Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della raccolta Tragedie, inni sacri e odi


ADDA.


idillio.


A Vincenzo Monti


Diva di fonte umil, non d’altro ricca
     Che di pura onda e di minuto gregge,
     Te, come piacque al ciel, nato a le grandi

    De l’Eridano sponde, a questi ameni
     5Cheti recessi e a tacit’ombra invito.
     Non feroci portenti o scogli immani,
     Nè pompa io vanto d’infinito flutto
     O di abitati pin; nè imperïoso
     Innalzo il corno, a le città soggette
     10Signoreggiando le torrite fronti;
     Ma verdi colli e biancheggianti ville,
     E lieti colti in mio cammin vagheggio,
     E tenaci boscaglie a cui commisi,
     Contro i villani d’aquilone insulti,
     15Servar la pace del mio picciol regno
     e con Febo alternar l’ombre salubri.
     Nè al piangente colono è mio diletto
     Rapir l’ostello e i lavorati campi,
     Ad arricchir l’opposta avida sponda,
     20Novo censo al vicin; nè udir le preci
     Inesaudite e gl’imprecanti voti
     De le madri, che seguono da lunge,
     Con l’umid’occhio e con le strida il caro
     Pan destinato a la fame de’ figli,
     25E la sacra dimora e il dolce letto.
     Sol talor godo con l’innocua mano
     Piegar l’erbe cedenti, e da le rive
     Sveller fioretti, per ornarmi il seno
     E le trecce stillanti. Nè gelosa
     30Tolgo a gli occhi profani il mio soggiorno,
     Ma dai tersi cristalli altrui rivelo
     La monda arena. Anzi sovente, scesi
     Dai monti Orobj, i Satiri securi
     Tempran nel fresco mio la sìria fiamma,
     35Col piè caprino intorbidando l’onda.

Ben al par d’Aretusa e d’Acheloo,
     Vanta natal divin e sede arcana,
     Sacra ai congressi de le aonie suore;
     Pur soave ed umìl vassi Ippocrene
     40Su la libètride erba mormorando.

      Ben so che d’altro vanto aver corona
     Pretende il re de’ fiumi; e presso al Mincio,
     Del primo onor geloso, ancor s’ascolta
     Sonar l’onda sdegnosa armi ed amori;
     45E so ch’egli n’andò poi de la molle
     Guarìnia corda, or de la tua, superbo.
     Ma non vedi con l’irta alga natia
     Splendermi il lauro in su la fronte? Salve,
     Vocal colle Eupilino; a te mai sempre
     50Rida Bacco vermiglio e Cerer bionda:
     Salve onor di mia riva! A te sovente
     Scendean Febo e le Muse eliconiadi,
     Scordato il rezzo de l’Ascrea fontana.
     Quivi sovente il buon Cantor vid’io
     55Venir trattando con la man secura
     Il plettro di Venosa e il suo flagello;
     O traendo l’inerte fianco a stento,
     Invocar la salute e la ritrosa
     Erato bella, che di lui temea
     60L’irato ciglio e il satiresco ghigno;
     Ma alfin seguialo, e su le tempia antiche
     Fea di sua mano rinverdire il mirto.
     Qui spesso udillo rammentar piangendo,
     Come si fa di cosa amata e tolta,
     65Il dolce tempo de la prima etade;
     O de’ potenti maledir l’orgoglio,
     Come il Genio natio movealo al canto,
     E l’indomata gioventù de l’alma.

     Or tace il plettro arguto, e ne’ miei boschi
     70È silenzio ed orror. Te dunque invito,
     Canoro spirto, a risvegliar col canto
     Novo romor cirrèo. A te concesse
     Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi
     E le immagini e l’estro e il furor sacro
     75E l’estasi soavi e l’auree voci
     Già di sua man rinchiuse. A te venturo
     Fiorisce il dorso brianteo; le poma

     Mostra Vertunno, e con la man ti chiama.
     80Ed io, più ch’altri di tuo canto vaga,
     Già m’apparecchio a salutar da lunge
     L’alto Erìdano tuo, che al novo suono
     Trarrà maravigliando il capo algoso;
     E fra gl’invidi plausi de le Ninfe,
     85Bella d’un inno tuo, corrergli in seno.


Altri progetti

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.