Questo testo è completo. |
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
◄ | Capitolo XXIII | Capitolo XXV | ► |
Dopo ciò è da considerare che sono molte specie di fuoco, come la fiamma; e quello che si sparge dalla fiamma e non arde, ma sí porge lume agli occhi; e quello che, morta la fiamma, rimane ne’ corpi affocati. Similmente dell’aria, ci è la limpidissima, chiamata etere, e la torbidissima, chiamata nebbia e caligine, e diverse altre specie senza nome, generate dalla disugualità dei triangoli. Di acqua sono primieramente due specie, la umida, e quella che si scioglie. La umida, perocché fatta di parti di acqua piccole e disuguali, ella è movevole da sé e per altro, a cagione della disugualità e figura sua. L’acqua fatta di parti grandi e uguali è piú stabile di quella, ed è grave per la ugualità sua, e serrata; ma se l’addentra fuoco e la scioglie, ella, perduta la egualità, prende piú del moto; e, fatta mobilissima, dalla prossima aria è cacciata e distesa in terra. Or il distemperarsi della massa sua ebbe nome di struggimento, e di scorrimento lo stendersi che ella fa giú in terra. E poi di nuovo isfuggendo di là il fuoco, perocché non esce nel vacuo, la vicina aria, premuta da esso, premendo a sua volta la liquida e ancor leggermente mobile acqua nelle sedi del fuoco, la rimescola tutta; e quella, premuta, ripigliando la ugualità sua, essendo andato già via il fabbro della disugualità che è il fuoco, riviene uniforme: or affreddamento detta è la dipartita del fuoco, e detto è serrato il corpo che si costringe immantinenti che il fuoco ne è andato via.
Di tutte queste acque le quali abbiamo detto che si sciolgono, quella ch’è densa molto per esser di sottilissime e ugualissime parti, genere che ha sola una specie e che è di color giallo e lucente, è la preziosa cosa dell’oro, che, stillando giú per le pietre, fassi duro. E il nodo dell’oro, durissimo per la sua fittezza, e che è nero, fu chiamato adamante. Quello che sta appresso all’oro per la natura delle sue parti, e accoglie piú che una specie, ed è piú fitto, e ha picciola e sottile porzioncella di terra sí ch’è piú duro che l’oro, ma piú leggiero per li grandi intervalli che ha dentro, è il rame; il quale si fa di splendenti e indurite acque. Quella parte di terra che è mista al rame, allora fatta parvente quando essi invecchiati si sceverano l’uno dall’altro, si dice ruggine.
E dell’altre cose siffatte né anco è malagevole favellare, seguendo verisimiglianza. E se mai alcuno per desiderio di riposo lasciando di speculare gli eternali enti, e rimirando pure alle verosimili ragioni delle generate cose, prende in esse diletto che da niuno pentimento non è turbato, egli potrebbesi procacciare modesto e ragionevole sollazzo in vita sua. Il qual sollazzo vogliamo anco noi avere, e però seguitiamo a dire, guardando pure al nostro proponimento, ciò che è verisimile. L’acqua mista a fuoco, quella sottile liquida, per lo movimento suo e lo andare che fa rivolvendosi giú in terra si dice fluida; e anco molle, perocché le basi sue son cedevoli, siccome meno stabili che quelle della terra. Quest’acqua, quando l’abbandonano fuoco e aria, divien piú uguale, e in sé medesima si costringe per la uscita di quelli. E se ella serrasi molto fortemente, su, lungi da terra, s’addimanda gragnuola; diaccio, se in terra; addomandasi poi neve se è di piú piccole parti e si serra mezza, su, lungi da terra; e pruina, se in terra, generandosi di rugiada. Le moltissime specie di acqua miste fra loro, stillanti per le piante figliate dalla terra, in genere, sono chiamate succhi. I quali, diversi essendo per loro diverse mischianze, hanno molte specie senza nome; ma quattro, d’ignea natura, per essere molto parventi, ricevettero nome. Quella che riscalda anima e corpo, si chiamò vino. Quella polita, che ha potenza di discettare la vista, e che splendevole è però a vedere e lucida e nitida, è la olearia: cioè pece e resina e l’olio medesimo e ogni altra cosa dell’istessa possanza. Quella che le mischianze spande entro alla bocca e però porge dolcezza, universalmente per questa virtú sua ebbe nome di miele. Quella che arde la carne e dissolvela, specie spumosa che è notabile fra gli altri succhi, si disse oppio.