: altra più forte
Ben per te vuolsi a vïolar mie leggi;
Leggi di re. – Pure di te men prende
Pietà; quantunque me tirán tu nomi;
280Ed io, tiranno, ti do pena, e pena
Sia mia clemenza, e lo spavento e l’onta,
Che hai di te stessa tu. – Duolmi, che pianto
Mi veggia intorno, e che materne m’oda
Sonar querele, e ciò pel figlio: io quindi
285Dareilo pronto, ove temprar potessi
Cotanta angoscia, e del regale nome
Assicurar la mäestà: ma impresa
È malagevol questa, e non concorda
Ragion di stato a imbelle affetto.

Erope

Pera
290Tutto, mio figlio: altra non so ragione
Intender io.

Ippodamia

(ad Atreo)
Qual tu l’attesti, m’ami?
Or danne pruova, e me conforta, e dona
Alla madre il fanciullo.

Atreo

Mal tu libri
295Quanto mi chiedi: a pochi ei noto, pochi
Sanno del par da qual delitto impuro,
Inumano, incredibile egli nacque.
Or perchè vuoi ch’io gliel conceda? In Argo
Saria non sol tal scelleragin sparsa,
300Ma il regno, e Grecia tutta, e l’universo
Di tanta reïtà risonerebbe.
E perchè ciò? – T’arrendi, o donna, e pensa
Che altre aspettano sorti il figliuol tuo,
Tranne quelle d’obbrobrio.

Erope

Il figlio, il figlio,
305Atreo, mi schiudi, e ogni obbrobrio mi siegua. –
Che altro debbo aspettar?

Atreo

Perduto e infranto
Ogni rossor, fama ed onor calpesti.
Non io così: se l’abbominio sei
Di te stessa e degli altri, a me non lice
310Seguirti.
Parte seguito dalla Guardia.

Erope

E sì mi dai quel figlio, o crudo,
Che blandamente con pretesti accorti
Mi promettevi?

Ippodamia

Il forte è saggio! Andianne.
Parte con Erope.

 
FINE DELL'ATTO SECONDO

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