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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XXXVII
Capitolo XXXVI Capitolo XXXVIII

E cosí ancora sono da chiarire le passioni delle ventose medicinali, e lo inghiottire, e le gettate dei corpi, o che si traggano su in cielo o giú in terra; e cosí i suoni veloci o lenti, che paiono acuti e gravi, movendosi alcuna volta disarmoniosi e alcuna volta armoniosi, secondoché sono desti in noi movimenti simili ovvero dissimili[1]. E per certo, quando i piú veloci movimenti incominciati innanzi son per quetare, e si son fatti simili a’ suoni lenti, se a essi s’aggiungono suoni lenti e avvivando li occupano, e occupando non li turbano però che non hanno diverso movimento, ma, al contrario, adattano il principio d’un movimento piú tardo a una somigliante fine d’un movimento piú veloce, che muore; allora contemperano una passione di acuto e grave, la qual dà sollazzo agli stolti, e letizia ai savii, intravedendo essi ne’ mortali movimenti la simiglianza della celestiale armonia. E cosí similmente si chiarisce lo scorrere delle acque, il piombare de’ fulmini e il maraviglioso trarre che fanno a sé gli elettri e le pietre d’Ercole: perocché veramente in nessuna mai di cotali cose è virtú di trarre; ma il non essere niente vacuo, e il cacciarsi cotesti corpi intorno mutuamente, e congregandosi e disgregandosi mutar sito e andare ciascuno al luogo suo, da queste due cagioni, legate insieme, parranno essere operate le dette maraviglie a chi cerca studiosamente.


Note

  1. Cioè le dette cose son da chiarire per mezzo del principio che chiarisce la respirazione: il qual è, che non ci è vacuo, e che i singolari corpi tratti al luogo dei cognati loro, si cacciano in giro.
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